Trattativa mafia-Stato: nonostante la presa di posizione del Capo dello Stato Napolitano, i magistrati di Palermo sono andati avanti ed hanno firmato la richiesta di rinvio a giudizio dei 12 indagati. Firmata dal procuratore aggiunto Antonio Ingroia e dai pm Nino Di Matteo, Lia Sava e Francesco Del Bene e vistata ma non firmata dal procuratore, la richiesta di rinvio a giudizio riguarda l’ex ministro dell’Interno Nicola Mancino, l’ex ministro Calogero Mannino, il senatore del Pdl Marcello Dell’Utri, ufficiali dell’Arma – il generale dei carabinieri, Mario Mori, l’ex capitano dell’Arma, Giuseppe De Donno e l’ex capo del Ros, Antonio Subranni – e Massimo Ciancimino, figlio dell’exindaco Vito Ciancimino, capi mafia come Totò Riina, Giovanni Brusca, Nino Cinà, Leoluca Bagarella e Bernardo Provenzano. Gli imputati sono accusati a vario titolo di violenza o minaccia a corpo politico dello Stato e concorso in associazione mafiosa.
Mancino risponde di falsa testimonianza e Ciancimino, oltre che di concorso in associazione mafiosa, di calunnia. Su “Live Sicily”, nei giorni scorso, Pierangelo Maurizio aveva scritto: “No, non c’era bisogno delle intercettazioni effettuate di rimbalzo dalla procura di Palermo anche sulle utenze del Quirinale, e del Presidente Napolitano, per avere certezze sulla trattativa tra Stato e mafia ai tempi delle bombe targate Cosa nostra nell’estate del ’93. E questa volta la trattativa va scritta senza virgolette e senza l’aggettivo presunta. Perché apertamente si parla di trattativa, poco dopo le stragi di Milano e di Roma avvenute nella notte tra il 27 e il 28 luglio ’93. Ne parla in un’ampia nota il 10 agosto ’93 l’allora direttore della Dia, la Direzione investigativa antimafia, Gianni De Gennaro, futuro capo della polizia e attuale sottosegretario con delega ai servizi segreti nel governo Monti.