Si è concluso a Torino il processo per il miliardario svizzero Stephan Schmidheiny (65 anni) e il barone belga Louis De Cartier (91 anni) condannati entrambi a 16 anni di reclusione (contro la richiesta della Procura di 20 anni), perché riconosciuti colpevoli dei reati loro ascritti di disastro doloso permanente e omissione dolosa di misure antinfortunistiche.
Alla lettura della sentenza l’aula, affollata in ogni ordine di posti, si sono levati grida di gioia, forti applausi e grande commozione da parte dei familiari delle vittime che vedono finalmente Giustizia per i loro congiunti. Come ha sottolineato il ministro della Salute, Renato Balduzzi “Si tratta di una sentenza storica” pur aggiungendo, giustamente che “la battaglia contro l’amianto non si chiude con una sentenza, sia pure una esemplare“.
Gli fa eco Bruno Pesce, presidente dell’Associazione dei Familiari delle Vittime dell’Amianto, che dichiara: “È una sentenza che ha sancito la colpevolezza dei responsabili ed è un monito di grandissima rilevanza, in questo momento di difficoltà finanziarie: ci dice che il dato economico è importante, ma che la vita umana lo è di più“
La sentenza comunque distingue tra gli stabilimenti italiani, dichiarandoli colpevoli per quanto riguarda Casale Monferrato e Cavagnolo (Torino), mentre il reato sarebbe estinto per prescrizione per gli stabilimenti di Rubiera, in Emilia Romagna, e Bagnoli, in Campania. Stephan Schmidheiny e Louis De Cartier erano entrambi ex manager ai vertici della multinazionale dell’amianto. Il Presidente del Tribunale Giuseppe Casalbore è passato poi ad elencare gli indennizzi a favore delle parti civili, che sono alcune migliaia.
I RISARCIMENTI – In particolare, un risarcimento di 70mila euro per l’associazione Medicina democratica e per il Wwf, di 100mila euro per l’Associazione nazionale esposti amianto, di 4 milioni per il comune di Cavagnolo e di 15 milioni per l’Inail. Risarcimenti mediamente di 100mila euro ciascuna per le sigle sindacali, parti civili nel processo. Inoltre 25 milioni per il comune di Casale Monferrato, 30mila euro per ogni congiunto di ciascuna vittima e 35mila euro per ogni ammalato.
LA TRAGEDIA DEI NUMERI – Al palazzo di giustizia di Torino sono arrivati 26 pullman, non solo da Casale Monferrato, dove si è registrato il maggior numero di vittime, colpite dal mesotelioma pleurico o dall’asbestosi, ma dal resto del paese e dalla Francia, dove si sono verificate tragedie analoghe. Tre maxi aule sono state aperte per ospitare le oltre mille persone arrivate per ascoltare il verdetto del più grande processo mai celebrato in Italia, e non solo – 160 le delegazioni da tutto il mondo – per l’amianto. Le parti civili erano 6.392, quasi tremila i morti e i malati per la fibra killer, almeno 2300 le vittime negli stabilimenti italiani, a partire dal 1952, di Casale Monferrato (Alessandria), Cavagnolo (Torino), Rubiera (Reggio Emilia) e Bagnoli (Napoli). Millecinquecento sono i morti a Casale, lo stabilimento più grande in Italia, chiuso nell’86.
L’ACCUSA – Il pool che ha curato la Pubblica Accusa ha dimostrato in 62 udienze, a partire dal 2009, come i capi della Eternit avessero continuato l’operatività delle fabbriche pur essendo a conoscenza delle gravi e inevitabili conseguenze e avrebbero omesso di far usare tutte quelle precauzioni (come l’uso di mascherine e guanti) per evitare che migliaia di persone si ammalassero di tumore al polmone o di absestosi. Pur di far profitto.
Il pool composto dai Pm Gianfranco Colace e Sara Panelli e coordinato da Raffaele Guariniello ha chiesto pertanto la pena detentiva di 20 anni a carico di entrambi gli imputati
Il pool dell’accusa, composto da Raffaele Guariniello, Gianfranco Colace e Sara Panelli, in 62 udienze, dal 2009, ha dimostrato, secondo i giudici di primo grado, come i capi della Eternit, il magnate svizzero Stephan Schmidheiny e il barone belga Louis De Cartier De Marchienne, avessero continuato – pur sapendo che l’amianto uccide – a mantenere operative le fabbriche per fare profitto. Durante l’arringa finale Guariniello ha chiesto 20 anni per ognuno dei due imputati, che non si sono mai presentati al processo.
Per Raffaele Guariniello, al suo arrivo in aula stamane “comunque vada è un processo storico, è il più grande processo nel mondo e nella storia in materia di sicurezza sul lavoro. C’è stato un grande interesse da parte di tutti i paesi in cui si è lavorato l’amianto. Questa è la dimostrazione che si può fare un processo. Bisogna lavorare per fare giustizia, noi abbiamo avuto aiuto da tutte le istituzioni“.
E la Giustizia, lenta ma inesorabile, alla fine pare sia arrivata.
Luigi Asero