di Luigi Asero
Il 10 gennaio 1987 fu pubblicato sul Corriere della Sera un lungo articolo dello scomparso Leonardo Sciascia dal titolo “I professionisti dell’antimafia”, questo articolo divenne oggetto di forte e aspra polemica (leggi qui).
Trascorsi ormai 22 anni da quei giorni ci sembra il caso di riprendere il discorso, per una serie di analisi che partendo dal passato possano aiutarci a comprendere il presente.
Sciascia contribuì non poco alla comprensione da parte del pubblico dei meccanismi mafiosi. I suoi scritti fra libri e articoli aprirono la mente di molte persone, servirono a comprendere che la mafia non era un termine astratto, ma una realtà concreta con la quale tutti in Sicilia -in qualche modo- dovevano misurarsi. Imprenditori, politici, operai, donne, capitani dei carabinieri. La mafia come fatto concreto e non come entità giornalistica. Non fu facile in quegli anni far capire ai siciliani e non, che un morto ammazzato poteva essere un anello di una catena più grande che coinvolgeva potenti e poteri.
Parlando di professionisti dell’antimafia Sciascia attaccò direttamente Paolo Borsellino. Il 25 giugno del ’92, in una delle sue ultime apparizioni pubbliche alla Biblioteca comunale di Palermo Paolo Borsellino parlò del giudice che aveva tradito Giovanni Falcone nel Csm, riservandogli un termine «giuda» che giunse sui presenti come una staffilata; insieme con l’immagine, nitidissima per tutti, del magistrato palermitano al quale si riferiva. Poi fece la ricostruzione storica della campagna volta a distruggere e delegittimare i magistrati palermitani impegnati sulla trincea della lotta alla mafia. A un certo punto fece una pausa e disse: «Tutto incominciò con quell’articolo sui professionisti dell’antimafia». Seguì un lungo applauso, 12 minuti per Paolo Borsellino e in memoria di Giovanni Falcone.
Nel gennaio ’88 Sciascia era seduto accanto nel loro primo incontro a Marsala, non disse nulla, non chiese mai scusa pubblicamente, alla fine si compresero e si strinsero la mano. Nel ’91 Borsellino lo ricordò con queste parole: “Scontro fra me e Sciascia non ve ne fu. Intanto, perché io stetti silenzioso, anzi colsi l’occasione subito dopo per indicare in Sciascia la persona che aveva estrema importanza nella mia formazione e anche nella mia sensibilità antimafia. -Continuò poi Borsellino – Ebbe la gradevolezza di darmi una interpretazione autentica del suo pensiero che mi fece subito riflettere sul fatto che quella sua uscita mirava a ben altro”
Tutta questa premessa per spiegare i fatti e ricordarne almeno le fasi salienti. Ma forse Sciascia non sbagliò il suo articolo. Probabilmente prese di mira soltanto la persona sbagliata. Sciascia, uomo di Racalmuto, uomo duro, di cultura, deciso. Sciascia uomo che aveva sempre detto la verità. Sciascia uomo che aveva sbagliato. Sciascia inconsapevole strumento di quei poteri che con la sua fidata macchina da scrivere aveva sempre attaccato e, nella Sicilia di quei tempi, oltraggiato.
Sciascia ebbe però nel 1987 una geniale intuizione: si affermavano i “professionisti dell’antimafia”.
Cadde però vittima della sua stessa intuizione pensando che una delle persone più esposte potesse farne parte.
Ma quella di Paolo Borsellino più che una professione era una passione.
Sciascia vittima di quei professionisti dell’antimafia che velatamente ispirarono il suo articolo (era stato spinto a scrivere infatti dal magistrato candidato procuratore a Marsala che, benché avesse maturato un’anzianità maggiore, era stato sconfitto da Borsellino).
Chi indicava Sciascia come figure ideologiche nel ruolo di professionisti dell’antimafia?
“l’antimafia come strumento di potere. Che può benissimo accadere anche in un sistema democratico, retorica aiutando e spirito critico mancando. E ne abbiamo qualche sintomo, qualche avvisaglia. Prendiamo, per esempio, un sindaco che per sentimento o per calcolo cominci ad esibirsi – in interviste televisive e scolastiche, in convegni, conferenze e cortei – come antimafioso: anche se dedicherà tutto il suo tempo a queste esibizioni e non ne troverà mai per occuparsi dei problemi del paese o della città che amministra (che sono tanti, in ogni paese, in ogni città: dall’acqua che manca all’immondizia che abbonda), si può considerare come in una botte di ferro. Magari qualcuno molto timidamente, oserà rimproverargli lo scarso impegno amministrativo; e dal di fuori. Ma dal di dentro, nel consiglio comunale e nel suo partito, chi mai oserà promuovere un voto di sfiducia, un’azione che lo metta in minoranza e ne provochi la sostituzione? Può darsi che, alla fine, qualcuno ci sia: ma correndo il rischio di essere marchiato come mafioso, e con lui tutti quelli che lo seguiranno. Ed è da dire che il senso di questo rischio, di questo pericolo, particolarmente aleggia dentro la Democrazia Cristiana“
Sciascia intuisce quindi che delle persone, in nome dell’antimafia, ne sarebbero diventati professionisti. Non calcola però che se non proprio professionisti, già all’epoca si affermavano diversi “buoni apprendisti” pronti a cambiare il senso della verità, pronti a sfruttare il potere che già all’epoca derivava dai mass media. Intuisce quindi una grande verità, sbaglia totalmente la focale scegliendo come obiettivo proprio Paolo Borsellino. Legittima con la scrittura e la cultura la più grande campagna di deleggittimazione mai iniziata da Cosa Nostra e dai poteri che da sempre, per convenienza, la sostengono.
Ma la sostanza, a nostro avviso, rimane inalterata e in un mondo in cui quelle icone dell’antimafia vivono ormai soltanto nei nostri ricordi e nelle nostre vite il problema si ripresenta. Forte come non mai.
Oggi viviamo un forte rinnovamento dei movimenti antimafia, la nuova creazione di icone ed esempi da portare avanti e sostenere nella lotta (forse eterna) contro la mafia e i poteri forti.
Ma in questa lotta vediamo inserirsi con forza e prepotenza una nuova generazione agguerrita e più colta (pertanto più pericolosa) di “professionisti”. Persone che si fanno scudo della parola “antimafia” per interessi privati e assolutamente distanti dalla logica dell’ideale e della giustizia.
Il moltiplicarsi di informazioni sui social network, sui giornali, sulle televisioni sempre più spesso è volto soltanto a confondere le carte più che a far chiarezza in questi misteri. Proviamo a leggere in mezzo a frasi e mezze frasi trovando spesso incongruenze, populismo, semplice demagogia. Puri meccanismi politici, nulla più. Personaggi vecchi e nuovi, personaggi “in cerca d’autore”.
* (già pubblicato su questo giornale il 06/09/2009)