Turchia, troppi i misteri del “golpe” fallito

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di Salvo Barbagallo

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Ora, a distanza di meno di ventiquattro ore, in molti si chiedono se il tentato “golpe” dei militari non sia stato un’accurata manipolazione dello stesso Erdogan: ipotesi che non esclude la realtà del “caos” complessivo che può attualmente regnare nel Paese. L’ipotesi, che può apparire tanto di “fantapolitica”, si basa su frammenti di verità dei fatti, quali: la presunta “fuga” di Erdogan in Germania, l’inconsistenza delle forze golpiste che hanno avuto la peggio nel “confronto” con le forze di polizia, la conclusione del “tentativo” di colpo di Stato nel giro di poche ore e, soprattutto, la reazione della popolazione, o di parte (gran parte?) della popolazione delle due principali metropoli turche, quella della capitale Ankara e quella di Istanbul.

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Ovviamente la situazione è in evoluzione e i dati “principali” che hanno caratterizzato quest’azione militare anti Erdogan non sono noti, e forse non lo saranno mai.

In questo momento può apparire retorico o accademico parlare, pertanto, di “messa in scena” o di tentativo “naufragato”, o, addirittura, di golpe “fasullo” perché, alla fine, la consistenza della reazione governativa è stata più forte e non prevista da parte dei golpisti. Certo è che Recep Tayyip Erdogan è lì a tenere le redini del Paese e che la folla (quella che si è vista dai filmati della Cnn turca) lo applaude come un “salvatore”.

Ma, allora, cosa è accaduto veramente? Difficile dare una risposta a questo interrogativo. Saranno necessari giorni per avere più chiaro il quadro della situazione, occorrerà vedere e capire come Erdogan si muoverà sia nei confronti delle varie “facce” del suo Paese, sia nei confronti della Comunità internazionale, sia verso gli alleati nella NATO. Aspetti di una sola medaglia che, allo stato attuale, presenta solo il “lato” del fallito golpe.

I fatti che si conoscono parlano di un’azione militare che si è concretamente snodata appena nell’arco di cinque ore, mentre si ignora la “preparazione” a monte:

* sono quasi le ore 22 quando lo Stato maggiore dell’esercito turco annuncia di aver preso il potere nel Paese per ristabilire l’ordine democratico e la libertà. Dall’altra parte il premier turco, Binali Yildirim denuncia il tentativo illegale di assumere il potere da parte di un gruppo all’interno dell’esercito e che. le nostre forze useranno la forza contro la forza. Il premier turco, Binali Yildirim afferma anche che il colpo di Stato non riuscirà e i responsabili saranno puniti.

* A distanza di 4 ore dall’annuncio, alle due di notte, il premier turco Binali Yildrim assicura: La situazione è largamente sotto controllo.

* Poco dopo l’annuncio la tv di Stato, occupata e oscurata dai militari, riprende le trasmissioni.

* Alle prime luci dell’alba il presidente Erdogan, che ufficialmente era in vacanza sul mar Egeo e che dopo avere appreso del golpe, secondo fonti mai confermate, si dirige in volo in Germania per poi tornare ad Istanbul, dove ad attenderlo all’aeroporto c’è una folla che lo acclama e alla quale lui si indirizza: Voglio ringraziarvi per quello che avete fatto stanotte a nome mio e della nazione. Restiamo insieme: una nazione, una bandiera, una patria, uno Stato.

* Qualche ora dopo viene liberato Halusi Akar, capo delle forze armate turche, tenuto prigioniero dai militari golpisti in una base aerea alla periferia di Ankara.

 

A conti fatti, o quasi:

il primo ministro turco, Binali Yildirim, dichiara che sono 2.893 i militari arrestati in seguito al tentato golpe, precisando che tra essi ci sono semplici soldati e ufficiali di alto rango, affermando saranno puniti come meritano. Le vittime degli scontri sarebbero duecento, secondo il “bilancio” effettuato dal generale Umit Dundar, facente funzioni del capo delle forze armate. Fra i morti 41 ufficiali di polizia, due soldati, 47 civili e 104 persone descritte come “complottisti”. Otto persone a bordo di un elicottero militare sono atterrate in Grecia e hanno chiesto asilo politico al governo di Atene, il ministro degli Esteri turco, Mevlut Cavusoglu, ha avanzato richiesta alla Grecia che vengano consegnate alle autorità di Ankara. L’Alto consiglio di giudici e procuratori ha rimosso dall’incarico 2.745 giudici in tutto il Paese. La responsabilità del tentativo di golpe viene attribuita a Fetullah Gulen, oppositore di Erdogan: ex alleato del presidente turco, magnate, finanziatore di svariate campagne elettorali di Erdogan, ora viene considerato un terrorista alla stregua del Pkk, il Partito dei lavoratori del Kurdistan. Il Segretario di Stato americano John Kerry ha invitato Ankara e mostrare, se esistono, indizi in grado di attribuire a Fetullah Gulen la responsabilità di quanto accaduto, esprimendo rammarico perché l’aeroporto turco di Incirlik, usato dagli Stati Uniti per lanciare raid aerei contro l’Isis, è stato chiuso. Intanto le opposizioni accusano: Deniz Baykal, ex segretario del partito repubblicano Chp e personaggio di spicco della politica turca afferma che Erdogan ha organizzato il tentativo di golpe per cambiare la Costituzione e realizzare l’anelato presidenzialismo.

Ora Erdogan si prepara a sferrare un pesante giro di vite contro i golpisti e chi li ha sostenuti.

Intanto la vita nel Paese riprende, almeno apparentemente, il suo ritmo. Gli aeroporti sono stati poi riaperti ma molti velivoli ancora non decollano. British Airways ha cancellato i voli per la Turchia. Lufthansa ha cancellato ieri otto dei suoi dieci voli dalla Germania alla Turchia, dopo aver già cancellato circa una dozzina di voli dall’inizio del golpe. Anche Eurowings, la filiale di Lufthansa che controlla la compagnia low-cost Germanwings e gestisce il grosso dei voli interni ed europei di Lufthansa, ha annunciato la sospensione di tutti i suoi voli tra la Germania e Ankara e Istanbul. I voli Alitalia da e per la Turchia restano sospesi fino a oggi per motivi di cautela.

Dunque bisognerà attendere gli avvenimenti dei prossimi giorni per comprendere in che direzione si muoverà Erdogan, che dovrà tenere in debito conto le reazioni in campo internazionale onde evitare un isolamento quantomeno “precauzionale” anche da parte dei Paesi cosiddetti “amici”.

 

 

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