Sicilia: la Primavera assassinata

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bandiere-siciliaDi Salvo Barbagallo

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In Sicilia non è mai stato adoperato il termine “Primavera” per indicare uno sconvolgimento popolare. “Primavera” è una parola inventata nei giorni nostri a indicare quanto accaduto pochi anni addietro in alcuni Paesi del Mediterraneo, come la Tunisia, l’Egitto, la Libia. Si è visto il risultato finale. Quel che si è verificato nel 1944 e nel 1945 nell’isola non è riportato nei libri di scuola, è stato seguito malamente dai giornali di allora, tenuto conto che dopo l’8 settembre del 1943 l’Italia era ancora in guerra, il territorio nazionale in parte occupato dai tedeschi e da ciò che rimaneva del regime fascista, e la lotta fratricida mieteva vittime da una e dall’altra parte. La Sicilia era un mondo a sé stante, ma non era un’isola felice. Era, però, un’isola che “sperava” di cambiare il proprio destino, un’isola che sperava di conquistare una sua indipendenza, una sua autodeterminazione politica che non facesse riferimento a ciò che era stato il passato fascista e, comunque, che rimanesse lontana dalla guerra ancora in atto il cui risultato finale non poteva essere dato per scontato.

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Dopo l’occupazione, dall’agosto 1943, il governo alleato angloamericano – l’AMGOT – non aveva portato benessere alla Sicilia e quando l’amministrazione dell’isola il 14 febbraio del 1944 passò al primo Governo italiano la situazione peggiorò. E’ tempo di sommosse: la gente ha fame, il mercato nero domina ogni cosa, la chiamata alle armi delle giovani leve non compreso e non accettato. All’indomani della manifestazione di protesta al richiamo alle armi di Catania nel corso della quale nn militare lancia una bomba a mano e perde la vita un giovane sarto, il 15 dicembre del 1944 a Giarratana, un paese del Siracusano, la popolazione attacca la caserma dei carabinieri, disarma i militari impadronendosi delle loro armi e brucia – così come avvenuto nel capoluogo etneo – il Municipio e il Palazzo del dazio. La popolazione è esasperata, reagisce alle imposizioni del Governo nazionale che non riconosce: i primi quindici giorni del nuovo anno, il 1945, sono tumultuosi: la lotta è aperta, la gente dice “Basta!” a quello che ritiene un nuovo regime di oppressione. E’ rivolta da un capo all’altro dell’isola. II primo giorno dell’anno Piana degli Albanesi – patria di Nicola Parbato che ha lasciato dai tempi dei Fasci siciliani in retaggio nei suoi compaesani uno spirito comunista molto radicato – si autoproclama Repubblica Popolare. Piana degli Albanesi, sede di una comunità etnica di lontane origini balcaniche, insorge a seguito del furto perpetrato da un carabiniere di guardia ai granai del popolo. A capo della rivolta è Giacomo Perrotta, conduttore rurale, antimilitarista convinto: forma il “Circolo d’Unione” e, con l’approvazione di tutta la comunità, decide l’autogoverno per la sua terra. Nessuno spargimento di sangue, nessuna ripartizione partitica del potere (nel consiglio direttivo c’è addirittura un vescovo, monsignor Giuseppe Perniciaro) macchia i cinquanta giorni d’indipendenza. Tra la notte del 19 e 20 febbraio un corpo di spedizione, forte di duemila uomini, composto di carabinieri, alpini e fanteria, pone fine all’impossibile sogno, e tutti i protagonisti dell’avventura finiscono in carcere.

manifestazioneseparatistapalermoIl 4 gennaio insorge Ragusa: la folla qui è esasperata per i continui arresti di giovani renitenti alla leva. I carabinieri sono costretti a barricarsi nella caserma. L’indomani rivolta a Vittoria: il popolo cattura la guarnigione della Guardia di Finanza, impossessandosi delle armi in dotazione; un commando di armati occupa le carceri liberando settantacinque detenuti. Lo stesso giorno si ribella Scicli, e quindi Avola, dove è fatto saltare un ponte sulla linea ferroviaria per Siracusa, mentre gli uffici governativi e le caserme sono messi a soqquadro.

Il 7 gennaio è la volta di Comiso, dove i separatisti agiscono di comune accordo con i comunisti. A Comiso si costituisce un Comitato del Popolo che, insediatosi in Municipio, emette un proclama nel quale si dichiara decaduta l’autorità dello Stato italiano, e crea solennemente la Repubblica di Comiso. Ingenti forze militari annientano le velleità della neorepubblica, velleità che sono pagate a caro prezzo: diciannove morti e sessantatre feriti fra i rivoltosi. Fra le truppe regolari si contano quindici perdite: carabinieri, soldati, due ufficiali e un sottufficiale.

L’11 gennaio a Naro, in provincia di Agrigento, vengono bruciate la caserma dei carabinieri e l’Ufficio delle Imposte. Nel pomeriggio dello stesso giorno a Palazzolo fanno la stessa fine i locali della Pretura, del Municipio e dell’Ufficio Annonario. Anche qui per sedare la sommossa intervengono i militari, ma non basta un battaglione che ingaggia battaglia: per sedare la rivolta, è necessario l’intervento dell’artiglieria e dei mezzi blindati. Secondo il ministero dell’Interno “i movimenti sediziosi sono stati predisposti e capeggiati da esponenti separatisti”.

Le sommosse non colsero alla sprovvista solo il governo nazionale e i suoi rappresentanti in Sicilia, ma anche i dirigenti del Movimento indipendentista che non volevano di certo la rivoluzione quale mezzo di pressione per ottenere certi risultati politici: un conto era minacciare le sommosse, un altro conto era metterle in atto. In quel momento storico il Movimento per l’Indipendenza Siciliana contava oltre mezzo milioni di iscritti mentre i partiti tradizionali poche migliaia.

toro3Va ricordato che in carica era dal 12 dicembre 1944 al 21 giugno 1945 era il Governo Bonomi III con la Democrazia Cristiana (DC), il Partito Comunista Italiano (PCI), il Partito Liberale Italiano (PLI), il Partito Democratico del Lavoro (PDL). Nel governo figurava come vice presidente del Consiglio Palmiro Togliatti (PCI), ministro degli Esteri Alcide De Gasperi (DC), sottosegretario Eugenio Reale (PCI), all’Interno lo stesso Bonomi (PDL), alle Finanze Antonio Pesenti (PCI), all’Agricoltura Fausto Gullo (PCI) fra i sottosegretari Giuseppe Montalbano (Marina) e Bernardo Mattarella (Istruzione). Nel precedente Governo Badoglio in carica dal 22 aprile 1944 all’8 giugno 1944, per un mese e sedici giorni, vice presidente del Consiglio dei ministri era sempre Palmiro Togliatti, mentre ministro dell’Interno era Salvatore Aldisio (DC). Aldisio (nato a Gela il 29 dicembre 1890) fu segretario del Partito Popolare Italiano di Caltanissetta, subito dopo la prima guerra mondiale, e nelle elezioni politiche del 1921 fu eletto nelle liste del Partito Popolare Italiano nella circoscrizione Caltanissetta-Girgenti-Trapani. Dopo lo sbarco alleato in Sicilia, assunse la guida della nascente Democrazia Cristiana siciliana, e in seguito fece parte della direzione nazionale del partito. Nel marzo 1944 fu nominato prefetto di Caltanissetta, e nell’aprile seguente fu scelto come ministro dell’Interno nel secondo Governo Badoglio. Nell’agosto del 1944, con il nuovo ruolo decisivo per la Sicilia di Alto Commissario, s’impegnò per l’affermazione dell’autonomia regionale in contrapposizione con il Movimento Indipendentista.

(2 . Continua)

(Leggi la prima parte)

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