Ivan Lo Bello, presidente di Confindustria Sicilia, è un siciliano “doc”, un protagonista della scena nazionale e regionale, che ricopre un ruolo importante e che tanti incarichi ha avuto nel corso della sua brillante carriera. È un peccato che, da più parti, venga definito “l’uomo-crisi”. Perché? Perché in ogni sua intervista – su quotidiani nazionali o locali – la parola che adopera con rigida coerenza è “crisi”, ma in contrapposizione il termine “soluzione” (della crisi) compare costantemente con voli empirici, ripetitivi, con parafrasi scontate che portano, alla fine, al nulla più assoluto. Peccato, perché Ivan Lo Bello è personaggio dalle grandi potenzialità, tante quante gliene ne vedono nei vari ambienti dove opera, da Milano a Palermo, da Siracusa, sua città natale, a Pantelleria, a Catania, sua città d’adozione.
Ivan Lo Bello è gradito alla politica, a sinistra oppure a destra, a seconda dei momenti storici che il Paese o la Sicilia, in ultima analisi, attraversano.
Ivan Lo Bello in una recente intervista “concessa” ad un giornale locale, parla della necessità di “tagliare”: tagliare l’assistenzialismo, tagliare il clientelismo. Indirizzi saggi, peccato che si muova sempre – ma è il suo compito istituzionale – a favore delle industrie, delle imprese, pensando raramente agli uomini che fanno industria o impresa, non i titolari, cioè, ma quanti lavorano nell’industria o nelle imprese, cioè chi lavora veramente e non chi comanda e coglie i frutti del lavoro.
“In Confindustria siamo molto preoccupati”, afferma nell’intervista Ivan Lo Bello: preoccupati perché la Regione non paga le imprese creditrici: preoccupazione sacrosanta, ma Ivan Lo Bello forse dimentica che è (o è stata) Confindustria che appoggia (o ha appoggiato) il “sistema” che ora è al collasso. Tirarsi indietro quando la barca affonda riporta a pensieri lontani.
Confindustria-Casta privilegiata è un transatlantico inaffondabile, e la rotta che traccia ed ha tracciato influisce nel destino del Paese, in Sicilia, poi, manco a parlarne.
I soliti discorsi, dunque, Ivan Lo Bello a chi vuole indirizzarli? Agli operai in cassa integrazione o licenziati, oppure soltanto agli industriali che vedono i loro interessi decrescere?
Si dovrebbe parlare di “coscienza” o di “consapevolezza”, ma ne facciamo a meno…
Salvo Barbagallo
Sullo stesso argomento vale la pena riproporre un articolo pubblicato oltre due anni addietro, dal titolo significativo:
Il “Lo Bello della crisi”
Finita l’estate si torna a fare i conti con la crisi. «Quella alle porte sarà la stagione più brutta degli ultimi anni»: non usa mezzi termini al ritorno dalle vacanze il presidente di Confindustria Sicilia, Ivan Lo Bello, che mette le mani avanti e invita alla calma sulla ripresa che «in Sicilia è ancora di là da venire». Ma abbiamo davvero ancora bisogno di questi costanti allarmi regalati ai mezzi di informazione dai tanti esponenti dello “sgoverno” regionale? Che la crisi c’è lo sappiamo tutti. Basta andare in giro per le nostre città e vedere tanti nostri concittadini uscire a mani vuote e con lo sguardo spento dai tanti negozi in cui i commessi fanno passare il tempo cambiando i cartelli di sconti sempre più fantasmagorici.
Ma la crisi non è solo questa. È soprattutto quella di chi questa Isola cerca comunque di farla andare avanti, i tanti imprenditori onesti strozzati tra fornitori che chiedono quanto è giusto, debitori (soprattutto quelli istituzionali) che spariscono trasformando i loro debiti in carta straccia e banche che pensano all’alta finanza invece di fare la loro parte per rimettere in moto questa nave sempre più arrancante che è la nostra Sicilia. Basta vedere i numeri forniti dalla Banca d’Italia sull’andamento dei depositi e dei prestiti in Sicilia. Tanti i soldi che famiglie e imprese hanno prelevato dai loro depositi o ottenuto attraverso prestiti, e che non sono andati né ai consumi, né a nuovi investimenti: soldi che sono stati spesi per mantenere lo status quo. E da questo mese di settembre i veri nodi sono venuti al
pettine, viste che tutte le aziende in questo momento stanno facendo ricorso alla Cassa integrazione e registrano un calo di commesse a dir poco preoccupante: vedi i casi Fiat, Fincantieri, Keller o AnsaldoBreda. Per non parlare delle vicende legate alle migliaia di precari della Scuola che sono costretti ad azioni di protesta, anche clamorose, per far sentire la propria voce.
Risultato: le famiglie siciliane prendono quello che hanno faticosamente messo da parte nel corso degli scorsi anni e lo bruciano per sopravvivere.
E anche per le imprese la situazione diventa sempre più difficile.
E una delle bizzarrie di questi mesi è che a capo del più importante istituto di credito regionale (almeno finora) c’è proprio il leader degli imprenditori locali che, però, a quanto pare, più di fare allarmate dichiarazioni quasi quotidiane sulla situazione, altro non suggerisce. Ed è ben strano, a meno che l’incarico alla guida del Banco di Sicilia che riveste non sia nient’altro che una medaglietta da appuntare sulla giacca. Anche lui, come tutti, si lancia in richieste verso i rappresentanti istituzionali ai più diversi livelli, magari a margine di costosi convegni di riflessione sulla crisi, buonissimi (a volte) per analizzarla, ma poco produttivi (mi rendo conto che è un delicato eufemismo) per trovare soluzioni.
E la sensazione diventa davvero brutta, a guardare questi retori della crisi. L’idea che chi abbia in mano le leve del comando non sappia far altro che presenza sui media, aggiunge alla frustrazione la rabbia, quella di chi si sente defraudato più volte, dalla fantomatica crisi internazionale e da chi, pur non avendo voglia o modo di risolverla, resta comunque sul suo scranno, sperando che passi al più presto. Per magari prendersene il merito una volta finita.
Marco Di Salvo
(Il “Lo Bello della crisi” pubblicato su “La Voce dell’Isola” n° 15 del 24 settembre 2009)