“Stasera Anna dorme presto”, di Simona Lo Iacono: un libro dolorosamente splendido. Basterebbe questa sola frase a sintetizzare le virtù di questo romanzo. Del resto la Lo Iacono è una maestra del fraseggio breve, le bastano due righe per raccontare un universo. Un universo nel quale naufragano i piccoli sentimenti degli esseri umani, ardono le passioni, gli istinti, il desiderio di ognuno a esercitare con forza il proprio diritto all’esistenza. Cosa sarebbe la bellezza del creato, la vastità del cielo, senza gli intrighi di questi piccoli esseri a due zampe che abitano il pianeta terra? La splendente luce di una stella non potrà mai riscaldare quanto un cuore che batte. Simona è donna sensibilissima, oltre che scrittrice sopraffina, e riesce a scandagliare l’animo dei suoi protagonisti, ne estrae note dolcissime, stridenti, acute, sofferte, pervase da struggente malinconia.
Un senso di ineluttabile pervade il lettore a leggere “Stasera Anna dorme presto”, un senso di smarrimento, sente addosso come cappa di piombo il tempo che scorre attraverso le pagine, il tempo perduto per sempre, granelli di sabbia inesorabilmente consumati dentro la clessidra. I giorni caricati sulle spalle come zavorra, vissuti in maniera giusta o sbagliata, ma comunque vissuti. Un romanzo a quattro voci: Anna, Elisa, Carlo, Giovanni. Moglie, amante, marito, cugino. Anna è una donna siciliana che nell’adolescenza ha amato il cugino Giovanni ma lo lascia per sposare Carlo, un brillante avvocato in carriera, e seguirlo a Roma. Ma con il trascorrere dei mesi il loro rapporto diventa sempre più freddo e formale fino a quando Anna non scopre che Carlo ha un’amante, Elisa, avvocatessa conosciuta nelle aule del tribunale. Comincerà un viaggio a ritroso nel tempo, un viaggio interiore, da parte dei quattro protagonisti alla ricerca di se stessi. Un intrigo di passioni, di amori consumati, perduti, ritrovati, rubati. Ognuno ha la sua verità da raccontare dinanzi al tribunale severo della propria coscienza.
Simona Lo Iacono nella vita esercita la professione di magistrato ma nel suo romanzo non dispensa condanne, né assoluzioni. Non esistono colpevoli in questa storia, solo persone in viaggio per il sentiero tortuoso della loro esistenza, obbligate a percorrerlo fino in fondo. E Simona riconosce a ognuno la propria dignità. Non ci sono buoni e cattivi. Nessuno ci lascia, perché nessuno ci appartiene. Siamo individui che si attraggono, si respingono ma ognuno chiuso dentro la corazza della propria solitudine. Cos’altro è questo splendido romanzo, se non un coro di solitudini? Le parole scorrono incastonate una dietro l’altra come gemme preziose, diventano poesia, diventano gocce di dolore che inzuppano la carne e straziano l’anima, ci ricordano che siamo essere imperfetti. Ma a cosa servirebbe la bellezza del creato, la fredda luce delle stelle, senza i piccoli cuori degli uomini che ne scandiscono la vita?
è nata e vive a Siracusa. Magistrato da 14 anni, attualmente dirige la Sezione distaccata di Avola. Cura, sul blog Letteratitudine di Massimo Maugeri (Kataweb-L’Espresso), una rubrica fissa a metà tra diritto e letteratura. Con il suo primo romanzo Tu non dici parole ha vinto il Premio Vittorini 2009 – sezione opera prima. Nel 2010 ha pubblicato il racconto La coda di pesce che inseguiva l’amore scritto con Massimo Maugeri. Sempre nel 2010 le sono stati conferiti: il Premio Internazionale Sicilia “Il Paladino” per la narrativa e il Premio Festival del talento città di Siracusa. Collabora a riviste e magazine.
Salvo Zappulla
“Stasera Anna dorme presto”
di Simona Lo Iacono
Cavallo di Ferro editore
romanzo
Pagg. 240
Prezzo € 16,00
Incontro con Simona Lo Iacono
La scrittura come ricerca della verità
Simona, dopo “Tu non dici parole” un romanzo storico e “La coda di pesce che inseguiva l’amore”, (scritto insieme a Massimo Maugeri), un racconto che possiamo definire fiabesco, ecco “Stasera Anna dorme presto”. Come definiresti questa tua ultima opera?
Grazie, Salvo per le parole appassionate che hai tributato a questo libro. Una narrazione che nasce, prima di tutto, da una forte esigenza morale. Come giudice assisto a un coro millenario di voci sovrapposte. Ascolto motivi, giustificazioni, raccolgo solitudini, evoco fantasmi. Una matassa di ombre mi sfila davanti, s’incolonna innanzi alle scranne, quel legno da cui il giudice osserva, protetto dal nero della toga, dal bianco delle nocche, dai codici impilati al suo fianco. E penso. Penso che ogni processo nasconde sotterranei mondi che non potrò raccogliere in sentenza, ai quali sarebbe impossibile applicare una sola norma. Perché sotto il dedotto e il deducibile, sotto le apparenze abilmente rappresentate dagli avvocati, c’è un altro processo, quello doloroso, intimo, solitario che l’imputato consuma nel suo cuore.
Ecco, dei due processi – quello reale e quello nascosto – il giudice regola il primo. Ma lo scrittore è il dolente segretario del secondo.
Giudicare i propri simili, condannare o assolvere, stabilire una pena, non è un compito troppo gravoso per un essere umano?
E’ certamente il compito più arduo e doloroso che un essere umano debba compiere. E tuttavia è un compito necessario per mantenere la stabilità, la pace sociale. A un solo patto però: che il giudizio del tribunale si limiti al fatto. Senza entrare mai in un giudizio morale verso l’uomo. Ciò che il magistrato ha il potere di decidere attiene all’ambito dell’azione (persino i moventi e l’indagine psicologica vanno vagliati sotto questa luce). Il resto, valutazioni personali, morali, non appartiene ad alcuno. Il giudizio di un uomo su un altro uomo non è del tribunale, né dell’uomo stesso.
La scrittura può essere terapeutica per salvare il mondo dall’imbarbarimento?
Sì, la scrittura è una ricerca di verità e bellezza, e quindi ci immette in una dimensione defilata, profonda, dilagante dell’essere. Perché ci costringe a guardare la realtà con altri occhi, a sventrare le maschere, a contemplare il mondo con uno sguardo sovrapposto. E’ duplicazione, la scrittura, ma alche moltiplicazione, perché smembra e ricompone in modo diverso, tanto che – alla fine- lo scrittore (o il lettore) non è più lo stesso, è rimasto inciso da un solco che sarà costretto a ricordare, che manterrà magari in un angolo del cuore, ma che salirà su a confortarlo, a guidarlo, a convincerlo quando la vita, e la sua graffiante impostura, si faranno nuovamente sentire. Il vero libro è quello che ti lascia dentro una memoria inabissata, dormiente, e che pensi di avere scordato, ma continui a leggere nascostamente, che continui a vivere senza forse saperlo.
Anna, Elisa, Carlo, Giovanni, quattro esseri di questo mondo costretti a fare i conti con le proprie debolezze. Chi, fra tutti, meriterebbe una carezza in più?
Tutti. Tutti e quattro per diverse ragioni. Come, d’altra parte, l’umanità intera. Nessun uomo si sottrae all’esigenza di essere consolato per gli errori fatti, per le cadute, per il male o il bene seminato. Né alcuno merita di essere classificato per un verso o per un altro, per una falla piuttosto che per un successo, dimenticando la magnifica complessità e fragilità di cui vibriamo, la tenerezza di cui saremmo assetati, le parole che non sappiamo dire per paura o per un passato che ci precede. Tutti malfattori e tutti santi, noi uomini, ma in modo stranamente sovrapposto, perché nessuno di noi può dirsi veramente nella luce. O nel buio. Siamo quella soglia perpetua e piangente che a volte rimane ingabbiata, o che, anche quando riesce a scegliere, conserva la cicatrice dello sforzo fatto, la delicata stramatura di un prima e un dopo. Tutti meritevoli di un amore disarmato, quindi. D’altra parte lo scrittore deve essere un ostinato e perduto amante dell’uomo.
La lealtà paga sempre?
Paga con se stessi. E questo è già tanto. Rispetto al mondo avviene più raramente, perché la lealtà esige anche pietà umana, commozione, capacità di non sapersi arroccare sulle proprie posizioni…chi accoglie un atto di lealtà deve avere coraggio, farsi umile, partecipe. Come vedi non esistono atti isolati, decisioni solo nostre. Tutto si ripercuote sul destino degli altri, invisibilmente e silenziosamente, con una costanza simile al lento lavorio di un instancabile ruminante. Questo per dire che siamo tutti concepibili solo per mezzo degli altri, per loro merito, o per loro colpa.
Salvo Zappulla