Quel piede che cerca la buccia di banana

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di Salvo Barbagallo

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L’anno nuovo punta inevitabilmente l’attenzione sull’area dei Paesi del Medio Oriente e del Mediterraneo là dove l’instabilità politica/economica/militare è ad alto rischio, e dove è facile precipitare nel baratro profondo di un caos irreversibile. Non è il solo scenario oscuro che si presenta in questo 2016 appena iniziato, anche l’Europa e anche Oltre Oceano proiettano ombre sul futuro all’insegna dell’incerto.

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L'imam sciita Nimr al-Nimr
L’imam sciita Nimr al-Nimr

E’ l’Arabia Saudita che ha innescato un pericoloso processo di scontro tra sunniti e sciiti, dopo l’esecuzione di 47 persone accusate di terrorismo, tra i quali lo Sheikh sciita Nimr al Nimr imam della moschea di Qatif a Al Awamiyya nell’est del Paese. Secondo il ministero dell’Interno di Riad, la maggior parte dei giustiziati era stata condannata per attentati compiuti da Al Qaeda tra il 2003 e il 2006 in cui erano rimasti uccisi numerosi sauditi e stranieri. Lo Sheikh Al Nimr, che nel 2009 aveva fatto appello alla secessione delle province orientali, ricche di petrolio e dove vive la maggioranza dei due milioni di sciiti del Regno, era stato condannato lo scorso anno da una Corte speciale a Riad per “sedizione” e per avere posseduto armi. Il leader sciita aveva respinto quest’ultima accusa e aveva detto di non aver mai incitato alla violenza. Inevitabile la reazione degli sciiti, mentre in Iran la risposta è stata violenta, con l’ambasciata saudita a Teheran presa d’assalto da decine di manifestanti, che hanno lanciato bombe incendiarie contro la rappresentanza diplomatica, saccheggiandola prima di essere dispersi dalla polizia. Prima dell’assalto all’ambasciata si era avuto notizia di un primo attacco al consolato saudita a Mashaad. L’Iran, potenza rivale di Riad nella regione, si è scagliato contro l’Arabia Saudita annunciando che pagherà “a caro prezzo” l’esecuzione di Al Nimr. Le proteste divampano dall’Iraq al Libano allo Yemen. Da Beirut il movimento sciita libanese Hezbollah, alleato di Teheran, ha affermato di ritenere “gli Usa e i suoi alleati responsabili” per le esecuzioni, perché “coprono i crimini del Regno”. Dal canto suo l’amministrazione Obama ha chiesto all’Arabia Saudita di mostrare moderazione sul fronte del rispetto dei diritti umani: gli Usa si sono detti “particolarmente preoccupati” che l’esecuzione dell’imam rischi di “esacerbare le tensioni”. Il direttore di “Human Rights Watch” per il Medio Oriente Sarah Leah Whitson ha sottolineato come l’esecuzione di massa macchia ulteriormente lo stato dei diritti umani in Arabia Saudita. Ma il messaggio che la dinastia sunnita degli al-Saud ha lanciato dagli osservatori è ritenuto chiaro: rottura del progetto di riavvicinamento fra sunniti e sciiti a cui sta lavorando l’Occidente. Una mossa che rischia di alterare profondamente il corso della guerra nell’area contro lo Stato Islamico. Si teme, a questo punto, una escalation che potrebbe provocare un “effetto domino” in tutto il territorio. Una situazione esplosiva che sta facendo dimenticare le “provocazioni” di Erdogan in Turchia, l’ancora non risolta “pacificazione” in Libia, il problema dei migranti che vogliono raggiungere l’Europa.

L'assalto all'ambasciata dell'Arabia Saudita
L’assalto all’ambasciata dell’Arabia Saudita

E instabilità anche in Europa che è costretta a fare conti con il terrorismo jiadista: dalla Francia al Belgio, all’Italia la tensione resta, anche se apparentemente tutto sembra scorrere più tranquillamente. Episodi che riguardano arresti ed espulsioni di personaggi legati, in un modo o in un altro, al Califfato nero, sono passati in secondo piano sui mass media, nel clima di festività blindate e sotto il controllo delle forze di polizia dei vari Paesi. Il Vaticano ne sta facendo le spese, con una notevole diminuizione di fedeli proprio nell’anno del Giubileo. In Spagna due settimane dopo le elezioni, non c’è un governo. Una situazione mai vissuta in quarant’anni di democrazia, che nessuno sembra poter sbloccare. Nessuno ha la maggioranza sufficiente per governare. Senza accordi il Re sarà costretto a riconvocare le elezioni per la prossima primavera. E poi c’è Vladimir Putin che, con il suo decreto n. 683 del 31 dicembre scorso, ha dichiarato in vigore la nuova Strategia della sicurezza nazionale russa. Il documento stabilisce la graduatoria delle minacce principali alla Russia per i prossimi sei anni: al primo posto si trova la Nato, in particolare la sua espansione verso i confini russi. Il nemico principale? Per Putin gli Stati Uniti e i loro alleati che vogliono conservare un ruolo dominante nelle vicende internazionali. Il terrorismo? Putin riconferma: la nascita e il consolidamento dell’Isis sono il frutto della politica dei doppi standard di alcuni Paesi.

Dal quadro complessivo sembra emergere una “volontà” occulta che sembra voler ricercare la classica “buccia di banana” per “scivolare” sull’inevitabile e provocare, di conseguenza, un “qualcosa” di terrificante che difficilmente si potrebbe arrestare. Si tratta del masochismo insito nella natura dell’uomo, oppure di “banale” e sproporzionata sete di potere “assoluto” di una qualche potenza o di coalizioni di lobby economiche? Gli eventi di questo immediato futuro “forse” potranno dare una risposta all’interrogativo.

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