Israele e la striscia di Gaza: tutti bravi a parlare di pace, tutti bravi a chiedere che finiscano le ostilità. Tutti bravi, ma tutti non vivono in quei luoghi martoriati dal profondo odio atavico contro un popolo, quello di Israele, che si vuole che scompaia in maniera definitiva dalla faccia terra, cosa impossibile e assurda, e un altro popolo, quello palestinese, che subisce le decisioni delle fazioni islamiche più oltranziste.
L’attenzione della gente è indirizzata verso avvenimenti non certo tragici in questo mese di luglio, dai mondiali di calcio alle vacanze. Oggi Tel Aviv non è certo fra le mete più ricercate dal turismo internazionale e chi vi abita sicuramente vorrebbe trovarsi altrove. La guerra nella striscia di Gaza non è la principale notizia sui mass media europei, anche se non passa inosservata, e le problematiche che hanno provocato l’ennesima crisi violenta ai più appaiono incomprensibili. Eppure è in questa area geografica che si può giocare, e forse si gioca già, il futuro della stabilità mondiale.
Giornali e televisioni riportano il numero delle vittime palestinesi in questi ultimi otto giorni con aggiornamenti continui: troppi civili morti, troppi bambini non saranno mai adulti, molto meno sottolineati gli aspetti che hanno provocato le ostilità belliche di Israele sulla striscia di Gaza. Si parla poco dei missili, a centinaia, che partono proprio dalle postazioni dei militanti di Hamas che si trovano in questa zona, di quei missili che puntualmente vengono indirizzati su Tel Aviv e su altre città di Israele e dei disastri che determinano queste armi micidiali.
Ci trovavamo a Lisbona quando l’aviazione israeliana ha iniziato i suoi raid sulla striscia di Gaza e quando le truppe hanno avviato i loro blitz mirati a snidare le postazioni sotterranee. La striscia di Gaza è una roccaforte difficile da espugnare: chilometri e chilometri di gallerie con fabbriche e depositi di armi. Se non si elimina la radice del pericolo, Tel Aviv non avrà alcuna possibilità di difesa.
Lisbona. In uno slargo nei pressi della Stazione Centrale c’è un piccolo monumento in marmo. All’interno di una Stella di Davide la scritta:
1506-2006
EM MEMORIA
DOS MILHARES DS JUSEUS VITIMAS
DA INTOLLERANCIA E DO
FANATISMO RELIGIOSO
ASSASSINADOS NO MASSACRE
INICIADO A 19 DE ABRIL DE 1506
NESTE LARGO
5266-5766
“1506-2006. In memoria delle migliaia di giudei vittime della intolleranza e del fanatismo religioso assassinati nel massacro iniziato il 19 aprile del 1506 in questo slargo. 5266-5766”. Lisbona “Città della tolleranza” vuole ricordare
In ogni parte d’Europa possono trovarsi riferimenti simili, di fatti che sono accaduti prima, molto prima dell’Olocausto e dei campi di stermino nazisti. La storia sembra non riuscire ad insegnare nulla e nell’era della globalizzazione ancora non si riescono a trovare soluzioni definitive che possono portare ad una convivenza pacifica. Più che il dubbio subentra la certezza che non si vogliono trovare soluzioni, innanzitutto perché se non ci sono guerre le industrie belliche potrebbero chiudere i battenti, poi perché mantenere l’instabilità di interi territori favorisce tanti e tanti interessi inconfessabili. Chi ne paga le conseguenze? Sicuramente i più deboli, gli innocenti.
Si continua a tenere il libro mastro: sino a domenica scorsa 686 sono stati i razzi lanciati da Gaza su Israele (incluso Gerusalemme). Solo lunedì scorso, i razzi sono stati 65, diretti verso la parte sud e centrale del Paese, a portata di rifugio, salvata solo dall’Iron Dome che li ha intercettati evitando vittime. Razzi lanciati contro Gerusalemme sono finiti “fuori bersaglio” anche nella Cisgiordania palestinese – nella zona di Hebron e in quella di Betlemme secondo testimoni locali – ma senza conseguenze per le persone.
Naor Gilon ambasciatore di Israele in Italia, ha spiegato i motivi dell’offensiva militare: “Tagliare le unghie all’organizzazione radicale islamica, fermare la pioggia di razzi su Israele, colpire gli arsenali di armi e missili accumulati nella Striscia con l’aiuto di Siria e Iran: questi sono gli obiettivi di Israele. Non possiamo accettare che la maggioranza di Israele sia sotto la minaccia dei razzi – sottolinea l’ambasciatore. – Stavolta 15-20 tra le maggiori città di Israele sono nel raggio di portata dei missili più sofisticati sparati dalla Striscia. Un problema è anche quello di diminuire la capacità offensiva di Hamas“. Secondo l’ambasciatore, l’errore di fondo che ha bloccato il processo di pace e portato all’attuale situazione di guerra è stata la formazione del governo unitario tra Anp e Hamas: “E’ un governo fittizio che è servito ad Hamas ad acquistare sicurezza e allargare la sua influenza in Cisgiordania, arrivando così al rapimento e all’uccisione dei tre ragazzi ebrei e poi ai razzi sparati da Gaza“.
Alla parola “pace” ora si sovrappone la parola “tregua”: queste due semplici parole hanno caratterizzato da sempre la vita di Israele, solo Hitler ebbe la “sincerità” di esprimersi in termini di “soluzione finale”.
Così è, se vi pare.