Carissimi amici, ebbene sì, dopo un gran parlarne e un’attesa durata 365 giorni, vi sarete accorti che il nuovo anno è arrivato, ha fatto il suo ingresso trionfale con lo spumeggiante scintillio dei botti assordanti e il solito codazzo di buoni propositi e progetti vari. Per un anno che arriva un altro se ne va e l’anno che è appena arrivato tra meno di un anno se ne andrà, lasciando il posto a una nuova serie annuale di giorni e speranze (avrete inteso quindi che, qui, nessuno di noi crede alla bufalata confezionata da alcuni e ingiustamente tributata ai Maya). Alle speranze per il futuro si accompagnano i bilanci e gli sguardi indietro anche verso l’immediato passato e l’anno che si è concluso effettivamente non è stato il massimo dell’ abbondanza e della serietà, ma non voglio stare a sciorinare le dottrine sulla crisi economica, sul quando, il come e il perché vi si è giunti, se era evitabile e se ne usciremo a testa alta o con il capo chino e le tasche bucate. Per scongiurare tali pericoli, al di là di ogni facile ottimismo o di uno sterile disfattismo, credo che ad ognuno spetti agire secondo buon senso giorno per giorno, accettando ciò che il quotidiano ci riserva nel rispetto delle regole e di tutte quelle leggi che troppo spesso vengono eluse e con una certa agilità aggirate e raggirate o più sterilmente criticate da un italiano medio che non è mai contento e che per evitare di lavorare con instancabile abnegazione e duro spirito di sacrificio adduce come scusa il fatto che ogni norma in quanto imposta dall’alto è sempre ingiusta e che se si ha la fortuna di incontrare casualmente, senza “andarsela a cercare”, il politico affermato o in cerca di affermazione, che ci tende la mano per saltare l’ostacolo e arrivare laddove l’inettitudine del nostro vicino o la sua scarsa loquacità non sono riusciti a pervenire, perché non profittare di quella occasione unica che, non a caso, si dice faccia l’uomo ladro?
Il mio augurio è che quest’anno possa essere foriero di tutte le soddisfazioni che ognuno di noi merita e che contribuisce in prima persona ad ottenere, prima credendo fermamente al fatto che i propri sogni possono essere realizzati e poi impegnandosi col cuore perché ogni progetto trovi piena concretizzazione.
Il mio augurio speciale, però, va a tutte le donne, affinché tutte possano ambire e raggiungere il posto che meritano in una società che non ha ancora deciso se votarsi ad uno strenuo maschilismo o restituire al maschio quel ruolo di virile primazia che egli ha perso, superando, per questa via, la crisi identitaria in cui è caduto.
Il trascorso 2011 è stato espressione della quintessenza femminile: la prima nata in Italia allo scoccare della mezzanotte, la/e donna/e oggetto dei desideri e delle liberalità di un attempato Presidente, la politica e le quote rosa sempre insufficienti, la “primavera araba” e tre donne premio Nobel per la Pace, Argentina e Brasile hanno inaugurato una linea di politica presidenziale tutta al femminile affidando a due grandi donne la guida dei rispettivi Paesi, mentre in Iran Sakineh sospesa tra cappio e pietra e l’inammissibilità di una condanna a morte per adulterio (più presunto che consumato) e ogni pratica offensiva nei confronti della dignità femminile le violenze domestiche e le morti passionali in aumento esponenziale, il ricambio delle ministre, da quelle più procaci e meno emancipate -culturalmente parlando- a quelle più monolitiche e sapienti ma dall’aspetto consunto da un tempo impietoso con la loro mezza età, le gaffes gelminiane e le lacrime forneriane e chi più ne ha più ne metta. Ne abbiamo avute per tutti i gusti e chissà che sorprese ci riserverà il 2012.
Il 2012 rappresenterà l ideale banco di prova per verificare se le piazze stracolme di donne entusiaste nel rivendicare visibilità,parità e potere avranno dato ragione a queste moderne condottiere instancabili nella lotta per la conquìsta della piena padronanza dei loro diritti.
Volendo partire da un excursus di breve periodo, il mese di gennaio 2011 è stato segnato dalla nascita del movimento “Se non ora quando” costituitosi sull’onda di un’indignazione sempre più difficile da contenere da parte del mondo femminile verso un governo guidato da un Presidente del Consiglio che con le sue politiche e la sua condotta ledeva pubblicamente la dignità delle donne italiane. Il bunga bunga berlusconiano è coinciso con un modo atipico e personalistico di interpretare il potere e il governo, segnando una pagina della nostra storia con i tratti infanganti di un vero e proprio sexy-gate, a cui non è seguita la doverosa manovra di abbandono dell’agone politico in nome di una discutibile e radicale scissione tra vita privata e ruolo pubblico, sconosciuta alle principali democrazie moderne. Una manifestazione fu organizzata in oltre cento piazze italiane, a Roma fu scelta piazza del Popolo, era il 13 febbraio. Arrivarono un milione di persone, un successo che sorprese tutti, anche il comitato organizzatore. Il governo ci rimase male. Il ministro dell’Istruzione, dell’epoca, Mariastella Gelmini, le definì con non poca stizza: «Poche radical chic». Il capogruppo Pdl alla Camera Fabrizio Cicchitto parlò di «ex teoriche e pratiche della trasgressione tramutate in bigotte». Ma in verità, in piazza c’erano persone di ogni età e di schieramenti politici diversi. A parlare sul palco salirono molte donne che sarebbe difficile definire radical-chic. C’erano precarie che denunciavano le imperterrite discriminazioni ma anche docenti universitarie, giornaliste, professoresse, architetti. Oltre a dire basta ad una politica offensiva per le donne avanzavano alcune proposte concrete. Da allora si è affermata con più forza l’idea che le donne sono un soggetto politico di cui tener conto.
Trascorsi pochi mesi l’ondata di indignazione ha assunto una portata globale e si è spostata sul caso conosciuto col nome della sua protagonista Sakineh Mohammadi Ashtiani, l’iraniana condannata a morte per adulterio e a 10 anni di carcere per complicità nell’omicidio del marito. La sua condanna a morte sospesa, sulla falsariga del clamore che tale vicenda aveva scatenato in tutto il mondo, in attesa di una nuova revisione del dossier, è ritornata in questi giorni in discussione: la magistratura locale aveva annunciato la sospensione della lapidazione per «motivi umanitari», ma non aveva escluso la possibilità di una condanna a morte attraverso altre allucinanti e barbare metodiche. In virtù della ‘sharià, la legge islamica, in vigore dalla rivoluzione del1979, l’adulterio in Iran è passibile di pena di morte per lapidazione mentre l’omicidio, il furto e lo stupro sono punibili con l’impiccagione. Stiamo parlando di una legge fortemente imbevuta di principi culturali e religiosi che non vengono trasfusi all’interno del regime giuridico imperante nel loro autentico significato, ma sono sottoposti ad un’attività ermeneutica estremizzata e dagli spiccati sentori maschilisti, dall’eco inaccettabile e dagli effetti dirompenti e umilianti per ogni donna che solo per uno sguardo viene additata per la sua avvenenza e innata sensualità, il cui corpo viene demonizzato e occultato in tutti i modi, e tutto questo perché lei stessa, per prima, deve recriminare al malcapitato caso l’esiziale colpa di esser nata femmina.
La Primavera araba, quella sorta di “nuovo risorgimento” che ha impegnato la sponda africana del Mediterraneo, ha aperto nuovi scenari nell’assetto politico mondiale, offrendo spunti di riflessione e di dibattito. All’interno del tema più generale, un filone di rilievo lo merita l’universo femminile, in una società in cui il ruolo della donna è ancora marginalizzato e spesso relegato a condizioni di sudditanza fisica e psicologica. Dalla cronaca di quanto accaduto e dalle immagini che ci hanno testimoniato il primario ruolo delle donne nelle manifestazioni civili di rivolta contro i regimi imperanti, emerge l’urgente priorità di promuovere il rafforzamento dello status delle donne nella convinzione che ciò sia necessario per combattere in modo sempre più incisivo ogni forma di discriminazione e promuovere una piena attuazione del principio di eguaglianza. In Tunisia, Libia, Egitto, Yemen la donna scesa in piazza è divenuta agente di un cambiamento sempre più importante e gli attuali sviluppi politici nel Sud del Mediterraneo rappresentano un’opportunità unica per assicurare che l’uguaglianza di genere sia sancita una volta per tutte nei nuovi quadri costituzionali e giuridici di queste nascenti democrazie, a cominciare dal diritto di famiglia. Tali sviluppi hanno inoltre contribuito a promuovere un cambiamento di mentalità nella gente comune e nella leadership politica. Le donne devono poter dire la loro, al pari degli uomini, nella gestione delle istituzioni pubbliche e nei processi decisionali. Per i Paesi della “primavera araba” il momento di rinascita coincide con il momento di massima crisi della vecchia Europa, crisi non solo economica, ma anche identitaria. Mentre l’Europa chiusa in se stessa è stata a guardare, leccandosi le proprie ferite monetarie, le donne arabe hanno avuto di fronte una grande, seppur difficile, occasione di riscatto da cogliere. L’emergere della consapevolezza di essere portatrici sane di diritti, l’esigenza di introdurre i dettami propri del principio si uguaglianza e di democraticità in una società che riabiliti il ruolo delle donne, è stato uno dei motivi dominanti della primavera araba. La donna libica, tunisina, egiziana, yemenita ha sofferto gli effetti dell’oppressione e dell’ingiustizia del precedente regime ma, da ultimo, ha contribuito concretamente alla liberazione del suo Paese. Non si sarebbe potuto parlare di cambiamento democratico nel Sud del Mediterraneo senza la partecipazione delle donne le quali, ora, dovranno essere chiamate a partecipare al processo elettorale e alla stesura delle Costituzioni e per far questo sarà necessaria una riforma legislativa di ampio respiro che garantisca la loro presenza nella vita politica e in un sistema di governance democratica. A conferma di questo quadro di profondo rinnovamento il premio Nobel per la pace 2011 è stato assegnato a tre donne: Ellen Johnson-Sirleaf, presidentessa della Liberia, Leymah Gbowee, avvocatessa liberiana, e all’attivista yemenita Tawakkul Karman, “per la loro lotta non violenta in favore della sicurezza delle donne e del loro diritto a partecipare al processo di pace”. La commissione norvegese si è augurata che l’assegnazione del premio alle tre esponenti femminili, di cui due africane, aiuti a porre fine all’oppressione delle donne che ancora esiste in molti Paesi, e a realizzare il grande potenziale che le donne possono rappresentare per la pace e la democrazia. La scelta di premiare tre donne direttamente impegnate nel rinnovamento democratico nei rispettivi Paesi testimonia la straordinaria originalità del contributo femminile all’avanzamento del progresso civile e sociale nel mondo contemporaneo. Questo Premio Nobel sancisce al tempo stesso il cammino del continente africano verso la pace e lo sviluppo e rafforza le spontanee istanze di libertà, partecipazione e democrazia che si levano da numerosi Paesi del Mediterraneo e che non possono più essere disattese.
Tornando a casa nostra, lo scenario politico è stato segnato da un avvicendamento al potere che ha visto una presenza non indifferente di rappresentanti del gentil sesso, più o meno avvenenti. Si è passati da un governo qualitativamente più giovanile ma dalle competenze discutibili, come più volte testimoniato da gaffes ed errori di etichetta sintomo di scarsa dimestichezza col ruolo politico compensati da look veritable chic, ad un governo tecnico infarcito di altisonanti nomee e ruoli di spicco. Le nuove “ministre” sono docenti universitarie o affermate professioniste dai curricula invidiabili ma dal gusto estetico che non appaga i sensi del mediocre maschio italico, fino a qualche settimana fa avezzo a plaudire le abitudini del dimissionario Presidente e che nutriva nel proprio intimo l’ambizione di far parte del suo entourage personale anche solo per beneficiare di certe dolci compagnie, e che in fondo non ha tutti i torti se rimane attonito e trova scarsamente appetibile il fascino femminile simil merkeliano . E così da frizzi e gaudenti lazzi celebrati in simposi e scenari da mille e una notte, alla faccia di una crisi economica e da forti problemi di perdita di credibilità del nostro Paese nello scacchiere internazionale, siamo passati alle manovre lacrime e sangue, talmente pesanti da far piangere anche chi ha contribuito a redigerle, non si è ben capito se in un momento di forte commozione per l’opera partorita o più verosimilmente per la forte empatia e presa di coscienza degli ineguagliabili sacrifici introdotti. Lo stesso volto del sindacalismo italiano si è tinto di rosa e il palcoscenico della polemica sull’art.18 e la fantomatica discussione sulla sua permanenza nel nostro Statuto dei Lavoratori, nell’attuale veste, ha visto schierato il femmineo trilaterale Fornero-Camusso-Marcegaglia.
Ma all’alba di questo nuovo anno che nasce il mio pensiero e il mio augurio vuole sfiorare le donne comuni, quelle che si alzano presto e vanno a letto poco prima di risvegliarsi, che lottano per non perdere il lavoro, per non essere emarginate dagli ambienti di spicco, che col loro multiforme impegno di professioniste, mogli e madri tengono viva la fiamma del focolare domestico con uno sguardo sempre attento alla propria affermazione personale. A quelle donne che si sono affermate con slancio e che hanno per questo messo in crisi i loro compagni, maschi che non sono più quelli di una volta, che sono troppo belle fuori ma soprattutto forti dentro per essere ammirate e possedute in via esclusiva, a tutte le donne che sentono battere dentro di esse mille cuori, che fanno vibrano le infinite corde della loro anima e che rincorrono i loro sogni alimentando le loro speranze. A quelle donne che non ci sono più perché hanno rimesso la vita nelle mani dei loro carnefici e aguzzini, colpevoli di aver dato sfogo alla loro autonomia personale e sessuale. A quelle donne che hanno dato corso alle loro scelte fino alla fine ignare della morte e che ora volano libere sulle ali di una libertà conquistata col sacrificio della loro terrena esistenza, che non saranno mai professioniste, mogli e madri, che non potranno alimentare nessuna fiamma di vita avendo perso la propria e che forse per questo, in quanto angeli, valgono ancora di più.
Buon anno cara vecchia Repubblica, non avendo ancora raggiunto l’età pensionabile, resisti e fornisci sempre un adeguato sostegno a tutte le tue donne !!!
Luciana Cusimano