Un paese che bagna i suoi passaggi epocali con il sangue e il mistero. Questa è l’Italia. Da Bronte ai briganti, da Canepa a Capaci e via D’Amelio è tutto un fiorire di momenti in cui, soprattutto nel mezzogiorno d’Italia, il dissenso e le figure scomode sono stati soffocati nel sangue e senza che venissero perseguiti a dovere i responsabili di crimini efferati. E la domanda che viene da farsi, forse inutilmente, è: quando è incominciata la stagione delle stragi dell’Italia repubblicana? Quando la stessa ancora non lo era ancora, Repubblica, e usciva, a pezzi, da una guerra disastrosa.
Quest’opinione viene certamente rafforzata dalla lettura dei due volumi (“Antonio Canepa ultimo atto” e “L’assassinio di Antonio Canepa” – nella collana Storia e Politica della Bonanno Edizioni- che compongono l’ultima fatica del direttore de “La Voce dell’Isola” Salvo Barbagallo, libri che verranno presentati in un tour di incontri che parte dalla Sicilia l’11 e il 12 ottobre, con gli appuntamenti di Catania (Giovedì 11 ottobre, alle ore 17.30, alle Ciminiere di Catania) e di Acireale.
Salvo Barbagallo ha analizzato a fondo i documenti che, con difficoltà enormi, è riuscito a raccogliere sulla morte di Antonio Canepa. Creatore e comandante dell’Esercito Volontario per l’Indipendenza Siciliana, la sua scomparsa avvenne in circostanze mai chiarite in quel di Randazzo il 17 giugno del 1945 e l’autore, senza esplicitare fino in fondo la tesi della strage di Stato, lascia che quest’ultima affiori tra le righe della sua ricerca appassionata. Prima di Portella della Ginestra e della tragica fine di Salvatore Giuliano, prima degli attentati e delle sparizioni dei sindacalisti socialisti e comunisti nelle campagne dell’interno della Sicilia, c’era chi agiva per oscuri motivi e faceva fuori, senza troppi complimenti, chi si opponeva a disegni diversi da quelli previsti.
Delitto di Stato? Già, di uno Stato “nuovo” che ancora non era nato, e che però sapeva di non potersi permettere di perdere una risorsa strategica del suo territorio, la Sicilia. E a cui in molti, dall’estero, guardavano con occhi tutt’affatto disinteressati, nella prospettiva di rafforzare la propria presenza nel Mediterraneo.
Antonio Canepa cadde, insieme a due militanti dell’esercito indipendentista, Carmelo Rosano e Giuseppe Lo Giudice, “ufficialmente” colpito a morte dai proiettili esplosi dai fucili di una pattuglia di tre carabinieri. E di questa vicenda Salvo Barbagallo ricostruisce meticolosamente l’anatomia, mettendo a disposizione di tutti i documenti nei quali sono raccolte le dichiarazioni a verbale dei protagonisti del presunto conflitto, i tre carabinieri, delle dichiarazioni dei superstiti che scamparono al fuoco dei militari, di quanti potevano essere a conoscenza di ciò che realmente era accaduto. E l’autore del libro, inevitabilmente, giunge a conclusioni non certo lusinghiere: la verità su quanto si verificò a Randazzo è stata occultata sotto una montagne di menzogne.
Il conflitto bellico si era appena concluso a livello nazionale, ma in Sicilia la “pace” era scoppiata subito dopo l’occupazione dell’Isola, governata da americani e inglesi mentre l’Italia rimaneva occupata dai nazifascisti e le sorti della guerra erano incerte. Il momento migliore per far rinascere nel cuore dei siciliani l’aspirazione all’indipendenza e soddisfare così anche le esigenze di una popolazione che voleva dimenticare le violenze subite. E a molti quest’idea apparve la formula migliore visto che nel corso di pochi mesi migliaia, centinaia di migliaia (per l’esattezza in cinquecento mila) aderirono al MIS (Movimento per l’Indipendenza della Sicilia), non ascoltando la voce di socialisti, democristiani e comunisti. Era una “pace” che non cambiava l’ordine delle cose, quella che i Siciliani vivevano: fuori i fascisti, sostituiti da un governo di occupazione presieduto da americani e inglesi e, soprattutto, con la prospettiva di andare sotto ad un governo provvisorio italiano che, come altri prima di lui, invece di ascoltare le istanze della popolazione, si presentò con manovre repressive, sedando nel sangue le rivolte provocate dalla fame.
Canepa, quindi, come protagonista principale della prima strage di Stato repubblicano? E’ la conclusione a cui si è naturalmente portati dalla lettura della mole di documenti messi a disposizione del lettore da Barbagallo. Meglio. Una prova generale di quello che, qualche anno dopo, sarebbe stato il capolavoro che portò alla fine di tutte le velleità indipendentistiche siciliane: la fine di Salvatore Giuliano, eseguita con una metodologia che conferma uno stile che, ciclicamente, si è ripresentato nel tempo, sino ai giorni nostri. Una strategia che i servizi segreti (noti e ignoti) in molti casi hanno applicato. Nella vita del nostro Paese, afferma Salvo Barbagallo, non ci sono misteri, ma (semplicemente ma amaramente) verità che vengono nascoste: come dargli torto?
Alla presentazione dei due volumi a Le Cominiere di Catania, l’11 ottobre prossimo, prendono parte Valter Vecellio, capo redattore del Tg 2 Rai (che ha curato la prefazione del primo volume), Corrado Rubino, presidente dell’Istituto per la Cultura Siciliana, Marco Di Salvo (che ha curato la prefazione del secondo volume), condirettore del quotidiano online “La Voce dell’Isola”, e l’autore dei due libri su Antonio Canepa, Salvo Barbagallo. Introduce e modera l’incontro il giornalista e scrittore (già capo redattore delle pagine Cultura del quotidiano “La Sicilia”) Salvatore Scalia.
Madis