Complesso Le Ciminiere Catania – Presentato il libro di Giorgio Trombatore “MORSI D’AFRICA” edito da Verbavolentedizioni
Grande successo di pubblico alla presentazione del secondo libro di Giorgio Trombatore, un “insolito” operatore umanitario. Dopo i saluti del Vicepresidente della Provincia Dott. Giovanni Ciampi, che ha fortemente creduto nell’iniziativa, sotto la grande maestria e professionalità di Silvia Ventimiglia che ha coordinato l’incontro, il Dott. Mirco Arcangeli ha presentato l’ultima opera dell’amico Giorgio Trombatore. Durante l’incontro l’autore si è confrontato con il pubblico altamente attratto ed interessato dall’attività di operatore umanitario. Di seguito Si propone un estratto della presentazione.
Non è un libro di narrazione, poiché nel vivere le situazioni descritte, il lettore entra dentro il pensiero dell’autore. C’è in questo libro, un percorso di vita dove è possibile comprendere come questa filosofia sicuramente eccentrica, con una sovraesposizione voluta, cercata e forzata, nei luoghi dove l’uomo è più debole, e forse anche più puro, intende rappresentare una propria gratificazione.
Giorgio fa questo mestiere da oltre 20 anni. Inizialmente potrà essere stato sicuramente un mestiere, ma ora è molto di più. Non si può fare l’operatore umanitario in territori dove la vita conta meno di un pezzo di pane, per denaro. Non si può mettere continuamente a rischio la propria vita, per ragioni economiche, poiché ciò non avrebbe prezzo.
Giorgio compie queste azioni ormai come una droga, ha bisogno di essere dentro le situazioni, ha necessità di gestirle a modo proprio, fuori da schemi d’ufficio e da colletti bianchi, ed immergersi nei contesti prima di tutto per viverli, capirli, per poi darne aiuto. In questo c’è un sentirsi uomo, e lo fa marcando un ruolo di rilievo e di grande utilità sociale.
E’ un libro crudo, reale, sincero, umano, semplice nella sua stesura ma complesso nelle sue ragioni, che potrebbe fuorviare il lettore nel momento in cui si esaltano le grandezze dell’uomo, ma non altro sono che l’energia e la forza per potersi rapportare nelle disperate situazioni in cui opera.
Il progressivo e continuo affermarsi di comportamenti e valori tipici della civiltà dei consumi, financo alla teoria della globalizzazione, è visto in maniera polemica e critica, in confronto all’unicità della cultura rappresentata dai popoli, magari afflitti e martoriati, ma ancora “incontaminati”, e carichi di una energia positiva e quasi rivoluzionaria. Si vede nella spirale dei consumi basata su bisogni artificiosamente creati, nello “sviluppo” mitizzato dalla società contemporanea, un meccanismo che stritola culture e valori, e rende gli esseri umani identici e interscambiabili in un processo di omologazione.
Il profumo dei soldi spesso rende ciechi alle disgrazie degli altri (scrive Giorgio)
Una continua ed irresistibile ricerca delle virtù e della loro esaltazione mentre vengono combattute tutte le ingiustizie sia del potere che del popolo.
Una narrazione intrisa del proprio io e del proprio ego. Che naturalmente finisce per ritrovarsi nei simboli che possono restare nel tempo. Questo tratto così personale della narrazione, ti trasporta dentro le situazioni più assurde ed ai limiti di una comprensione “occidentale”.
E’ questa la forza che diventa azione, non per arrogarsi il diritto del potere o della imposizione, ma per svolgere funzioni benefiche e di solidarietà.
Certo si può essere operatori umanitari in tanti modi. Si possono inviare derrate alimentari per gli affamati standosene tranquilli negli uffici dei palazzi occidentali; oppure con avamposti ben protetti dalle autorità locali, lasciando le realtà al loro equilibrio, giusto o sbagliato che sia, tutto ciò nella convinzione di aver svolto opere di solidarietà. No per Giorgio essere operatore umanitario, significa entrare dentro i contesti e le realtà da sostenere, per cercarne la giusta chiave di lettura, e non correre il rischio di essere preda degli stessi poteri che tengono soggiogati i popoli così martoriati. Giorgio entra dentro le realtà, le rispetta innanzitutto, si fa coinvolgere emotivamente, ricerca all’interno la “verità”, la “luce” la giustizia. Ne comprende la cultura e senza volerla modificare, trova le soluzioni più idonee senza curarsi troppo della propria serenità fisica, poiché forte della serenità mentale. Forte di essere dalla parte della “verità”. Ed in questo caratterizza la sua iniziativa, nella consapevolezza che solo comportandosi da capo giusto, corretto ma irreprensibile, può garantirsi l’autorevolezza necessaria per restare incolume ed ottenere i più lusinghieri risultati.
Giustamente sembra facile a dirsi, ma la realtà come si dice supera la fantasia. E così che in certi territori, i più disgraziati del mondo, sentirsi condottieri e paragonarsi a grandi personaggi della storia passata, dai grandi valori e dalle grandi gesta, non è altro che l’unica elementare ed innocua “droga” che permette ad un essere umano occidentale, con le sue debolezze comuni, di poter svolgere compiti tanto ardui quanto a volte impossibili. E allora costruire una Moschea in un territorio di nessuno, e abbandonato da tutti, magari finanziata da se stessi (poiché non prevista dal programma di lavoro), dopo un duro confronto di idee ed un grande impegno mentale, e costruita dagli stessi musulmani, ci fa sentire vincitori di una battaglia impossibile e ci gratifica più di ogni contropartita economica. Ci fa sentire leader.
(Con la mente vedevo la mia moschea eretta nel cuore di queste sabbie dimenticate …. Finalmente anch’io potevo dare lustro alla mia presenza in Africa …. Si sarebbe detto “ qui visse Giorgio Trombatore”).
Questo non è il suo primo libro. Giorgio ha esordito 4 anni fa con il suo “Coy ecce homo, storie di un operatore umanitario”. Nel suo primo libro aveva permesso di capire la sua indole e il suo essere operatore umanitario a modo suo. Oggi ritroviamo in questa seconda opera una forte maturazione del suo pensiero che traspare come una linea trasversale nei diversi capitoli del libro, al pari delle linee volutamente tatuate sul suo corpo. Chissà perché non disegni immagini o simboli riconosciuti, ma solo e soltanto linee.
29/12/2011 – Mirco Arcangeli