Lo sviluppo è una scelta e non è un percorso obbligato. L’idea è una giustissima idea ed è un’idea “liberale” nel senso più profondo e nobile del termine, perché implica il concetto, appunto, di scelta e rigetta ogni approccio deterministico che esclude il “libero arbitrio”, la libera capacità di autodeterminarsi di una comunità e pone la politica del fatto compiuto come l’unica opzione praticabile. Ma nel clima di ribaltamento complessivo che viviamo, diventa un’idea fragile, che abita più nelle belle speranze e nelle buone letture che nella realtà vera. Lo sviluppo, nel nostro Paese forse più che altrove, è stato sostanzialmente un convulso e poco ponderato sfruttamento intensivo del territorio e delle sue risorse. E’ stato benessere economico di tanti ma anche spoliazione ai danni di intere regioni e di intere collettività, tacitate e accecate dalla promessa di chimerici vantaggi immediati e rapinati di un futuro compromesso da scelte (altrui) sbagliate, sacrificato sull’altare dell’avidità (sempre altrui) a breve scadenza. E soprattutto lo sviluppo siciliano è stato una somma paurosa di fatti compiuti: prima si trivellava, si raffinava, si speculava, si costruiva, poi si constatavano le conseguenze. Parliamo al passato, ma nulla nel presente è cambiato.
Nel clima di planetario sgomento che l’incidente sulla piattaforma petrolifera nel Golfo del Messico ha destato nelle coscienze di ciascuno di noi, non possono passare sotto traccia i “fatti compiuti” davanti ai quali qualcuno molto spesso inopinatamente ancora ci pone.
Risale all’aprile dello scorso anno, ha una durata di sei anni, interessa un’area complessiva di460 kmquadrati: è la nuova concessione per la ricerca di idrocarburi in mare nel tratto che va da Scoglitti a Sampieri, che il Ministero dello Sviluppo economico ha rilasciato alla Srn, Sviluppo risorse naturali, società con sede in Roma e controllata dalla “Mediterranean Resources” che ha invece sede ad Austin in Texas. Entro la fine dell’anno in corsola Srndovrebbe entrare in possesso di tutte le autorizzazioni necessarie ad iniziare le indagini sottomarine che nel caso dovessero dare esito positivo lascerebbero il passo all’allestimento dei pozzi veri e propri.
Ci risiamo dunque. Ancora i texani all’assalto delle risorse del nostro sottosuolo. Dopola Panther Oil, costretta dalle opposizioni dei territori interessati alle loro ricerche di idrocarburi, in particolare a Noto e nel ragusano, a sbaraccare, si apre un nuovo fronte di resistenza. Nondimeno, esso non è il solo che, come d’incanto, si apre in questa assurda guerra infinita delle compagnie petrolifere che, con il benestare di assessori regionali e politici locali compiacenti, danno l’assalto alle risorse di un territorio che da tempo dice no a ogni tentativo di violenza.
Sempre la Mediterranean Resources, attraverso la controllata Irminio srl, ha ottenuto il permesso di effettuare ricerche di idrocarburi liquidi e gassosi in territorio sciclitano, financo in una zona limitrofa alla riserva naturale di Mangiagesso e in quella prospiciente la fornace Penna. Un’area che si estende per9.600 ettari, interamente ricadente nel territorio del comune di Scicli, comprendente monumenti patrimonio Unesco dell’umanità, beni artistici, archeologici, paesaggistici di enorme rilievo, individuati dalla Comunità Europea come Sit, Siti di importanza comunitaria, e zone di protezione speciale, Zps. Ancora una volta ci troviamo davanti al “fatto compiuto”.
Fosse finita. In una zona tra Ragusa e Santa Croce Camerina, in contrada Cammarana, a un tiro di schioppo dall’antica città di Kamarina, in piena zona archeologica, la sovrintendente ai Beni archeologici di Ragusa, Vera Greco, ha sospeso in via cautelativa i lavori di sbancamento per la realizzazione di una piattaforma atta ad ospitare apparecchiature di scavo e perforazione, conseguenza di nuove autorizzazioni rilasciate dalla Regione a una compagnia che da 15 anni opera in territorio ragusano, dove ha già effettuato trivellazioni nell’assoluto silenzio e nell’indifferenza generale. Merito e onore alla sovrintendente Greco, dunque.
Che il mondo sia pervaso dalla follia è cosa risaputa. Che le vicende della vita politica nel nostro Paese abbiano, al meglio, la forma del paradosso, al peggio quella della pazzia, si sa. È come se non uno ma tanti ingranaggi mentali siano fuori uso e pensieri scarrucolati, accompagnati da azioni deliranti, circolino indisturbati. Quale chiave di lettura possibile, se non questa, per comprendere i meccanismi che conducono alle squinternate campagne che alcuni sindaci, associazioni di categoria, sindacati, hanno messo su a fronte dell’istituzione del Parco degli Iblei? Una risorsa eccezionale per il territorio ragusano, un’imperdibile opportunità di trasformare antropologicamente ed economicamente il territorio e dotarlo di un’identità. Quale altra chiave di lettura a fronte del silenzio, a volte delle sordide complicità, che accompagnano l’assalto allo stesso territorio da parte di compagnie interessate solo a spremere, sfruttare, negare la stessa possibilità di un futuro ragionevolmente sostenibile alla gente degli Iblei? Possibile che Cia, Confagricoltura, Camera di Commercio, Cgil, eccetera eccetera, non siano preoccupate del danno economico e ambientale (come follemente lo furono per il Parco) che le trivellazioni possono cagionare al “sistema Ragusa”?
Eppure zitti zitti i danni li hanno fatti questi magnati del petrolio. Il Mediterraneo è il mare più inquinato da idrocarburi, vuoi perché solcato in lungo e in largo dalle petroliere che lavano le loro cisterne in mare aperto; vuoi per le piattaforme off shore (una, la Vega opera da vent’anni al largo delle coste iblee) che sia nella fase esplorativa, sia in quella estrattiva, sono responsabili di una larga quota dell’inquinamento globale del mare. E non solo. Propriola Vega Oilela Edison Spa, in questi giorni sono stati chiamati a giudizio per rispondere dei gravi danni ambientali causati dallo sversamento in mare, con modalità illecite e nocive per l’ecosistema, di rifiuti speciali pericolosi derivanti dall’attività estrattiva e di stoccaggio degli idrocarburi, al fine di risparmiare diverse decine di milioni di euro. Nel gennaio scorso la rottura di un tratto dell’oleodotto che da Ragusa trasporta il petrolio nella raffineria di Priolo con inquantificabile sversamento di greggio nella valle del Tellaro, in territorio di Noto, ha dato prova dell’inaffidabilità dei sistemi di viaggio del petrolio estratto nel ragusano. E speriamo Dio non voglia altro.
Ma si può investire nel turismo, nelle risorse vocazionali del territorio, nell’agricoltura e nell’enogastronomia e poi accettare tutto ciò senza batter ciglio e per giunta dopo essersi sollevati contro un parco naturalistico inventandosi di sana pianta rischi per l’economia delle imprese ragusane? Si tratta proprio di una deriva mentale. Cose – appunto – da matti.
Ernesto Girlando
(pubblicato su La Voce dell’Isola il 27 maggio 2010)