Ne parla, Leonardo Sciascia, nell’ottavo dei ventotto saggi che compongono “La corda pazza”, la raccolta di studi scritti tra il 1963 e il 1970, e in quell’anno pubblicato da Einaudi. Scrive di quella singolare figura che fu il barone Pietro Pisani e “scivola” nell’amato Pirandello, la battuta di un personaggio del “Berretto a sonagli”: “Deve sapere che abbiamo tutti come tre corde d’orologio in testa. La seria, la civile e la pazza”. E a ulteriore chiarimento: “Michele Palmieri, siciliano in esilio, in quei vivissimi souvenir di cui Stendhal e Dumas si servirono, annotava: ‘nel paese più arretrato d’Europa, c’è il manicomio più avanzato d’Europa’. Ma il fenomeno era tutt’altro che incongruente e contraddittorio: appunto per l’arretratezza del paese la funzione di un ‘meccanismo d’esclusione’ finiva con l’apparire sommariamente ingiusta e ingiustificata agli occhi di un uomo pietoso e consapevole, tanto estremo nelle passioni quanto lucido nell’analizzarle, quale il Pisani. La ‘corda civile’ rimaneva bloccata da secoli; e il funzionamento della corda ‘seria’ andava ormai in sintonia allo scatenarsi della ‘corda pazza’. Più tardi, il principe di Lampedusa parlerà di una follia siciliana: ma il barone Pisani ne aveva già avvertito la coscienza, se dentro una tanto vasta area di follia ritaglio il solo luogo in cui si potesse ricostituire la ragione…”.
Da qui, conviene cominciare; e poi gustare – gustare è il termine più appropriato, dal momento che si tratta di una prelibatezza – il libro curato da Renato Martinoni: “Troppo poco pazzi. Leonardo Sciascia nella libera e laica Svizzera” (Leo S. Olschki editore, pagg. 168, impreziosito da un CD-DVD con due interviste radiofoniche e due interviste televisive alla radio e alla televisione svizzera del Canton Ticino). In una delle interviste radiofoniche, del 1974, lo stesso Sciascia fornisce la chiave per comprendere il suo interesse per la Svizzera: “Nella misura in cui considero noi siciliani pazzi, considero gli svizzeri troppo poco pazzi, perché hanno quello che noi non abbiamo e hanno fatto quello che noi non abbiamo fatto. In effetti la Svizzera è una terra più povera della Sicilia, però ha raggiunto un grado di benessere che la Sicilia non si sognerà. Sì, la Svizzera è troppo poco pazza, forse anche troppo, il troppo si può anche usare in senso negativo”.
Troppo poco pazza, certo, conviene Martinoni; che poi però obietta: “non crediamo di forzare le cose e neanche di enfatizzarle in modo surrettizio, anche bastantemente ‘seria’ e ‘civile’ per suscitare l’interesse ammirato e riconoscente di chi la frequenta con tanta assiduità”.
Marinoni, docente di letteratura all’università di San Gallo in Svizzera, e a Cà Foscari a Venezia, affronta con sapiente maestria l’impatto e l’incidenza della presenza di Sciascia nel mondo culturale svizzero. Scrittore europeo come pochi, pur avendo scelto come suo “osservatorio” la piccola Racalmuto ela Sicilia.
Quello che traspare sfogliando e leggendo il libro curato da Martinoni è quello che già si può cogliere sfogliando “Galleria”, la rivista che Sciascia dirigeva negli anni Cinquanta (quanto sarebbe utile se si riuscisse a curarne una riedizione!). Per fare qualche esempio: il fascicolo 5-6 del settembre-dicembre 1961 dedicato a “letteratura e arte figurativa nella Jugoslavia del dopoguerra”, curato da Ciril Zlobec; le poesie di Martine Cadieu, francese di Cartagine; o di Claude Fernet, anche lui francese nato in Romania; e ancora gli interventi di Léopold S. Senior, Walt Whitman, Carmen Milacic, Rafael Alberti; e il coraggio – che di coraggio ce ne voleva – a dedicare un intero fascicolo do 350 pagine, a Ezra Pound. Non c’erano allora fax, e-mail, le comunicazioni erano affidate alla posta che tuttavia funzionava meglio e con maggiore efficienza di ora. Eppure con i mezzi limitati di allora, con le distanze che allora erano tali, con le maggiori difficoltà che c’era di reperire libri, riviste, conoscenza, Sciascia con “Galleria”, rivista edita e pubblicata nel cuore della Sicilia, dimostra che si può fare una rivista di respiro europeo, aperta al “nuovo” e capace di coglierlo e interpretarlo. Sciascia aveva questa capacità rabdomantica: le pagine di “Troppo poco pazzi. Leonardo Sciascia nella libera e laica Svizzera” ne sono la conferma.
È un volume importante, e non solo per gli studiosi di Sciascia. Prezioso per tante ragioni: il DVD con un quattro di interviste per la televisione e la radio svizzera: “Il caso Sciascia”, di Alberto Negrin del 1978; e la precedente del 1966 di Arturo Chiodi; “Leonardo Sciascia e della Corda pazza”, presentato da Giulio Villa Santa del 1974; e “Confini”, a cura di Marco Horat del 1988. E ancora: alcuni degli articoli pubblicati tra il 1957 e il 1975, prima su “Libera Stampa”, poi su “Il Corriere del Ticino”; e importanti saggi, dello stesso Marinoni, di Tania Giudicetti Lovaldi, Raffaella Castagnola, Mark Chu, Amanda Crameri, seguiti dalle testimonianze di Arnaldo Benini, Marco Horat, Carla Horat. Interessantissimi, perché si esplora e scandaglia la presenza di Sciascia nella Svizzera tedesca (Crameri), e il rapporto con gli scrittori svizzeri (Chu): non solo l’amato Friedrich Durrenmatt, ma anche Fritz Zorn, Friedrich Glauser. “I lettori della ricca e tranquilla Svizzera italiana hanno avuto la fortuna di seguire, purtroppo non sempre, le vicende culturali e politiche italiane degli anni Sessanta e Settanta con una completa serenità da un osservatorio privilegiato attraverso gli occhi di una personalità carismatica, originale e polemica, che ha impugnato la penna e ha denunciato i mali della sua Sicilia e dell’Italia in generale”, annota Giudicetti Lovaldi nella sua accurata panoramica a proposito della collaborazione di Sciascia con i giornali ticinesi (“Una voce chiara dalla confusione”).
“Troppo poco pazzi” è un altro prezioso tassello che colma una lacuna: l’intensa partecipazione di Sciascia alle vicende culturali della vicina Svizzera. Se un augurio ci si fa, e che siano i “dilettanti”, – coloro che, per dirla con Sciascia, appunto, si “dilettano”, e con “leggerezza” tengono desta la loro intelligenza – a riservare nella loro biblioteca un posto d’onore a questo importante libro.
Walter Vecellio