Di Salvo Barbagallo
Il premier Matteo Renzi con i suoi atteggiamenti dell’ultima ora probabilmente ha voluto lanciare un messaggio, non si comprende bene a chi e con quale contenuto. Ma questa è soltanto una “interpretazione” soggettiva tendente a dare una spiegazione “plausibile” all’apparente disinteresse mostrato per lo spoglio delle schede (e del risultato delle urne) mostrandosi apertamente a giocare con la playstation e dopo con il “volo” in Afganistan. Una forma di certo inconsueta di dire “grazie” a quanti si sono spesi per conto suo, e dopo del PD, nella campagna elettorale delle regionali. Lucida e senza peli sulla lingua l’analisi di Lucia Annunziata su Huffington Post: “Il treno del Pd, e di Matteo Renzi, rallenta. Non è solo una questione di velocità, quale pure è – il Pd perde voti rispetto alle europee. E non è nemmeno solo questione di rinnovamento, quale pure è . È che il voto delle regionali disegna una realtà italiana molto diversa da quella che la “narrativa” di questi ultimi mesi ci aveva consegnato. Il Partito della Nazione, la nuova pelle che nell’immaginario della sinistra al governo avrebbe dovuto essere la forza trainante di una rinascita nazionale post-ideologica, nei fatti non esiste. Il Pd a guida Renziana non sfonda a destra, anzi la destra se unita si difende bene; e non riesce a sottrarsi ai condizionamenti della sinistra. Rimane il primo partito ma mostra segni interni di grande fragilità. Al contrario, le forze che la narrativa ufficiale chiama “antisistema” non arretrano, anzi si rafforzano…”.
Ancora più spietata l’analisi dei “numeri” effettuata dall’Istituto Cattaneo: ci sono due milioni di italiani che un anno fa hanno votato per il Pd e che ieri o non sono andati alle urne o hanno scelto qualche altro partito. Nel dettaglio, rispetto alle elezioni europee, il Partito democratico ha perso 2.143.003 voti, 1.083.557 rispetto invece alle politiche 2013, quando era segretario Pier Luigi Bersani.
Una flessione pesante che ha interessato, causa anche l’alta astensione, quasi tutti i partiti. Il Movimento 5 Stelle ha perso rispetto al 2014 circa 893 mila voti, 1.953 mila rispetto all’exploit del 2013. Particolarmente forte la caduta di consensi in Veneto: dal 2013 ad oggi il M5s ha perduto il 75 per cento dei voti. Significa, in altri termini, che su quattro elettori che due anni fa avevano espresso la propria preferenza per il M5s, tre di questi alle ultime elezioni non hanno confermato il proprio voto, astenendosi o scegliendo un altro partito.
Forza Italia si è persa per strada, le forze di Alfano in disfatta, chi può considerarsi soddisfatto del risultato elettorale di queste ultime regionali? L’unico che può festeggiare è Matteo Salvini. La Lega Nord ha guadagnato 256.803 voti rispetto alle europee e 402.584 rispetto alle politiche. Ma sono alcuni dati in regioni cosiddette “rosse” ad impressionare. In confronto al 2013. In Toscana il numero di consensi per la Lega è salito del 1220 per cento, cioè i voti sono più che decuplicati, in Umbria addirittura del 1499 per cento.
Probabilmente il “progetto” (quale?) di Matteo Renzi non si è ancora esaurito e probabilmente quanto verificatosi il premier lo aveva messo in conto: troppi punti interrogativi rimangono sul tappeto, tanti da far ipotizzare che quel che Matteo Renzi con le sue azioni (dalle svariate rottamazioni, all’Italicum, alla Scuola) voleva raggiungere (cosa?), l’abbia già ottenuto.