Nuovi equilibri nella guerra del gas – Seconda parte

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Il sostegno della Turchia al Gasdotto Transanatolico, e il supporto delle compagnie Shell e British Petroleum al Gasdotto Europeo del Sud Est, costringono il Nabucco, progettato dall’Unione Europea, ad un sensibile ridimensionamento. Le differenti infrastrutture chiamate in causa nella corsa UE all’eldorado energetico azero, e i tentativi della Russia di impedire tale disegno per mantenere la propria egemonia sul Vecchio Continente

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Turchia, Italia e Ucraina, con Unione Europea e Russia dietro le quinte: questi sono gli attori principali destinati a influenzare la realizzazione di un’infrastruttura per consentire a Bruxelles lo sfruttamento dei giacimenti di gas della regione del Mar Caspio. Un’operazione da tempo supportata dalla Commissione Barroso, la quale, dopo avere raggiunto accordi con Azerbajdzhan e Turkmenistan per l’acquisto di oro blu dal giacimento Shakh-Deniz, ha preventivato la realizzazione di un fascio di gasdotti in cui rientrano interessi nazionali, geopolitici ed energetici di diversa natura e provenienza che, ad oggi, hanno impedito a Bruxelles l’elaborazione un progetto unico.

Chiave di svolta è stata, il 27 Dicembre 2011, la decisione da parte della Turchia di sostenere il Gasdotto Transanatolico (TANAP). L’infrastruttura, progettata lungo tutta la penisola anatolica per trasportare gas dall’Azerbajdzhan al Bosforo, è sostenuta non solo da un accordo politico tra Ankara e Baku, ma anche da un consorzio compartecipato delle compagnie nazionali di Turchia e Azerbajdzhan, BOTAS e SOCAR, dell’olandese Shell, e della britannica British Petroleum.

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Secondo i piani di questo consorzio, il gasdotto Transanatolico dovrebbe rappresentare il primo tratto del Gasdotto Europeo Sud-Est (SEEP): una lunga infrastruttura che consentirà il trasporto dell’oro blu di provenienza azera ai Paesi centrali e occidentali del Vecchio Continente tramite lo sfruttamento di una delle due infrastrutture già esistenti.

La prima è l’Interconnettore Turchia-Grecia-Italia (ITGI), posseduto dal consorzio Poseidon, in cui rientrano la BOTAS, la compagnia greca DESFA, e l’italiana Edison. Questo gasdotto collega la penisola anatolica ad Otranto, passando per la Grecia e i Mari Egeo e Ionio. Come ammesso dal suo Presidente, Elio Ruggeri, l’infrastruttura vanta modeste dimensioni, ma può contare sull’appoggio politico dell’Azerbajdzhan: confermato, lo scorso 2 Febbraio, dall’incontro tra i vertici della SOCAR e il vice-Ministro allo sviluppo economico italiano, Claudio de Vincenti.

Insidia al’ITGI è la Trans-Adriatic Pipeline (TAP) che è compartecipata dalla compagnia elvetica EGL, dalla norvegese Statoil, e dalla tedesca E.On. Questo gasdotto collega la Grecia a Brindisi passando per l’Albania e, come dichiarato dal suo Direttore delle Relazioni Internazionali, Michael Hoffman, può garantire il trasporto di una quantità di gas superiore a quella attuale in caso di accordo con il consorzio Transanatolico.

L’ultima parola spetta all’Azebajdzhan, che, al momento della firma dei pre-contratti con la Commissione Europea, ha promesso di decidere in tempi brevi su quale itinerario energetico puntare per onorare i propri obblighi di Paese fornitore. Tuttavia, a complicare questa scelta è la presenza di altri due progetti alternativi al Gasdotto Europeo del Sud-Est.

Il primo è il Nabucco: gasdotto progettato lungo i Balcani per raggiungere i giacimenti azeri senza transitare per il territorio della Russia: dalle cui forniture l’UE già dipende quasi in toto. Riconosciuto progetto di primaria importanza per Bruxelles, il gasdotto dalla verdiana denominazione è sostenuto politicamente da Commissione Europea, Paesi dell’Europa Centrale – Polonia, Lituania, Lettonia ed Estonia – e consorzio AGRI – Azerbajdzhan, Georgia, Romania e Ungheria – ed economicamente dalle compagnie energetiche bulgara Bulgargaz, romena Transgaz, ungherese MOL e austriaca OMW.

Dato inizialmente per favorito, il Nabucco ha perso prestigio in seguito alla fuoriuscita della BOTAS e della SOCAR – che hanno sostenuto il Gasdotto Transanatolico – e ai ripensamenti della compagnia tedesca RWE, il cui Presidente, Stefan Judisch – preso atto che la decisione dei governi turco e azero ha complicato la situazione – ha proposto un ridimensionamento del progetto ad una sorta di Nabucco Occidentale: da considerare come il prolungamento in territorio europeo del Gasdotto Transanatolico alternativo a ITGI e TAP.

La Russia cerca di bloccare l’indipendenza energetica dell’Unione Europea

Finora, il Nabucco non ha ancora adottato contromosse. Come dichiarato dal suo Presidente, Kristian Dolezan, il consorzio continua a ritenere la Turchia un partner privilegiato, malgrado il sostegno concesso da Ankara al Gasdotto Trasnanatolico e, ancor prima, all’accordo con la Russia per il transito nelle acque territoriali turche del Southstream.

Questa infrastruttura è l’ultimo attore della guerra dei gasdotti nell’Europa Centro-Orientale e Meridionale. Noto come Gasdotto Ortodosso, il Southstream rappresenta il tentativo da parte del Cremlino di impedire all’Unione Europea la corsa all’eldorado azero. L’accesso diretto di Bruxelles ai giacimenti del Mar Caspio comporterebbe non solo un brusco ridimensionamento della dipendenza energetica dell’UE da Mosca, ma metterebbe anche in crisi i piani di egemonia della Russia sul Vecchio Continente, che, come dimostrato dai recenti eventi, il Cremlino intende realizzare con l’arma del gas e dei gasdotti.

Cruciale per la realizzazione del Southstream è la situazione in Ucraina, poiché è da tempo che Mosca ambisce al controllo del sistema infrastrutturale energetico ucraino: passo fondamentale per collegare i gasdotti russi a quelli di Francia, Germania, Slovenia, Slovacchia e Italia, ossia i Paesi con cui il monopolista russo, Gazprom, ha già firmato accordi e pre-accordi per la gestione totale o parziale delle condutture nazionali.

Oggi, l’indipendenza dei gasdotti dell’Ucraina è garantita dai contratti firmati tra Kyiv e Mosca nel Gennaio 2009 dall’allora Primo Ministro, Julija Tymoshenko – attualmente, in seguito a un’opera di repressione politica, detenuta in isolamento proprio per avere firmato quegli accordi – ma presto il Presidente ucraino, Viktor Janukovych, sarà costretto a cedere alle richieste del Cremlino: isolato com’è sia sul piano internazionale – per via della sua condotta autoritaria – sia su quello energetico.

Difatti, il Southstream è concepito anche per bypassare – e minacciare – l’Ucraina, rifornendo gli acquirenti del Mediterraneo occidentale per mezzo di un percorso alternativo a quello dipendente dai gasdotti ucraini: dal fondale del Mar Nero, il Gasdotto Ortodosso raggiungerà la Grecia, da dove una diramazione sarà orientata verso l’Italia meridionale, e, un’altra, verso Macedonia, Montenegro, Serbia, Slovenia, e Pianura Padana.

Il Southstream è un progetto costoso, che la Russia stessa preferirebbe non realizzare per non impiegare troppe risorse finanziare. Tuttavia, in questo progetto Mosca è supportata da una cordata molto influente sul piano economico: oltre a Gazprom, quote di partecipazione del Southstream sono possedute dal colosso energetico italiano ENI, dalle compagnie tedesca, francese e greca Wintershall, EDF e DEPA, e da quelle nazionali di Macedonia, Serbia, Slovenia e Montenegro.

Sul piano politico, il Gasdotto Ortodosso è sostenuto attivamente non solo dalla Russia, ma anche dai governi di Francia e Germania, i quali, in diverse occasioni, hanno sostenuto apertamente gli interessi energetici di Mosca in sede europea: a prescindere dal palese contrasto con l’interesse generale di Bruxelles nel diversificare le fonti dal quasi unico fornitore russo e, de facto, dalla messa a serio repentaglio della sicurezza energetica dell’Unione Europea tutta.

Matteo Cazzulani (tratto da La Voce Arancione – http://matteocazzulani.wordpress.com/)

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