Hypatia di Alessandria la prima donna scienziato vittima dell'intolleranza religiosa

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L’Impero Romano, per svariati motivi cerca un alleato per difendere il potere, vede nella nuova religione cristiana la possibilità di gestire il popolo che avrebbe portato prima o poi all’indebolimento di Roma. Il 30 Aprile del 311 Galerio, a nome di Costantino I il grande e di Licinio, emanò l’editto di Nicomedia, poi riconfermato con l’Editto di Milano del 313. Decretò la fine degli editti di Diocleziano, riconobbe ai cristiani libertà di culto e di riunione, restituì alle chiese i beni non ancora alienati dopo la confisca, ordinò la ricostruzione delle chiese. I cristiani potevano uscire dalle catacombe, il Cristianesimo divenne ufficialmente una “religione licita”.

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Ma questo successo non placa l’ira dei capi cristiani, invece di essere contenti di avere raggiunto la possibilità di esercitare i propri culti, tradiscono il diritto per diventare da perseguitati a persecutori: sarà il desiderio di vendetta o per giochi di potere? Alcuni cristiani vollero ripagare i pagani dei torti subiti con altra violenza, comunque sia andata, come sempre, chi ha guidato gli eventi, si è coperto e ha sfruttato come paravento il popolo per commettere delitti orrendi ed azioni contro il buon senso. A partire dal 354, in molte parti dell’Impero Romano cristianizzato, avevano cominciato a bruciare le biblioteche per distruggere la cultura pagana, ovvero il progetto cristiano era rivolto contro la scienza ellenica che non andava troppo d’accordo con la nuova religione. Bisognava eliminare le prove di tanta sapienza perché chi venisse dopo non potesse sapere. In particolare il popolo, non doveva capire, più ignorante era e meglio si poteva controllarlo per trascinarlo attraverso le proprie ideologie attraverso le proprie strategie di potere. Nel 391, con il 3° editto dell’imperatore Teodosio, si intensificò la persecuzione contro i pagani e molti cristiani si sentirono autorizzati ad iniziare la distruzione di tutti gli edifici pagani. Ma il covo non era nel centro dell’Impero, era ben più lontano, ma sempre estremamente pericoloso come il cancro. Le idee viaggiano più veloci degli editti e pertanto Alessandria di Egitto, uno dei centri della cultura ellenica viene preso di mira, il centro del male da estirpare. Il vescovo della città, Teofilo d’Alessandria (? – 412 d.C.), avviò una sistematica campagna di distruzione dei templi. L’atto culminante avviene quando il vescovo in persona, guidò i cristiani all’assalto del tempio di Serapide, abbattendo l’enorme statua della divinità greco-egiziana, unione fra Zeus e Osiride. Ma l’obbiettivo era ben altro, da quando la biblioteca di Alessandria era stata costituita, l’opera di aggiornamento e di studio operata da molti ricercatori aveva raccolto libri da ogni parte del mondo a tal punto da riempire completamente l’edificio. I libri che sopraggiungevano erano così numerosi che si trovarono costretti ad aprire un’altra biblioteca, più grande della prima. Il luogo prescelto era proprio il tempio di Serapide. Per i cristiani questa biblioteca, aveva una colpa ancora più grave di quella principale: il chiostro del serapeo era aperto a tutto il popolo, era nato per farvi accedere la gente comune. La biblioteca con il tempo era diventata più grande della genitrice, aveva raccolto oltre 700.000 tra rotoli, libri e papiri: li si trovavano le scoperte scientifiche di Aristarco di Samo che diceva che la Terra girava attorno al Sole, i libri della geografia di una terra sferica di Tolomeo. Il vescovo insieme al prefetto Evagrio, con gli uomini della guarnigione militare, iniziarono l’opera di demolizione. Dopo tale atto di purificazione religiosa incendiarono la mitica Biblioteca di Alessandria. Non era l’ultimo rogo che tali libri dovettero sostenere, ma il danno fu comunque irreparabile, moltissimi libri andarono distrutti e perduti per sempre. Al rogo qualcosa sopravvisse, o fu “recuperato” in seguito nel saccheggio della biblioteca di Costantinopoli da parte dei crociati, e pare che a Roma, ancora oggi, siano custoditi gelosamente e nascosti nella biblioteca Vaticana. In 80 anni i cristiani si impadronirono del vertice dell’Impero Romano e divennero i persecutori del paganesimo. I cristiani potevano contare in un potere temporale, perché nel 392 Teodosio ordinò che il Cristianesimo diventasse una religione di stato, mentre la religione Romana, la base culturale con cui l’Impero era cresciuto, venne proibita, pena la morte. I risultati di tale decadenza culturale non si fecero attendere, nel 410, appena 18 anni dopo, Alarico I (Perice 370 ca. – 410 d.C. Calabria) al comando dei Visigoti metteva a sacco Roma. Pochi decenni ancora e l’Impero sarebbe caduto e disintegrato. Teodosio, con la cristianizzazione, invece di salvare l’Impero lo aveva portato alla sua immediata rovina.
In questo contesto storico, nasce nel 370 d.C. circa ad Alessandria d’Egitto, Ipazia, figlia di Teone, il famoso matematico e scienziato.

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Nonostante le sia intitolato un Centro di ricerca Unesco a Torino, che sostiene lo studio, la ricerca e la formazione in particolare delle donne scienziato del mediterraneo e dei balcani. La storia di Ipazia di Alessandria, prima scienziata donna e vittima dell’intolleranza religiosa – ma anche dell’ostracismo maschile – è sconosciuta a molti. Fino all’Illuminismo nessuno sapeva chi fosse. Poi, il positivista John Toland nel 1720 e Voltaire nel 1736 aprono le danze sulla progressista Ipazia vittima dell’oscurantismo clericale. Nel 1776 l’inglese Edward Gibbon consolida il mito nella sua celebre opera sulla caduta dell’Impero romano. Nel secolo seguente tocca ai romantici: Ipazia è bellissima ed è l’ultima rappresentante del mondo antico trucidata dal fanatismo papista. Naturalmente, nel Novecento, Ipazia, vetero femminista, diventa la preda della misoginia cattolica. L’unica voce un po’ fuori coro è quella di Mario Luzi, che le dedica un dramma nel 1978. Di recente, il film (e il cinema, forma di arte totale, si imprime nelle menti con una forza che la parola scritta neanche si sogna). La scienza contro la religione, la tolleranza contro il fideismo.

Una donna dalla straordinaria bellezza e curiosità, fondatrice di una palestra per le menti che come primo comandamento aveva la libertà di pensiero, quel tesoro spesso irraggiungibile e periodicamente messo a repentaglio da numerosi poteri, che ad esempio Giulio Giorello ha definito come “l’aria in cui respiriamo tutti, che non può essere sequestrata né da una religione né da un’ideologia”. Ipazia precedette Giordano Bruno e tracciò addirittura uno schema meccanico dell’ellisse, giungendo al bagaglio di cognizioni kepleriane. Quello stesso Keplero che, forse conscio della società che lo circondava e per questo timoroso di possibili ritorsioni, arrivò a dire “preferisco l’amore delle stelle a quello degli esseri umani”. Ma perché scienziati e filosofi erano – e sono? – mestieri pericolosi? Il rischio del sapere è ancora oggi strumentalizzato da interconnessioni politico-economiche legate al potere che in taluni ambiti, piccoli e grandi, condizionano scelte ed interpretazioni. Quante volte si assiste a mistificazioni, a palesi negazioni di verità inconfutabili, anche solo per strappare un consenso in più o un primo piano televisivo? Il crimine contro Ipazia non solo fa ancora male dopo quasi milleseicento anni, ma appare di estrema attualità alla luce delle vicissitudini intercorse nei secoli e che oggi si intrecciano.

Seguendo le orme paterne, Ipazia si concentra sin da giovanissima negli studi matematici e astronomici, diventando una delle massime esperte in questi settori, superando le stesse conoscenze tecniche e scientifiche del padre; tuttavia, l’amore per le discipline scientifiche e per la tecnica lascia spazio al crescente interesse per la filosofia. Ipazia decide quindi di spostarsi e lasciare momentaneamente Alessandria, viaggiando in particolare in Grecia e a Roma. Proprio nella capitale dell’Impero Romano d’Occidente, la pensatrice si imbatte e inizia a frequentare i circoli neoplatonici di cui rimarrà entusiasta. Inizia così uno studio profondo della filosofia platonica e aristotelica tanto che, Socrate di Costantinopoli, afferma che Ipazia è la terza grande caposcuola del platonismo dopo Platone stesso e Plotino.
Il successo e la fama arrivano presto; tanto che Ipazia, per la sua cultura e la sua abilità nell’arte dell’eloquenza, riceve la cattedra di filosofia nella scuola di Alessandria d’Egitto. Nella nuova scuola concentrò le sue lezioni in particolare su Platone e Aristotele che reputava indispensabili sia per la filosofia pagana quanto per la teologia cristiana. Tra i suoi discepoli ci fu anche il vescovo di Cirene, Sinesio, che ci ha lasciato una testimonianza non indifferente riguardo i suoi studi con Ipazia.
E’ ora importante descrivere il contesto culturale in cui Ipazia opera attivamente. Alessandria d’Egitto è infatti una città dove si respira un forte fermento culturale. Da un lato la città conserva il vecchio spirito greco-latino, e quindi pagano. La sua grandezza monumentale si riflette anche nelle grandi biblioteche e nelle aule dove si insegna filosofia e astrologia. Tuttavia vi è anche un nuovo dinamismo culturale che, in poco tempo, trasforma Alessandria in un moderno centro culturale cristiano. Nasce infatti la scuola cristiana di Alessandria dove insegnano personalità di primo piano come Origene e Clemente. Alessandria diventa un centro fondamentale per la teologia cristiana e un punto di riferimento per i cristiani d’Egitto.

Ipazia, dalla sua immensa sapienza, riesce nell’intento di far coesistere cristiani e pagani in modo pacifico e rispettoso, nonostante la logica religiosa e la logica filosofica greca fossero assai distanti.
Non disdegnava nemmeno comparire in riunioni pubbliche, partecipando attivamente alla vita politica cittadina. Esemplificativo di questo suo atteggiamento aperto e partecipativo è l’amicizia che si instaurò tra la filosofa e il prefetto della città, Oreste, delegato dell’Imperatore. A tal proposito Socrate di Costantinopoli scrive:

“Facendo conto sulla padronanza di sé e sulla facilità di modi che aveva acquisito in conseguenza dello sviluppo della sua mente, non raramente apparve in pubblico davanti ai magistrati. Né lei si sentì confusa nell’andare a una riunione di uomini. Tutti gli uomini, tenendo conto della sua dignità straordinaria e della sua virtù, l’ammiravano di più.”

Proprio quando Ipazia raggiunge il massimo della sua fama, diventando insegnante, rivestendo ruoli fondamentali nella politica locale, riuscendo a legare insieme pagani e cristiani e conferendo importanza capitale alla figura femminile in una società fortemente patriarcale, Alessandria d’Egitto cade in una profonda crisi politica.

Nel 390 d.C. l’imperatore Teodosio convoca un concilio in cui si decide di mettere al bando visioni eretiche come il Nestorianesimo e il Monofisismo e viene decretata la fine dei culti pagani, con la distruzione dei templi, dell’iconografia e dei luoghi sacri della religione gentile, la religione dell’antica Roma. Ad Alessandria, che come abbiamo detto si stava affermando come nuovo polo culturale cristiano, la situazione è estremamente tesa. Il concilio del 390 ha infatti provocato una duplice reazione. Da un lato i pagani venivano screditati, dall’altra si incoraggiavano i fanatismi cristiani e le sue ortodossie. In particolare in Egitto, dove erano più numerose le comunità cristiane radicali, il clima si fa insostenibile e i rapporti tra pagani e cristiani si deteriorano. Il contrasto sfocia nell’assalto cristiano, sollecitato dal vescovo Teofilo, al Serapeo, luogo di cultura e lettura di Alessandria.

Malgrado tutto ad Ipazia fu concesso di continuare lo studio e soprattutto l’insegnamento, se non altro perché lo studio più preciso e oggettivo di platonismo e aristotelismo erano assai utili anche per una rilettura teologica cristiana. Nel 415 scoppia però una seconda crisi che investe la città. Cirillo, nipote di Teofilo e nuovo vescovo della città, ruppe per motivi religiosi con Orazio, prefetto romano di Alessandria, discepolo e amico di Ipazia. La disputa iniziò banalmente da una discussione che vedeva Cirillo affermare che nel Cristo vi era una natura puramente divina e Orazio affermare che in Cristo vi era sia principio divino che umano. Oggi gli storici ci permettono di affermare come dietro questa disputa si nascondessero ben altri interessi, Cirillo infatti aveva la necessità di espandere la propria fama, difendendo l’autorità della chiesa di fronte all’amministrazione politica dettata dalla capitale dell’impero d’Oriente. La disputa si concluse con l’assalto di un centinaio di monaci a favore di Cirillo alla domus di Orazio. Uno dei monaci, Amonio, colpì Orazio con una pietra. L’intervento delle forze militari sedò la rivolta e salvò Orazio dalla lapidazione. Amonio venne catturato ma morì per torture prima del processo. La morte del monaco fu di rilevante importanza. Cirillo infatti contattò l’imperatore alterando i fatti accaduti prima che Orazio potesse dire la sua. Secondo Cirillo il monaco sarebbe morto a seguito di torture da parte di Orazio che, essendo pagano, voleva costringere il monaco a rinnegare il Cristo.

Di li a poco Ipazia viene tacciata di essere la mandante morale dell’uccisione del monaco. Fu accusata per più motivi. Fondamentale è il fatto che Orazio non solo fosse amico di Ipazia, ma soprattutto ne fosse un discepolo. I cristiani pensarono quindi che il comportamento di Orazio fosse causa delle teorie e degli insegnamenti di Ipazia. La seconda accusa che gli fu mossa fu quella di essere una pericolosissima strega. Ovviamente dietro tale accusa vi è l’odio e l’invidia di alcuni cristiani nei confronti della filosofa. Invidia per le immense doti filosofiche e per il linguaggio colto ed eloquente, odio perché si trattava di una donna, caso assai raro nell’antichità.

La casa di Ipazia venne assalita da decine di parabolani, monaci che se da un lato avevano una funzione di sostegno sociale ai deboli e ai poveri, dall’altro rappresentavano la milizia armata come “squadracce” del vescovo Cirillo. E chi nel tempo provò a dimostrare la verità dei fatti, lo storico cristiano Socrate scolastico, per questo venne isolato. Una spirale di intolleranza che fece tre illustri vittime in un colpo solo: la libertà di religione, il corpo della donna e l’indipendenza della ricerca scientifica.La donna venne catturata e spogliata di ogni sua veste, venne trascinata nuda per le strade di Alessandria fino alla chiesa. Qui, il capo del disperato manipolo di cristiani, ordinò di ucciderla come vittima propiziatoria. Venne colpita e tagliata più volte con conchiglie e cocci affilati fin quando il suo corpo vanne fatto a pezzi. I resti vennero successivamente bruciati, quasi a compiere una sorta di sacrificio umano contro un diabolico idolo pagano. Molte delle fonti cristiane dell’epoca condannarono l’accaduto come fece Socrate di Costantinopoli, ma vi furono anche pareri contrastanti, come quello di Giovanni di Nikiu che giustificò il fatto poiché si trattava di una strega. La morte di Ipazia rimase viva nelle memorie popolari egiziane per secoli tanto che vi sono numerose memorie anche a livello letterario. La figura di Ipazia torna nuovamente fondamentale durante l’illuminismo. Ipazia diventa infatti un simbolo, allegoria della strenua difesa della ragione contro il misticismo religioso, la purezza dei gesti e della cultura contro le debolezze dei fanatismi. Ipazia diventa soprattutto allegoria di un nuovo gesto estremo; il martire della filosofia. Il martire che, per assurdo, fino ad allora fu prerogativa unicamente religiosa.
Tutto il lavoro di Ipazia è andato perduto, eccetto i suoi titoli e alcuni riferimenti ad essi. Comunque, non si conosce alcun lavoro filosofico puro, ma soltanto opere di matematica e astronomia. Basandosi su questa piccola quantità di testimonianze, Deakin, sostiene che Ipazia fu un’eccellente compilatrice, editrice e conservatrice delle prime opere matematiche.
Ma la storia di Ipazia è simile a quella di Santa Caterina d’Alessandria.
Vissuta all’epoca dell’imperatore romano Massiminio Daio, Caterina era, secondo una passio leggendaria risalente al X secolo, una vergine cristiana che rifiutò di offrire sacrifici alle divinità pagane. L’imperatore le inviò cinquanta dotti per ricondurla all’antica fede, ma accadde il contrario: la Santa riuscì a convertire i dotti al Cristianesimo che furono perciò condannati al rogo.
Caterina finì quindi in prigione dove ricevette la visita dello stesso imperatore ma, irremovibile nella sua fede, fu condannata al martirio della ruota.

Secondo la tradizione la ruota si spezzò al contatto del suo corpo e la Santa fu decapitata.
Come Maria Maddalena e Santa Margherita, Santa Caterina d’Alessandria era molto venerata dai Cavalieri Templari.
Ma chi era questa giovane donna della cui vera esistenza non si è certi e della quale si narra che intellettualmente nessuno era alla sua altezza?
Santa Caterina d’Alessandria è la patrona di tutte le arti liberali e della filosofia, ecco perché la sua effige si trova anche sul sigillo dell’Università parigina della Sorbonne.
Nel corso di alcune ricerche sulla Cappella di Purgg consacrata a Santa Caterina, alcuni studiosi si sono imbattuti in Ipazia di Alessandria vissuta al tempo di Caterina. Studiando la sua vita gli storici si sono posti la domanda se Caterina non fosse uno pseudonimo cristianizzato di Ipazia.
Ipazia era una giovane donna sapiente, proprio come la leggenda ci descrive Caterina ma la similitudine con la Santa non si limita alla conoscenza.

È possibile dunque che dietro Caterina in realtà si celi Ipazia d’Alessandria e dal momento che la matematica e astronoma deteneva la guida della scuola platonica, si può ipotizzare che fosse una seguace della dottrina gnostica e del mito di Sophia.

Seguendo questo parallelo ci si chiede se i Cavalieri Templari conoscessero la storia di Ipazia e chemascherare questa conoscenza avessero scelto come patrona Santa Caterina, la versione cristiana della storia, che rappresenta allo stesso modo saggezza e dolore.
Se così fosse i Templari avevano forse accesso alla conoscenza delle scienze naturali di Ipazia di Alessandria. I suoi trattati comprendevano esclusivamente fatti matematici e astronomici; gli storici hanno identificato parte dei suoi lavori nel campo della matematica e dell’astronomia che si trovano ovunque e raccolto, ricostruito e analizzato singoli pezzi impressionanti.
Forse l’Ordine del Tempio aveva accesso ai lavori occulti di Ipazia; li conservarono e utilizzarono a loro vantaggio. Del resto i committenti delle cattedrali appartenenti all’ordine e i loro costruttori dovevano essere in possesso di ancor più grandi conoscenze nel campo della matematica e dell’astronomia per poter erigere le immense costruzioni gotiche del medioevo.
Catapultare la figura di Ipazia nella società moderna, quindi, è un buon segno e non per alimentare pretestuosamente un contrasto fra paganesimo e cristianesimo, fra laicismo e chiesa. Ma in direzione della ragione contro i pericolosi fondamentalismi ideologici, tali perché tolgono voce, moncano intuizioni, troncano libertà. Quella stessa libertà che, parafrasando Benedetto Croce, esiste al singolare solo all’interno della libertà plurale. Enunciando un principio tanto elementare quanto calpestato nel tempo, non solo lontano. Si pensi ad alcuni testi storici del secolo scorso, dove alla voce Giordano Bruno vi era scritto “perito in un incendio” e non arso vivo. O all’esempio fornito da quel filosofo della tolleranza e per nulla anticristiano che prende il nome di Conrad: da irlandese protestante, scrisse che «Ipazia venne uccisa per invidia, superbia e crudeltà del signor Cirillo, presentato come santo ma senza alcuna ragione».
Ma tra le righe di Ipazia e della sua drammatica vicenda personale e storica – drammatica perché non sono rimaste sue opere a causa della consapevole volontà di distruggerle- si ritrova anche il diritto alla disuguaglianza, come rimarcato più volte da Nikolaj A. Berdjaev. Il diverso, lo straniero, il pensiero non allineato che questa società pigra e chiusa a riccio fa sempre più fatica non solo a metabolizzare, ma più semplicemente ad osservare, rispettare e da cui poi magari dissentire. Ma in maniera costruttiva e senza paura.
Oggi noi la vogliamo ricordare come venne descritta nell’epoca dei lumi. Un esempio indelebile di purezza e rispetto, un esempio di forza femminile di contro ad una società maschilista, un esempio di sacrificio razionale e non spirituale. Un esempio di filosofia in azione.

16/09/2011 – Vito Zingale

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One Thought to “Hypatia di Alessandria la prima donna scienziato vittima dell'intolleranza religiosa”

  1. Commento intenso e interessante; viene presentata addirittura il dipinto di Raffaello Sanzio della Scuola di Atene, dove il Maestro Pittore si relaziona orizzontalmente in quell’affresco ad Hypatia, Maestra; individuando 2 colonne portanti.

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