di Salvo Barbagallo
A due passi da casa nostra c’è il caos rappresentato dalla Libia: una striscia di mare è il confine. La Sicilia è l’avamposto sulla frontiera del caos, ma per chi governa la Regione il problema non esiste, non è preso in considerazione. Questo atteggiamento di indifferenza riguarda anche chi governa l’Italia, tant’è (come si è potuto notare) che di fronte a un pericolo “terrorismo” jihadista in materia di sicurezza si è pensato soltanto a rafforzare la sorveglianza di obbiettivi “sensibili” solo in poche città. Non certo al sud, non certo in Sicilia. Ma, forse, questa concezione della “sicurezza” non è errata: cosa ha da temere la Sicilia dall’estremismo taglia-teste del Califfato nero? Non può di certo ripetersi quanto accadde nel lontanissimo 827 con l’invasione araba che portò alla dominazione islamica dell’isola per mezzo secolo, con la creazione di tre emirati indipendenti, quello di Mazara del Vallo (emiro ʿAbd Allāh ibn Mankūt), di Siracusa (emiro Ibn al-Thumna) e di Enna (emiro Ibn al-Ḥawwās). I tempi sono diversi. Ma non solo.
La Sicilia oggi è forse l’isola più “armata” del Continente europeo: da Sigonella a Niscemi, ad Augusta a Trapani. Poca importanza ha che la massiccia e stanziale presenza militar-bellica sia made in USA: gli Stati Uniti d’America sono alleati dell’Italia e non permetterebbero mai una invasione, tenendo conto che l’isola è già “occupata” da loro e qualsiasi “ingerenza” estranea non sarebbe gradita.
Certo, il terrorismo è cosa ben diversa da una invasione di massa, anche se c’è già una “massa” araba (mai quantificata, ma consistente) perfettamente integrata nel tessuto sociale siciliano. Certo oggi non siamo nel 1200 (o giù da lì) e Rosario Crocetta non è Federico II di Svevia e, quindi, il discorso dell’integrazione è cosa ben diversa. L’azione dell’imperatore svevo creò un nuovo equilibrio nel complesso quadro dell’intero Mediterraneo con inediti scenari fra Nord, ossia Europa del nord, e Sud ossia Paesi del sud dell’Europa ma al contempo del versante settentrionale del mar Mediterraneo. Oggi non c’è un “nuovo” Federico di Svevia, e quanto accade a due passi da casa nostra dovrebbe far riflettere.
Come ha scritto Lorenzo Cremonesi sul Corriere della Sera di domenica scorsa (30 novembre) “Da tempo i tagliagole del Califfato approfittano del caos imperante in Libia per allargare la loro presenza. Un caos che è persino peggiorato con il recente fallimento della missione pacificatrice volta alla creazione di un governo di unità nazionale tra le milizie rivali basate a Tobruk e Tripoli del mediatore dell’Onu Bernardino Leon (…) Ma ora l’incubo minaccioso e violento dell’Isis torna all’ordine del giorno dopo che due quotidiani rilevanti come il New York Times e il Wall Street Journal , citando per lo più fonti dell’intelligence Usa e testimoni in Libia, segnalano con preoccupazione il suo nuovo radicamento nelle stesse regioni che sino alle rivolte del 2011 erano le più fedeli all’ex colonnello Gheddafi…”. E Sergio Rame su Il Giornale era stato esplicito: “Sirte la nuova Raqqa. I servizi di intelligence occidentali temono che la città nel nordest della Libia possa diventare la nuova capitale dello Stato islamico, a due passi dall’Europa. Da qui il Califfo Abu Bakr al Baghdadi e la sua cerchia più stretta di tagliagole potrebbero continuare a seminare terrore in tutto il Vecchio Continente. Anche se dovessero essere cacciati via dalla Siria e dall’Iraq (…) Il quadro è dunque allarmante. Il presidente americano, Barack Obama, ha di recente sottolineato come una delle svolte necessarie nella lotta all’Isis da parte della coalizione internazionale sia proprio quella di agire con determinazione anche al di fuori di Siria e Iraq, a partire dalla Libia…”.
Una situazione allarmante della quale non si discute in Sicilia, nonostante l’isola sia il punto cruciale dell’area del Mediterraneo che porta direttamente in Europa. Questa della Sicilia, nell’attuale contesto internazionale dominato dalle mille problematiche che il terrorismo Daesh-Isis ha posto sul tappeto, è una situazione particolare che meriterebbe più di una riflessione da parte del presidente della Repubblica Sergio Mattarella e da parte del ministro dell’Interno Angelino Alfano, entrambi Siciliani, che conoscono a fondo la loro Terra e chi attualmente la governa.