di Salvo Barbagallo
Non fa presa sui principali mass media nazionali la protesta dei tremila dipendenti della raffineria Eni di Gela: è una rabbia che non trova riscontro, neanche da parte dei massimi organi governativi, né dei sottomessi responsabili regionali. E ciò nonostante che siano stati fermati tutti i pozzi petroliferi e ridotta la fornitura del gasdotto libico “Greenstream”. La protesta è forte, il motivo “semplice”: la paventata chiusura della raffineria e la lunga e stressante attesa per la riconversione degli impianti in “green refinery”. Da anni i lavoratori di Gela attendono l’avvio degli investimenti reclamizzati che avrebbero dovuto garantire lavoro e bonifiche in base al protocollo d’intesa sulla riconversione della raffineria. Fermi da oltre due anni ed esauriti tutti gli ammortizzatori, i lavoratori delle imprese appaltatrici ora rischiano il licenziamento perché non sono stati mai aperti i cantieri concordati con il protocollo d’intesa del novembre 2014, che avrebbero dovuto realizzare opere per 2,2 miliardi di euro in Sicilia.
Eni e governo nazionale in più circostanze hanno sostenuto che il “caso Gela” poteva considerarsi risolto. Una “conclusione” della vertenza raggiunta, come il premier Matteo Renzi ebbe ad affermare in municipio a Gela la vigilia del Ferragosto del 2014. Ma a distanza di due anni dall’accordo e quattro dalla fermata degli impianti, tutto è rimasto bloccato perché Stato, Regione, Comune, Eni e parti sociali non sono ancora riusciti a siglare l’accordo di programma, necessario per stabilire tempi e modi di intervento nelle bonifiche, negli insediamenti produttivi e nella riconversione biologica della raffinazione.
Dall’alba di martedì scorso (19 gennaio) i sindacati confederali, i lavoratori dell’indotto e i dipendenti hanno letteralmente bloccato le vie d’accesso alla città con due blocchi sulle strade per Catania e Licata e la mobilitazione dei lavoratori si è accentuata. I blocchi hanno provocato inevitabili rallentamenti nel traffico veicolare, creando disagi a studenti, pendolari, automobilisti, mezzi pesanti per via delle lunghe code nelle strade di collegamento più importanti. Un terzo presidio è stato attivato sulla Gela-Vittoria, e al momento si potrà uscire o entrare apertamente a Gela solo via mare. Cgil, Cisl e Uil hanno annunciato battaglia a oltranza affermando che la protesta continuerà fino a quando non si avranno certezze sull’avvio dei cantieri e degli investimenti che siano in grado di restituire serenità a centinaia di famiglie.
Ieri sindacati e lavoratori hanno sollecitato a partecipare alla mobilitazione tutte le categorie: le ripercussioni della crisi economica in atto toccano ogni settore. Alla mobilitazione generale hanno aderito le associazioni e i sindacati di artigiani e commercianti, mentre gli esercenti espongono nei loro negozi un cartello con la dicitura “Vendesi – Vertenza Gela”. Nel corso delle riunioni con le varie categorie produttive, Cgil Cisl e Uil hanno deciso di non organizzare cortei ma di incrementare il numero delle presenze nei presidi stradali. Una lettera aperta è stata inviata al premier Matteo Renzi nella quale si sottolinea che questa è la vertenza di una intera città che non vuole morire. Chissà se Renzi avrà il tempo (o l’interesse) di attenzionarla questa lettera, e (finamente!) dare una risposta concreta alle aspettative di una città e di un territorio che precipita nel baratro. Se Roma tace, Palermo fa altrettanto: nessuna presa di posizione da parte di chi governa la Regione. Anche il presidente Rosario Crocetta (evidentemente) ha altro a cui pensare.