L’Egitto è sprofondato nel caos, descrivere ciò che accade è quasi impossibile. Impossibile avere certezze su morti e feriti, ieri il governo parlava di 523 morti, i Fratelli Musulmani parlavano di 4.500 morti. Oggi il conto governativo supera le 700 vittime. Le proteste investono ormai tutto il Paese ad esclusione dei resort di lusso nel Mar Rosso (e questo già fa riflettere su cosa stia accadendo). Il Ministero degli Interni egiziano ha autorizzato militari e polizia a sparare ad altezza uomo sulla folla. In pratica ha chiesto l’uccisione dei manifestanti. Dalla sera del 14 agosto è scattato il coprifuoco.
E non serve che qualcuno si chieda ancora se in Egitto è guerra civile, lo è. I numeri, i metodi, le fazioni in campo non dicono altro. Quella che è iniziata in Egitto è una resa dei conti che non conoscerà tregua fin quando almeno una delle fazioni non sarà sconfitta. La guerriglia iniziata al Cairo ora impazza anche ad Alessandria d’Egitto, in varie altre città minori. I Fratelli Musulmani non ci stanno al golpe che ha deposto il presidente eletto Morsi. A Giza il palazzo del governatorato è stato distrutto dalle fiamme.
Le moschee sono utilizzate come obitori, centinaia i cadaveri allineati. Secondo Al Jazeera nella moschea Imama le forze di polizia avrebbero fatto irruzione sparando lacrimogeni e successivamente sparando contro la folla di parenti delle vittime ad altezza uomo, col chiaro intento di fare un’altra carneficina.
Il vice premier Mohammad El Baradei con altri otto dirigenti, non condividendo la decisione governativa, hanno presentato le dimissioni. El Baradei ha commentato il suo gesto con queste parole: “Presento le dimissioni dalla carica di vicepresidente e chiedo a Dio l’Altissimo che preservi il nostro caro Egitto da tutto il male, e che soddisfi le speranze e le aspirazioni del popolo”.
Il coprifuoco governativo, fatto rispettare con un massiccio uso di elicotteri che volano a bassa quota e, come detto, con misure molto drastiche interessa le seguenti città: Cairo, Giza, Alessandria, Beni Sueif, Minya, Assiut, Sohag, Sinai del Nord, Sinai del Sud, Suez, Ismailia e Beheira, oltre alle province di Qena e Fayoum.
Pesantissimo anche il bilancio dell’informazione che ha visto morire sul campo, in due giorni il cameraman di Sky News, Mick Deane, di 62 anni, una giovane reporter di Xpress, del gruppo emiratino Gulf news, Habiba Ahmed Abd Elaziz, 26 anni e il reporter egiziano Ahmed Abdel Gawad, che scriveva per il quotidiano di Stato egiziano Al Akhbar. L’organizzazione non governativa Reporter senza frontiere (Rsf) riferisce che diversi giornalisti egiziani, soprattutto fotografi, sono rimasti feriti negli scontri al Cairo mentre seguivano i violenti sgomberi dei sit-in pro Morsi vicino alla moschea di Rabaa Al-Adawiya e in piazza Mostafa Mahmoud.
Linee ferroviarie, aeroporti, banche, musei, siti archeologici. Tutto è stato chiuso fino a nuovo ordine. Rimane esclusa dal coprifuoco soltanto Sharm el Sheikh sul Mar Rosso, ma la stessa Farnesina sconsiglia di recarsi sul posto. Troppo pericolosa la situazione in Egitto al momento.
La condanna internazionale è unanime, ma evidentemente non abbastanza forte. Il presidente Obama ha deciso la cancellazione delle esercitazioni congiunte USA-Egitto, mentre l’Onu chiede lo stop alle violenze.
Nulla però fa presagire qualcosa di buono, probabilmente uno stop non ci sarà. La destabilizzazione mondiale parte da qui, qui forse ha trovato il suo epicentro. E fermarla non sarà facile.
Luigi Asero