I ribelli libici hanno combattuto per sei mesi consecutivi, tra alti e bassi, senza mai perdere la speranza di vedere, un giorno, la dittatura di Gheddafi sgretolarsi sotto i loro occhi. Alla fine ce l’hanno fatta, anche grazie alla buona guida dei 31 membri del Consiglio nazionale di transizione (Cnt), mai così bene organizzati, come nelle ultime settimane, con le forze della Nato.
Anche se Muammar Gheddafi è riuscito a lanciare il suo farneticante proclama televisivo da un appartamento del quartiere di Abu Salim, incitando “uomini e donne” a marciare su Tripoli per “purificare” la città, difendendola dagli stranieri: “La Libia sia dei libici – ha gridato il colonnello – non della Francia o dell’Italia”, ormai s’incominciano a tirare le somme di quanto è costato questo ennesimo crollo di regime. Alla prima conferenza stampa del Cnt tenuta a Tripoli si è parlato di ventimila morti in sei mesi di guerra. A tenerla è stato l’ex ministro del petrolio e delle Finanze della Cirenaica Alì Tarhouni, 60enne docente di economia alla University of Washington di Seattle rimpatriato in occasione delle rivolte. Tarhouni, durante la conferenza stampa, ha confermato che “l’ufficio del governo a Tripoli è tornato operativo” ed ha anche esclamato “Viva la Libia democratica e costituzionale, gloria ai nostri martiri”. Questa frase deve essere interpretata come una seria ipoteca sul futuro di una nuova Libia moderna e leader del Nordafrica, ma come spesso accade agli albori di una rivoluzione le sfavillanti dichiarazioni si possono spegnere nelle lotte per la presa di potere.
Il segretario di Stato americano Hillary Clinton, a proposito della difficile situazione in Libia ha dichiarato “è chiaro che l’era di Gheddafi si avvicina alla fine, aprendo la porta in Libia a una nuova era, un’era di libertà, giustizia e pace”. Anche questa dichiarazione suona come una buona intenzione che presupporrebbe una non ingerenza nella composizione politica del nuovo governo libico.
Anche l’Italia per voce del nostro ministro degli esteri Franco Frattini ha smentito (se mai ce ne fosse stato bisogno) le accuse di Gheddafi, intervenendo alla trasmissione radiofonica di Rai Radio Uno “Radio anch’io”. “Non c’è alcuna corsa colonialistica – ha puntualizzato il ministro – è un tipo di sintesi che non mi piace. Sono concetti che l’Italia, a differenza di altri Paesi, ha ripudiato e non intende ricaderci. In Libia esiste una gioventù preparata: noi vogliamo aiutare, non sostituirci ai libici, non puntiamo ad arrivare primi. L’Italia è diversa dagli altri Paesi perché il nostro popolo nutre un amore profondo per la Libia, ed è ricambiato dal popolo libico, al quale confermiamo la nostra amicizia”.
Eppure finora si è saputo molto poco su chi siano molti dei componenti del comitato della resistenza libica. Sulla leadership degli insorti si sono susseguite notizie contraddittorie, dovute alle luci, ma anche alle ombre su alcuni dei personaggi che hanno dichiarato guerra a Muammar Gheddafi, dopo essere stati, per anni, fedeli servitori del raìs.
Le personalità di spicco del Consiglio transitorio sono tutte o quasi esponenti del vecchio regime. Il devoto musulmano Mustafa Ben Jalil è stato ministro della giustizia di Gheddafi. Durante il suo mandato, però, Jalil aveva anche preso pubblicamente le distanze, nell’agosto 2010, dagli arresti e dai processi sommari ordinati dal raìs.
Il responsabile degli esteri Ali al-Essawi già ministro dell’economia è passato con i ribelli quasi subito. Altri componenti della frammentata composizione del Consiglio degli insorti sono stati chiamati dalle aule dello storico ateneo della Cirenaica e dai circoli accademici che animano la capitale dei ribelli.
Anche l’attivista Fatih Turbel, membro del Ctn, ha studiato Legge a Bengasi. Così come l’avvocato e sindacalista Abdul Hafiz Ghoga, vicepresidente e portavoce del Consiglio degli insorti che è stato il legale dei famigliari dei detenuti politici.
Tra i componenti del Ctn, un cenno meritano anche lo storico oppositore al regime Zubeir Ahmed el Sharif, arrestato nel 1973 per cospirazione e condannato a 31 anni di prigionia da Gheddafi, e Omar al Hariri: il responsabile per gli Affari militari che è stato compagno di Gheddafi nel colpo di Stato del 1969 ma che, pochi anni dopo, fu coinvolto nel tentativo di rovesciare il raìs nel 1975.
Gli altri membri del Cnt comunicati dai ribelli sono i rappresentati territoriali di un’ipotetica Libia post Gheddafi, alla cui suddivisione territoriale e amministrativa ha lavorato, sin dallo scorso inverno, il comitato politico degli insorti.
Tra loro, per esempio, come rappresentanti di Bengasi ci sono l’intellettuale Fatih Mohammed Baja, laureato in Scienze politiche, e la responsabile per gli Affari legali e i diritti delle donne Salwa Fawzi el Deghali.
A capo dell’esecutivo provvisorio è stato messo Mahmud Jibril, che in passato si è occupato dello sviluppo economico del paese. Egli è un ex docente di Economia alla University of Pittsbourgh e di Bengasi che da marzo a oggi ha rappresentato il Cnt durante le missioni e i summit internazionali sulla guerra in Libia, ed è noto per le sue posizioni liberali e filo-occidentali. Jibril è ritenuto anche molto vicino all’ex ministro Ali Tarhouni.
L’impressione insomma è quella che la nuova leader ship libica si avvii sulla strada di un conservatorismo filo-occidentale che dia sicurezza alla produzione energetica europea e contestualmente rimpingui le casse dello Stato.
Durante le concitate settimane della stretta degli insorti su Tripoli, Jibril ha dichiarato di lavorare a “un rimpasto molto serio”, in vista della caduta del raìs e degli otto mesi successivi durante i quali, come previsto nella bozza di transizione presentata questo agosto, il Consiglio degli insorti guiderà il Paese verso le elezioni democratiche e la nuova Costituzione.
Con le immagini dei ribelli diretti verso la piazza Verde, nella notte tra il 21 e il 22 agosto, sono apparsi lontani, i giorni in cui, appena qualche mese fa, gli insorti apparivano male armati, scoordinati e sotto lo scacco dai lealisti di Gheddafi. Con l’aiuto di qualche efficiente servizio segreto molti dei doppiogiochisti che gravitavano attorno agli ambienti del Cnt, o addirittura ne facevano parte, sono stati estromessi dalle ultime decisioni.
Ma i pericoli non sono passati. Tra i personaggi rimasti nell’ombra, responsabili dei successi e dei molti insuccessi delle campagne degli insorti, ci sono anche i 15 alti ufficiali del Consiglio militare, con sede a Bengasi; e molti di loro, prima di passare nelle file dei ribelli, erano stati compagni di golpe del raìs.
26/08/2011 – Corrado Rubino