Nella Sicilia del 2015 non c’è l’acqua. E manco il resto…

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di Luigi Asero

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È il tema del giorno: la mancanza d’acqua a Messina. Almeno è fra i temi regionali, non certo di primo piano per quanto riguarda l’informazione nazionale che dedica sempre poco spazio a situazioni di vera vergogna per una nazione civile nel 2015. La situazione è ormai scandalosa oltre ogni limite: ben due volte il bypass provvisorio costruito nell’area di Calatabiano ha ceduto e ormai le autobotti sono l’unica fonte di approvvigionamento idrico nella terza città siciliana. Non c’è alcuna voglia di commiserarsi in queste righe, la Sicilia è sempre stata terra di nessuno, o meglio terra di Cosa Nostra, dove bisogna dimenticare le visioni di uomini con coppola e lupara e comprendere invece che Cosa Nostra è fatta di colletti bianchi, di una certa classe imprenditoriale (non per forza siciliana) e di una classe politica corrotta e collusa che di tutti fa gli interessi. Tranne che dei siciliani che dovrebbe rappresentare.

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Quel che si dice meno è che la situazione della mancata distribuzione idrica in Sicilia non è certo una prerogativa di Messina. L’emergenza acqua non è mai sopita in città come Agrigento e Caltanissetta, Trapani e buona parte del palermitano. Eppure sembra che tutti dimenticano la presenza in anni passati di diversi Commissari straordinari all’uopo nominati. Sfruttiamo il web per accedere agli archivi online a beneficio degli smemorati. Correva l’anno 2002, premier era Silvio Berlusconi e in Sicilia il Governatore era Totò Cuffaro. Scriveva allora Carmelo Lopapa per “Repubblica Palermo”:

La crisi idrica arriva sul tavolo del Consiglio dei ministri e con la dichiarazione dello «stato di emergenza in Sicilia» il commissario straordinario Totò Cuffaro finisce di fatto sotto tutela. Il premier Berlusconi estende i poteri del commissario, finora limitati alla Sicilia occidentale, anche a quella orientale ma affida anche poteri diretti di intervento al ministro per le Infrastrutture Pietro Lunardi. Come dichiarato dallo stesso ministro al termine della riunione di governo alla quale ha preso parte pure il presidente della Regione, viene istituita una task force «che sarà operativa già da oggi al ministero per affrontare l’ emergenza idrica». Il gruppo «guidato dallo stesso ministro e composto anche da due rappresentanti del Consiglio superiore dei lavori pubblici e dal direttore dell’ ufficio dighe» si è riunito già nel pomeriggio. In assenza di rappresentanti della Regione, anche se da Palermo l’ ufficio del commissario faceva sapere nelle stesse ore che il gruppo entrerà in funzione «di concerto con la Regione». In realtà la struttura già opera e decide in piena autonomia. Spiega in serata il ministro Lunardi, al termine della prima riunione operativa: «Abbiamo sbloccato i collaudi delle prime dieci dighe, è stato deciso di procedere alla posa di tubazioni di emergenza per distribuire l’ acqua anche per usi irrigui nelle zone più colpite e di avviare la distribuzione delle risorse idriche in regime di protezione civile nelle stesse aree. Saremo in seduta pressoché permanente per seguire l’ evoluzione della crisi». E al momento, fanno sapere dal ministero per le Infrastrutture, non è prevista la partecipazione di rappresentanti della Regione. Nella conferenza stampa al fianco del premier il ministro Lunardi aveva già specificato che la struttura «avrà il compito di verificare lo stato dei collaudi in modo da potenziare la capacità degli invasi e mettere al più presto la Sicilia in condizione di utilizzare le risorse idriche». Se non è un’esautorazione di Cuffaro, al quale formalmente Berlusconi è tornato a riconoscere il ruolo di commissario, poco ci manca. Il premier – preoccupato dalla vasta eco della crisi sull’opinione pubblica nazionale – ha voluto di fatto intervenire direttamente nella crisi siciliana. Oltre allo «stato di emergenza» Cuffaro porta a casa i 45 milioni di euro per coprire parte dei danni del settore agrumicolo e zootecnico (che superano secondo stime della Regione i 250 milioni di euro), l’impegno del Genio militare per far confluire l’ acqua della diga Rosamarina («l’ unica in cui ci sia ancora acqua») a Palermo, infine l’ utilizzo di tre navi dotate di moduli dissalatori. «Esistono – assicura Cuffaro – e ogni nave ha una produzione teorica di circa cento litri al secondo». Anche se, riconosce, l’ operazione è piuttosto gravosa: l’ acqua costerà circa un euro al metro cubo. L’ impressione in realtà diffusa già nel pomeriggio negli ambienti della maggioranza è che la svolta romana sull’ emergenza idrica costituisca solo il primo passo di un più ampio «commissariamento». Che potrebbe portare nei prossimi mesi anche a un’ iniziativa analoga sul fronte dei fondi a rischio di Agenda 2000. Non è un caso se il ministero del Tesoro (al fianco di Tremonti c’ è Gianfranco Micciché, coordinatore siciliano di Forza Italia) ha già avviato una trattativa con Bruxelles per rimodulare il documento di programmazione dei fondi. Insomma, gli attriti tutti di natura politica tra l’ Udc di Cuffaro e il primo partito della coalizione, potrebbero avere dirette ripercussione sui grossi nodi economici. Ovvero sulla gestione dei 9 miliardi di euro di Agenda 2000 (finora non spesi) e sul miliardo 300 milioni di euro a disposizione della Regione per l’ emergenza idrica. In apparenza è idillio. Berlusconi ieri ha scherzato con Cuffaro a beneficio dei giornalisti: «Ecco il presidente della Regione, al quale vi prego di fare i complimenti per il dimagrimento a cui si è sottoposto, lo dovevate vedere prima. Ora non ha più ritenzione idrica».

Della situazione di Agrigento si occupò, sempre per Repubblica, Attilio Bolzoni nel 2008. Riferendosi anche al commissario straordinario della Regione Nicolò Scialabba che nel 1991 aveva dimostrato come il problema fosse “creato ad hoc”. E per questo pagò duramente.

Cosa c’è sotto Agrigento lo sanno tutti e non lo sa nessuno. è un segreto grande protetto da tanti piccoli segreti. Ogni agrigentino conosce solo i suoi tubi, il suo allaccio, il suo prolungamento, le sue cisterne, il suo acquedotto personale. Una rete idrica tutta privata che si attorciglia abusiva nelle viscere della Valle dei Templi. è fatta in casa, a uso familiare. Passa lì in fondo il mistero di Agrigento, l’ ultima città italiana senz’acqua. C’è e non c’è, come sempre è stato da questi parti. Diceva con una punta di orgoglio una ventina di anni fa Salvatore Sciangula, un agrigentino di Porto Empedocle che era diventato il potente assessore ai Lavori Pubblici della Regione siciliana: «Qui l’acqua deve togliere la fame, ma mai la sete». Vent’anni dopo la mappa delle condotte che la trasportano è ancora introvabile come una mappa del tesoro. Non ce l’hanno i geometri dell’ ufficio idrico comunale. Non ce l’ha il sindaco. Non ce l’ha il prefetto. Vaghi ricordi su quel labirinto di canali e serpentine in ghisa, resistono ormai solo nella memoria di qualche vecchio fontaniere. è l’ “emergenza” che non finisce mai. Da mezzo secolo in città si parla sempre e soltanto di litri al secondo, di metri cubi pompati o scaricati, dei livelli delle dighe e degli invasi. La Castello, il Fanaco e il Leone, il Gammauta, la Garcia. Tutti a controllare ossessivamente l’altezza del liquido e il cielo che non minaccia pioggia. I quotidiani locali pubblicano in grande evidenza la rubrica dei turni di «erogazione» zona per zona, strada per strada, palazzo per palazzo. In certi quartieri che si allungano disordinatamente verso il mare – Cannatello, San Leone, la casba intorno alla foce del fiume Naro – la distribuzione tocca ancora ogni una o due settimane. La scorsa estate anche ogni tre, a volte ogni quattro. Un mese intero  all’asciutto. Ma poi sono arrivati i carabinieri. Da Agrigento vi raccontiamo come (forse) fra qualche anno metteranno pure i contatori in ogni condominio e come (forse) finalmente arriverà ogni giorno come nel resto d’ Europa. Cominciamo però dai carabinieri. Ne sono sbarcati 20 da Roma, a caccia dei ladri d’ acqua. Li hanno «aggregati» al comando di Licata, il paese al centro delle campagne dove quei furti avvenivano. Sono «operativi» dalla fine di agosto, il ministro degli Interni Maroni li farà restare in Sicilia almeno sino a Natale. Sono di ronda lungo i quaranta chilometri della «dissalata» che parte da Gela, in elicottero sorvolano colline, fotografano laghi che prima non c’ erano mai stati. Scavati fra le serre per riempirli di acqua rubata. Ne hanno già trovati otto, uno era di 15 mila metri quadrati, un altro di 14 mila, altri due di 12 mila e 9 mila metri. Qualcuno aveva le chiavi per aprire le condotte, altri hanno costruito «strade» sotterranee per convogliare l’ acqua nei loro laghi e poi venderla al migliore offerente. Un mercato. I carabinieri hanno già arrestato dodici predatori e un po’ di acqua in più adesso raggiunge la Rupe Atenea, ma in abbondanza c’ è solo sulla carta e forse qualche volta nei serbatoi comunali. Nelle case sale o scende sempre troppo lentamente, troppo raramente. Sulla carta ce n’ è addirittura tanta: duecentotrenta litri al giorno per ogni abitante. Questi però sono soltanto grafici e numeri, in realtà si disperde tutta in quelle migliaia e migliaia di piccoli acquedotti privati che la dirottano in gigantesche cisterne. Le hanno costruite nel sottosuolo di Agrigento per «accaparrarsi» scorte su scorte, per conservarla aspettando il peggio. Tanto quasi nessuno paga l’ acqua che consuma. è a forfait. Il contatore è un optional. Comunque l’acqua di Agrigento è la più cara d’Italia: 445 euro è la bolletta annua che paga mediamente un agrigentino. Un milanese la paga quattro volte in meno: 106 euro. «Se non si rifà tutta la rete idrica interna, Agrigento non avrà mai l’acqua che gli serve e questa dannazione non avrà mai fine», dice Giuseppe Arnone, consigliere comunale del Pd e leader siciliano di Legambiente. In verità qualcuno ci sta pensando. Il nuovo sindaco Marco Zambuto – eletto con un’ alleanza di centrosinistra più alcune liste civiche ma poi transitato verso il centrodestra – ci sta provando e a quanto pare anche seriamente. Uno che gli sta dando una mano è il ministro di Grazia e Giustizia Angelino Alfano. Dicono che lui, agrigentino, voglia lasciare un segno, passare alla storia come «il concittadino che ha portato l’ acqua ad Agrigento». Alla fine dell’ estate il ministro ha bussato alla porta di Berlusconi per chiedere un finanziamento straordinario per la sete di Agrigento. L’annuncio del «miracolo» è atteso da un giorno all’altro. Intanto la società privata che gestisce il servizio in città – la Girgenti Acque Spa – e che ha ereditato un passato disastroso, fa quello che può attirandosi rabbie e rogne. Nella rete che perde fino al 40 e al 50 per cento, in pochi mesi gli interventi per mettere qualche «pezza» alle condotte sono stati 1268. «è paradossale quello che accade soltanto alle porte della città», spiega il prefetto Umberto Postiglione. E racconta: «Accanto a questa realtà ce n’è un’altra straordinaria, quella del consorzio di bonifica Agrigento 3 che serve la parte occidentale della provincia. Le perdite, lì, non superano mai l’ 1 per cento. Il sistema di erogazione è tutto computerizzato, i contadini della zona pagano in anticipo e in anticipo prenotano la quantità di acqua di cui hanno bisogno e perfino il giorno e l’ ora di quando la vogliono avere». A pochi chilometri però c’ è Agrigento dove un predecessore di Umberto Postiglione, il commissario straordinario Nicola Scialabba, nel 1991 fa era riuscito a farne arrivare per qualche mese addirittura 400 litri al secondo. Come quella che c’è ad Amsterdam. Durò poco. L’acqua e anche il commissario straordinario. Forse aveva proprio ragione quell’assessore regionale ai lavori pubblici. Ad Agrigento l’acqua deve togliere la fame, mai la sete.

Perché abbiamo riportato questi due interessanti articoli per parlare di un problema che accade oggi? Perché quel problema viene da lontano. Come ad Agrigento anche a Caltanissetta e in altre città i giornali devono pubblicare giornalmente i turni di erogazione dell’acqua. A Caltanissetta la società Caltacqua Spa (che si rifornisce da Siciliacque Spa) eroga a singhiozzo, il sindaco del capoluogo siciliano, Giovanni Ruvolo ha dovuto avvisare i cittadini di non utilizzare l’acqua erogata per “fini alimentari” giustamente preoccupato dalle torbide acque inquinate. Esaminare uno per uno tutti i disservizi sarebbe opera enciclopedica. Ricordiamo solo che anche a Gela l’erogazione avviene ogni due o tre giorni, naturalmente per poche ore.

Chi dovrebbe provvedere a far funzionare i servizi essenziali in Sicilia? Chi dovrebbe mettere in atto la nuova legge regionale per l’acqua pubblica? Chi dovrebbe far pensare ai siciliani di essere un pezzo dell’Italia? Dei politici (quelli veri, nel senso nobile del termine) non vediamo traccia né sentiamo odore per cui nemmeno ne parliamo, i politicanti in carica (tutti) non meritano neanche menzione.

In Sicilia, nel 2015 manca ancora l’acqua. E pure il resto… reazione popolare compresa.

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