Politica, esercizio di libertà

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C’è un malessere che serpeggia velocemente nella società italiana, che inchioda la politica e le istituzioni alle proprie responsabilità e, giustamente, esige trasparenza e legalità. All’interno di questo scenario i soggetti politici si muovono lentamente, non riescono a cogliere i disagi e le richieste dei cittadini, vivono in un mondo artefatto fatto di piccole ambizioni e alleanze ambigue. La politica è distante dal territorio, dalle persone e dalla vita reale del paese; una lontananza espressa in varie forme: nella comunicazione, nei programmi e persino nelle intenzioni. C’è, però, chi si approfitta di queste debolezze presentando, appunto, la politica non come qualcosa di bello, da salvare, ma come un intero sacco dell’immondizia da impacchettare e buttare alla prima fermata. Niente di più sbagliato. L’uomo Qualunque o il grillismo, che incarna questo diffuso malcontento, riesce ad aizzare come nessun altro l’umore e la rabbia degli italiani. Lo fa, però, con arroganza e seppur si fa portatore di verità incontestabili, attraverso programmi puntuali, anche se discutibili, rifiuta il dialogo, il confronto e si rintana nell’idea bizzarra della propria perfezione: un po’ come il primo berlusconismo o la Lega targata anni novanta. Insomma, una demagogia un po’ meno urlata e più populista. Siamo, però, veramente sicuri che tutti questi ragazzi bravissimi del movimento cinque stelle, che democraticamente presentano un programma e chiedono il voto, incarnino ineccepibilmente quest’agognata idea d’integrità? O forse anche loro a contatto con il potere dovranno inevitabilmente “sporcarsi le mani”? Perché, in fondo, la politica, da che mondo è mondo, richiede sudore, compromessi, sacrifici, e non si può pensare di giocare una partita per poi uscire sempre intatti dal terreno di gioco. Forse nel mondo virtuale, ma la realtà è ben altra cosa.

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In effetti, è doloroso assistere alla corruzione che dilaga nella classe dirigente, come testimoniano le ultime vicende che riguardano e il centrosinistra e il centrodestra. Perfino l’aerea cattolica propende verso un potere sempre più egemone e autoreferenziale. Per certi movimenti cattolici – i legami con la politica e la finanza saranno perfino inevitabili – l’anima è già persa da un pezzo. Questa consapevolezza richiede coraggio, spirito critico e voglia di rinnovamento: una sfida che questi movimenti cristiani non intendono affrontare e probabilmente non sono neanche più capaci di intraprendere. Non è un caso che parte di quel mondo lì ha già fatto le valigie ed è pronto per un voto di protesta.

Appare, all’inverso, sconfortante applaudire la solita retorica del tutto fa schifo o abbandonarsi alla cultura del “meno-peggio”. Questa idea del noi siamo meglio, loro fanno schifo, non è mai stata così poco edificante come ora: se i politici giustamente vanno criticati aspramente per via dei loro privilegi, bisogna anche comprendere che il miglior modo per aiutare le istituzioni e i partiti, il cui contributo non può essere liquidato con tanta ipocrisia, non può che essere espresso in tutto il proprio vigore dal desiderio della società civile. Occorrerebbe seguire il monito dello studente fucilato nel 44 e ricordato da Napolitano durante la festa del 25 aprile: “la cosa pubblica siamo noi”. Questo vuol dire che in politica, come nella quotidianità, abbandonarci a una sfiducia preconcetta verso quei partiti che dovrebbero rappresentare un legame forte con le istituzioni democratiche, significherebbe tradire principi e valori che stanno alla base della ricostruzione sociale e civile di questo paese. La cosa pubblica non come materia ad appannaggio di specialisti in cerca di fortuna, che urlano lasciando posto al vuoto e alla disperazione, ma come risorsa collettiva da valorizzare, condividere e curare. Serve una proposta, un esercizio di libertà. Da parte di tutti, nessuno escluso.

Salvo Pappalardo

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