Terrorismo: prossimo “target” degli jihadisti sarà l’Italia?
Tunisi-Marsala, un tratto di mare di appena 228 chilometri, una distanza che dovrebbe far riflettere quanti governano la Sicilia, quanti governano il Paese dopo i tragici fatti di ieri a Tunisi. Con l’attacco terroristico al Museo del Bardo, dove hanno perduto la vita due italiani e quattordici turisti di diversa nazionalità, gli jihadisti hanno dimostrato che possono colpire anche città preparate a fronteggiare azioni criminali di questa natura. La spiegazione può apparire semplice e banale: questi individui sanno che possono andare incontro a morte certa, ma per costoro la morte è un “premio” e, di conseguenza, non si preoccupano più di tanto rispetto agli altri, tenendo conto che per costoro gli “altri” sono dei miscredenti che è bene eliminare.
Difficile, molto difficile prevedere dove potrà avvenire un’azione terroristica, troppo generalizzate le indicazioni che l’intelligence riesce a raccogliere. A Tunisi si “prevedeva” un attentato e le forze speciali erano già in stato di allerta: questo ha consentito di “mitigare” il risultato dell’attentato, ma il consuntivo di diciassette vittime innocenti non può di certo considerarsi “leggero”.
La minaccia è costante e non può essere trascurata: l’Italia di “minacce” da parte del Califfato ne ha ricevute svariate, tante che, per un breve periodo, si è gridato fin troppo spesso “al lupo, al lupo”. Poi ogni cosa – come è, purtroppo, costume italiano – diventa “consueta” e si finisce con il sottovalutare il pericolo.
Sottolineavamo quanto “corta” sia la distanza che separa Tunisi da Marsala, in altri articoli abbiamo indicato l’altrettanta vicinanza tra Tripoli e le coste siciliane ma queste “banali” informazioni non hanno preoccupato nessun componente dell’attuale governo della Sicilia, tantomeno lo stesso presidente della Regione, in ben altre questioni indaffarato. In realtà per lo stesso ministro Angelino Alfano c’è voluto del tempo prima che ammettesse un “potenziale” pericolo d’infiltrazione jihadista nel continuo flusso dei migranti disperati che partono dalla Libia diretti in Sicilia.
Ora ci si chiede quali misure di sicurezza siano state predisposte dal momento che la “minaccia attentato” non è fantasia ma è “concretezza”? Come il Governo intenda programmare misure di “difesa” adeguate? La questione – ovviamente, seppur “attenzionata” – non sembra far perdere il sonno ai rappresentanti della collettività italiana.
Ventitre anni addietro, quando la mafia inaugurò la stagione degli attentati contro coloro che le si opponevano (fra i tanti, basti ricordare gli attentati in cui persero la vita Giovanni Falcone e Paolo Borsellino) l’allora Governo Amato, su sollecitazione del ministro della Difesa Salvo Andò, mise in campo l’Esercito con funzione di ordine pubblico, con la tanto criticata, ma efficace come deterrente, operazione “Vespri Siciliani”. Oggi non si tratta di “ordine pubblico”, si tratta di sicurezza collettiva a seguito di una “offensiva” apertamente dichiarata. E non si tratta di mandare l’Esercito (già “pronto” a partire) in Libia, anche se a tutela di interessi economici “nazionali”. E’ così complicato pensare alla sicurezza della propria Casa Italia? O, come suol dirsi, per “darsi una mossa” è necessario che accada qualcosa di irreparabile, che prima perda la vita qualche (insignificante?) italiano sul territorio nostrano?