Il decreto nelle prossime ore al vaglio del Consiglio dei Ministri promette un grande risparmio ma anche un grande caos. Tra posti pubblici e la spesa pubblica tagliata l’Italia rischia non più il collasso ma la morte cerebrale.
I posti nella Pubblica Amministrazione che il Governo vorrebbe tagliare oscillano tra il “certo” di 55 mila al “quasi” 200 mila se Regioni ed Enti Locali faranno la loro parte.
Ministeri e enti pubblici dovranno seguire la regola già adottata dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri. Cioè il taglio netto in pianta organica del 20% di dirigenti e 10% del personale dipendente. Previsto pertanto un taglio di circa 30 o 35 mila posti. Saranno seguite le singole esigenze ministeriali, per cui salta il 5% alla Giustizia e il 15% (forse) agli Interni.
Per i militari il conteggio non farà distinzioni tra ruoli dirigenziali e non, si prevede tout court un decreto che ridurrà di almeno il 10% il personale in divisa. Quindi circa 20 mila posti saranno tagliati.
I 3/4 della spending review è affidata invece a enti locali e Regioni cui tocca il compito di metter fuori fino a circa 150 mila dipendenti. Ma il Governo in questo caso non può imporre le scelte e suggerisce solo uno schema di tagli che va dal 10 al 20 per cento del personale e già i Comuni, cui toccano anche ulteriori tagli, non vogliono nemmeno sentir parlare di turn-over (in pratica un nuovo assunto ogni cinque pensionamenti).
Per il taglio dei posti di lavoro non si prevede di far ricorso a prepensionamenti ma semplicemente di non procedere a nuove assunzioni in seguito ai pensionamenti tra il 2013 e il 2014. Solo nel caso in cui non si arrivasse al famoso -55 mila si procederà allora con eventuali pratiche di prepensionamento, ma questo è un calcolo che faranno i singoli ministeri dopo il varo effettivo del decreto. E già è facile prevedere feroci polemiche.
Si comincerà infatti da chi ha maturato i requisiti previsti prima della riforma Fornero. Chi lascia prende subito l’assegno mensile ma attende un anno per incassare la liquidazione (?). Poi si passa a chi ha maturato 40 anni di contributi: per loro il pensionamento che era facoltativo diventerà obbligatorio. E se non basta si comincia con la mobilità. Chi entra in questo percorso prende l’80% dello stipendio base e se non viene ricollocato, passati due anni, viene licenziato.
Per scegliere chi mandare in mobilità ed evitare polemiche saranno coinvolti i sindacati che adotteranno una procedura similare a quella adottata per lo stato di crisi delle aziende private.
Oltre il taglio dei dipendenti si prevede anche un ulteriore taglio di 200 milioni di euro a Università ed Enti di Ricerca, tagli alla scuola pubblica poco digeriti da personale e studenti che vedono una previsione di spesa pari allo stesso importo per la scuola privata. E gli studenti, insieme al personale, sono pronti a nuove e clamorose manifestazioni per difendere il diritto allo studio che, decreto dopo decreto, è sempre più mortificato e mercificato.
Alle polemiche risponde il ministro dell’Istruzione, Francesco Profumo, sostenendo che “di queste cose si debba parlare dopo. Le cifre non so da dove siano nate. Bisogna che il paese cominci a parlare di dati oggettivi e solo quando ci sono le decisioni collegiali“. Peccato che le cifre fornite provengano proprio dal suo ministero. Viene da pensare che il ministro voglia quindi intanto uccidere il paziente per poi procedere alla sua commemorazione.
Malato che potrebbe essere ucciso anche dalla mancanza del personale sanitario visto che i tagli, affidati alle Regioni, riguardano anche il 10% dei medici e ben 149 piccoli ospedali, generalmente dislocati in aree difficilmente raggiungibili in tempi brevi potrebbero così chiudere. (N.d.R.: nel pomeriggio l’articolo contenuto in bozza che stabiliva la chiusura dei 149 piccoli ospedali è stato stralciato, pertanto le strutture non verranno chiuse).
Ce n’è abbastanza per pensare lecitamente che il governo dei tecnici stia tecnicamente procedendo all’eutanasia del Paese. A favore di chi è ancora tutto da comprendere, tenuto conto però che nessuno abbia finora seriamente toccato i “grandi capitali”.
Luigi Asero