di Luigi Asero
Omero ci narra che Ulisse, durante il suo lungo viaggio di ritorno dalla guerra di Troia, sbarcò nella Terra dei Ciclopi (forse nelľantica Trinacria). Spinto dalla curiosità, Ulisse raggiunse la grotta del più terribile di tutti, Polifemo, dove lui e i suoi compagni vennero catturati dal gigante. Vennero, inoltre, mangiati e divorati sei uomini dei dodici scelti da Ulisse per esplorare l’isola. Intrappolati nella caverna del Ciclope, il cui ingresso era bloccato da un masso enorme, Ulisse escogitò un piano per sfuggire alla prigionia di Polifemo. Come prima mossa, egli offrì del vino dolcissimo e molto forte al Ciclope, con l’intento di inibirgli i sensi ed indurlo in un sonno profondo. Polifemo gradì così tanto il vino che promise a Ulisse un dono, chiedendogli però il suo nome. Ulisse, astutamente, gli rispose allora di chiamarsi “Nessuno” “E io mangerò per ultimo Nessuno”, fu il dono del ciclope. Dopodiché Polifemo si addormentò profondamente, stordito dal vino. Qui Ulisse mise in atto la seconda parte del suo piano. Egli infatti, insieme ai suoi compagni, aveva preparato un bastone di notevoli dimensioni ricavato da un ulivo (donatogli, si pensa, da Atena), che una volta arroventato fu piantato nell’occhio del Ciclope dormiente dai Greci. Polifemo urlò così forte da destare dal sonno i ciclopi suoi fratelli. Essi corsero allora alla porta della sua grotta mentre Ulisse e i suoi compagni si nascondevano vicino al gregge del ciclope Polifemo. I ciclopi chiesero a Polifemo perché avesse urlato così forte e perché stesse invocando aiuto, ed egli rispose loro che “Nessuno” (in realtà Ulisse) stava cercando di ucciderlo. I ciclopi pensandolo ubriaco lo lasciarono allora nel suo dolore. La mattina dopo, mentre Polifemo faceva uscire il suo gregge per liberarlo, giacché lui non sarebbe stato più in grado di guidarlo, Ulisse e i suoi soldati scapparono grazie a un altro abile stratagemma, che faceva parte della terza parte del suo piano. Ognuno di loro si aggrappò infatti al vello del ventre di una pecora per sfuggire al tocco di Polifemo, poiché il Ciclope si era posto davanti alla porta della caverna, tastando ogni pecora in uscita per impedire ai Greci di fuggire. Ulisse, ultimo ad uscire dalla grotta, la fece aggrappato all’ariete più grande, la preferita del Ciclope.
Accortosi della fuga dei Greci, Polifemo si spinse su un promontorio, dove, alla cieca, iniziò a gettare rocce contro il mare, nel tentativo di affondare la nave. Qui Ulisse, spinto dalla vanità, commise un errore. All’ennesimo tiro a vuoto del Gigante, Ulisse, ridendo, ebbe a gridare: «Se qualcuno ti chiederà chi ti ha accecato, rispondi che non fu Oudeis (“Nessuno”), ma Ulisse d’Itaca!», rivelando così il suo vero nome. Polifemo, venuto allora a conoscenza dell’identità del Greco, ebbe a maledirlo, invocando il padre suo Poseidone e pregandolo di non farlo mai ritornare in Patria. (cit. Wikipedia)
La leggenda di Ulisse che si definì Nessuno per ingannare il ciclope Polifemo, ci sembra la miglior metafora per definire cosa è diventata (e così era evidentemente anche nell’antichità) la fu Trinacria, oggi Sicilia. Certo non siamo nel poema omerico e i novelli Ulisse e Polifemo altro non sono che i “giganti” capaci di ingannare il popolo siciliano, che potremmo definire soltanto come il “gregge”.
Torniamo ai nostri giorni, con il realismo che s’impone per parlare dei gravi fatti che ogni giorno viviamo. Più volte abbiamo denunciato la mancanza di responsabilità da parte della classe politica e dirigente, siciliana e non. La Sicilia è -dati statistici alla mano- la regione più povera d’Italia, la regione con il più alto tasso di disoccupazione giovanile, la regione con il più alto tasso di chiusura delle aziende medio piccole e artigianali, la regione con il più alto numero di forestali (e il più alto numero di incendi boschivi), la regione con il più alto numero di dipendenti regionali (quasi 16 mila contro i 3.900 della regione Lombardia) ma anche un apparato regionale fra i meno funzionali d’Italia. Titolava pochi giorni fa LiveSicilia, con un bell’editoriale di Accursio Sabella -e non possiamo non condividerne il pensiero- “Sicilia senza governo, leggi e soldi. A chi di questi 3 presentare il conto?“. E chi sono i tre in questione? Ma naturalmente Rosario Crocetta (“Saro il saltimbanco”, “Saretto da Gela” o chiamatelo come volete, comunque sia il guitto più guitto che il sistema politico abbia creato). A lui, e ai suoi disastri si aggiungono non necessariamente in ordine Davide Faraone e Fausto Raciti.
Purtroppo la lista di personaggi cui bisognerebbe presentare il conto la vediamo ben più lunga di questi banali tre nomi di quaqquaraqquà siculi. Una lista che a scriverla sul “rotolone che non finisce mai” siamo certi che stavolta ne dimostriamo i suoi limiti: finisce prima il famoso rotolone!
Non necessariamente nomi di politici, ma migliaia di nomi di quel sottobosco che per decenni li ha protetti, mai sbugiardati, mai denunciati come si conveniva a un’informazione che sia tale. Giornalisti, massoni, para-massoni, imprenditori, professionisti, tutto quel bailamme che vive di parassitismo. In mezzo i siciliani inerti.
Oggi siamo qui. Senza sistema viari, senza sistemi di trasporto pubblico efficienti, senza un’economia solida, ma ricchi di basi militari che saranno il vero problema nei mesi che ci prepariamo ad affrontare. Impossibile non pensare infatti che la guerra ormai in corso (e da tutti negata a parole) non coinvolga la Sicilia in prima linea.
A chi chiedere il conto veramente? Pur volendo provare a farlo, forse l’unica risposta sarà la prima, quella epica: Nessuno.
La Sicilia è in mano a Nessuno