E’ sempre attuale “Il giorno della civetta”

Condividi questo articolo?

Teatro civile nella miglior tradizione, l’adattamento teatrale del “Giorno della civetta” realizzata da Gaetano Aronica, per la regia di Fabrizio Catalano, con Sebastiano Somma e Orso Maria Guerrini, e in scena fino al 4 marzo al teatro Parioli-Peppino De Filippo a Roma.

Pubblicità

Il racconto di Sciascia è ambientato in un paese di poche migliaia di abitanti, nell’entroterra siciliano. Un freddo mattino d’inverno viene ucciso un uomo; tipico delitto di mafia; da qui parte la storia, che racconta dell’inchiesta per accertare chi ha commesso quel delitto, per ordine di chi, e perché. La storia di un giovane capitano dei carabinieri, Bellodi,appena approdato in Sicilia dalla lontana Parma. Siamo all’inizio degli anni ’60. Bellodi è un uomo onesto ed
intelligente, pronto ad affrontare qualunque difficoltà, pur di far bene il proprio dovere. Una vicenda ispirata a un fatto vero: il delitto di un sindacalista, Accursio Miraglia, ucciso nel 1947. E anche la figura di Bellodi è tratteggiata a una persona realmente esistita: non il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, come lo stesso Dalla Chiesa credette, ma un altro carabiniere: Renato Candida, uno di quei carabinieri capaci di vedere e non solo guardare, ascoltare e non solo sentire, e soprattutto capire: come si intuisce a rileggere un importante suo libro, “Questa mafia”, che Sciascia recensì nel 1957.
Candida proprio per queste sue doti, un giorno venne promosso e trasferito. A Torino.

Pubblicità

“Il Giorno della civetta”, pubblicato nel 1961, ha – se così si può dire – una strutturazione per sequenze, e questo credo abbia facilitato il lavoro di Aronica e Catalano, che hanno saputo realizzare una rappresentazione che non tradisce il testo originario, anzi lo esalta, e ne viene impreziosito dalle potenti interpretazioni di Somma, Guerrini, ben spalleggiati dallo stesso Aronica, e da Morgana Forcella, Roberto Negri, Alessio Caruso, Maurizio Nicolosi, Giovanni Vettorazzo, Luca Marianelli e Fabrizio Catalano.

Un racconto, “Il Giorno della civetta”, che degli imbecilli hanno voluto vedere come un’esaltazione della mafia e del mafioso che verrebbe celebrato. E’ esattamente il contrario. Al di là delle pagine più conosciute e ridotte quasi a macchietta (quelle dove don Mariano Arena elenca le cinque categorie con cui divide l’umanità), quello che si descrive è un capitano Bellodi che crede nei valori della Costituzione, e che sa conservare un comportamento corretto anche nei
confronti del capomafia; un “garantista”. Ed è proprio quella correttezza, quel rispetto delle regole che gli fanno guadagnare una sorta di rispetto da parte del capomafia che da giovane ha invece subito gli arbitri e gli abusi che negli anni del prefetto Cesare Mori erano la regola. Così il mafioso qualifica Bellodi come “vero uomo”; e qui si sono appigliati gli imbecilli: che rimproverano a Sciascia una sorta di fascinazione nei confronti del capomafia, come stregato. Non hanno voluto vedere che proprio Sciascia per la prima volta, aveva raccontato il volto e la realtà spietata e violenta della mafia.

Tantomeno hanno mostrato di vedere che nel “Giorno della civetta” si suggerisce – e siamo, ripeto, nel 1961 – una precisa strategia investigativa, gli accertamenti bancari che nessuno aveva mai tentato prima di Giovanni Falcone. E’ una pagina che andrebbe scolpita nei palazzi di giustizia, ovunque: “Bisognerebbe sorprendere la gente nel covo dell’inadempienza fiscale, come in America. Ma non soltanto le persone come Mariano Arena; e non soltanto qui in Sicilia.

Bisognerebbe, di colpo, piombare sulle banche; mettere mani esperte nelle contabilità, generalmente a doppio fondo, delle grandi e piccole aziende; revisionare i catasti. E tutte quelle volpi, vecchie e nuove, che stanno a sprecare il loro fiuto dietro le idee politiche o le tendenze o gli incontri dei membri più inquieti di quella grande famiglia che è il regime, e dietro i vicini di casa della famiglia, e dietro i nemici della famiglia, sarebbe meglio si mettessero ad annusare intorno alle ville, le automobili fuori serie, le mogli, le amanti di certi funzionari: e confrontare quei segni di ricchezza agli stipendi e tirarne il giusto senso. Solo così ad uomini come don Mariano comincerebbe a mancare il terreno sotto i piedi…”.

C’è poi un’altra grande pagina, anch’essa andrebbe mandata a memoria: quando Bellodi, preso da sconforto, sembra quasi cedere alla tentazione di usare gli strumenti usati da Mori, al di là e al di sopra della legge. Una tentazione che subito scaccia: non è con una eccezionale sospensione delle garanzie costituzionali che il male si estirpa. Anzi. “Un nuovo Mori diventerebbe subito strumento politico-elettoralistico; braccio non del regime, ma di una fazione del regime”. E non manca una pagina di cauto ottimismo. Quando Bellodi ricorda al boss mafioso che la figlia studia in un collegio svizzero: “Costosissimo, famoso…Immagino lei se la ritroverà davanti molto cambiata: ingentilita, pietosa verso tutto ciò che lei disprezza, rispettosa verso tutto ciò che lei non rispetta…”. La cultura, insomma, come strumento contro la violenza e l’arroganza mafiosa. Il boss mafioso capisce al volo: “Lasci stare mia figlia”, dice rabbioso.

Un libro importante, da leggere e rileggere, come un po’ tutti i libri di Sciascia. E sarebbe importante che il ministro della Pubblica Istruzione emanasse un paio di circolari agli istituti scolastici: per invitarli ad adottare, come lettura consigliata “Il Giorno della civetta”; e portare gli studenti a vederne in teatro la riduzione.

Walter Vecellio

Potrebbe interessarti

Leave a Comment

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.