Sembra un conto infinito. Una ogni due giorni finisce in una bara. Una ogni due giorni muore per non voler più proseguire una relazione. Sempre più giovani, uccise da uomini sempre più immaturi e incapaci di accettare quel che poi potrebbe essere naturale: la fine di una storia. Convinti che solo l’uomo possa troncare una relazione.
Lucia Petrucci doveva essere la sua vittima. Lucia ha 18 anni, lui ne ha 23, si chiama Samuele Caruso. Sembra un diciottenne. Lucia è viva, gravissima. Deve la sua vita a Carmela Petrucci, la sorella un anno più piccola che è morta cercando di difenderla dal suo aggressore. Da chi la “amava” tanto da decidere che o con lui o con nessuno. Lui che ha scambiato come tanti, troppi, l’amore per possesso assoluto.
La tragedia stavolta è a Palermo, in via Uditore 14, nell’androne di un palazzo. Ma da mesi lui, l’infame, minacciava e molestava la piccola Lucia. Piccola, piccole erano entrambe le sorelle e infatti rientravano da scuola, dal liceo Umberto I di Palermo. Le aveva appena lasciate davanti casa la nonna, che in auto le aveva portate a casa.
Qui all’improvviso spunta Samuele, Lucia che capisce citofona al fratello di aprire subito, lui più veloce inizia con i fendenti, Carmela si mette in mezzo, pensando che lui desistesse. Cercando di difendere la sorella. Finisce a terra in una pozza di sangue, il 113 corre veloce, ma non quanto la furia omicida di questo che preferisce lo scrivente definire un infame. Non merita neanche più un nome.
All’arrivo delle prime volanti, minuti dopo, Carmela è a terra. Esanime. Una pozza di sangue la circonda. Lucia appare grave, ma con un filo di voce riesce a dire il nome dell’assassino “è stato Samuele Caruso, il mio ex”. Gli agenti seguono le tracce di sangue, portano alla fermata di un bus. La centrale operativa attiva la localizzazione del cellulare del giovane. Viene rintracciato poco dopo, si trova alla stazione Ferroviaria di Bagheria, prova a fuggire con un treno. Il cellulare lo ha tradito.
Il suo profilo Facebook lo ritrae con foto a torso nudo, intento a esibire i suoi muscoli, frutto del costante allenamento a body building, si faceva chiamare “tigrotto”. Ma un tigrotto, forse lui non lo sa, non uccide per possesso, non si esibisce a torso nudo. Un vero tigrotto, come la natura ce lo consegna, è un animale intelligente.
Ora resta la disperazione di Lucia, che ricorderà per sempre la sorella Carmela. Studiava sperando di iscriversi poi a medicina, salvare vite. Ne ha salvato una, con il suo corpo, quella di Lucia che non potrà mai più dimenticare questo giorno. Studiavano entrambe, erano serie e diligenti, così vengono descritte.
Resta la disperazione dei familiari e forse un rammarico e un triste presagio: quante altre ancora? Quante altre devono esser ancora uccise per colpa di “tigrotti” infami?
Luigi Asero