Trecento operatori di un call center sarebbero stati beffati. Secondo una nota della Cisl, i contributi dei lavoratori non sarebbero stati versati. Si tratta della società Inlinea S.r.l. con sede legale a Roma, che risulta iscritta alla Camera di commercio di Roma. L’azienda misteriosamente ha chiuso i locali siti in via Monsignor Ventimiglia e dalle cui ceneri attualmente è sorto un altro call center.
«I lavoratori sono inferociti – dice Maurizio Attanasio, segretario generale Felsa Cisl Sicilia – perché in questi giorni hanno appreso che oltre al danno hanno subito anche la beffa, ovvero la società quando pagava tratteneva la somma relativa alla contribuzione ma, nei fatti, non la dichiarava. Quindi, i lavoratori a loro volta pagavano le tasse su una contribuzione inesistente. Ma i beffati non sono solo i tantissimi lavoratori e stiamo stimando quante sono le persone a cui non è stato versato un centesimo di contribuzione a fronte di anni di lavoro “regolarmente” prestato».
«I lavoratori – aggiunge Attanasio – assieme alla Felsa Cisl si rendono sin da subito disponibili a collaborare affinché oltre a poter riavere quanto a loro è stato ingiustamente sottratto, questo fenomeno scompaia dalla provincia di Catania e dalla Sicilia. Per queste aziende di call center deve essere costituito un osservatorio permanente, visto anche l’approssimarsi dell’applicazione della nuova legge Fornero, che comporterà un maggior intervento per garantire la giusta applicazione a quelle migliaia di giovani lavoratori del settore che la Felsa Cisl stima attorno a 10mila l’anno».
«Catania – sottolinea Alfio Giulio, segretario generale della Cisl etnea – è una città dai tanti paradigmi, ma anche dei tanti paradossi. Il perdurare di una così forte crisi economica ha contribuito a creare un mercato del lavoro che oggi esplode in tutta la sua dicotomia: da un lato il tentativo di ripresa di aziende virtuose che sono state capaci di affrontare la crisi e di rigenerarsi; dall’altra, avventurieri senza scrupoli, che è difficile definire imprenditori, che offrono solo lavoro “grigio” e sfruttamento ai danni di tantissimi giovani e non alla disperata ricerca di un lavoro. Questo è ciò che stiamo vivendo e lo avvertiamo quotidianamente a seguito delle tante richieste di intervento fatte alle nostre sedi sindacali».
Per Attanasio, «il 90 per cento dei giovani coinvolti sono lavoratori CO.Co.PRO, i cosiddetti “a progetto”, e quasi tutti provenienti da call center. Mentre aumenta in modo preoccupante il numero di giovani alla disperata ricerca di un incarico, di un contratto a progetto o di un qualsiasi rapporto di lavoro, contestualmente sale il numero dei lavoratori beffati e umiliati da fantomatici personaggi in qualità di amministratori unici di società “offshore” che nella provincia catanese trovano come un loro paradiso fiscale. Tali aziende possono vantare da una parte migliaia di giovani disoccupati immediatamente disponibili a lavorare anche a 20 centesimi di euro per ogni telefonata a un potenziale cliente, che duri almeno tre minuti, dall’altra l’assenza di controlli, l’economicità della committenza e l’assenza totale di regole sulla committenza e concorrenza. Da qui spiegato il fenomeno della crescita abnorme di call center nella provincia catanese, prima in Italia per numero di società: da una rilevazione presso la Camera di commercio di Catania, si contano più di 120 aziende con il 70 per cento di lavoratori parasubordinati».
Giulio e Attanasio, infine, richiamano l’attenzione «di tutti i soggetti istituzionali che hanno specifiche competenze nella provincia di Catania sulla vigilanza non solo dei rapporti di lavoro e del regolare versamento contributivo, ma anche di quelle istituzioni che hanno una diretta competenza alla lotta all’evasione fiscale. Perché va considerato che l’alto numero di lavoratori interessati e il danno economico consumato nei loro riguardi ha notevole refluenza sulla condizione economica e sociale degli stessi lavoratori e su un pezzo di economia del territorio».