Vent’anni fa, Paolo Borsellino

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L’aspirazione di ognuno di noi sarebbe quella di avere la verità totale. La verità totale significa che non rimanga nessun buco nero nell’accertamento di quei drammatici fatti. A questo punto non si può negare che qualche buco nero è rimasto“, dice il procuratore di Caltanissetta, Sergio Lari, titolare della nuova inchiesta sulla strage di via D’Amelio in cui furono uccisi Paolo Borsellino e gli agenti della sua scorta. “Mi riferisco per esempio – prosegue Lari – alla  scomparsa dell’agenda rossa di Borsellino la cui sparizione è sicuramente legata alle trame della trattativa. Mi riferisco al possibile ruolo di concorrenti esterni con Cosa Nostra che possono essere conducibili, per ipotesi, ad organizzazioni estremistiche, terroristiche, politiche, servizi deviati o quant’altro. Però c’è da considerare questo: l’ipotesi dei concorrenti esterni è un’ipotesi investigativa a cui fino adesso nessuna Procura, né quella di Caltanissetta, né quella di Palermo, né di Firenze o di altre città d’Italia è riuscita a dare un nome e un volto. Abbiamo solo elementi indiziari. Quindi qualche buco nero è rimasto“.

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    Riguardo più specificamente alla presunta trattativa Stato-mafia, secondo Lari “rimane il fatto che certamente delle richieste furono avanzate da Cosa nostra e che il mancato accoglimento determinò l’accelerazione del progetto omicidiario nei confronti di Paolo Borsellino che comunque era già stato deliberato da Cosa nostra nella riunione della commissione regionale del settembre-ottobre ’91 e che fu seguita da una riunione deliberativa in occasione degli auguri di Natale“. Questo anche se “…non abbiamo potuto appurare se Borsellino sia stato indicato da Riina come ostacolo da rimuovere o da superare come ha detto Brusca in quanto essendo venuto a conoscenza della trattativa si era opposto, o piuttosto essendo giunta la trattativa ad un binario morto, perché le richieste di Riina erano oggettivamente inaccoglibili da parte dello Stato, Riina abbia pensato di eseguire il progetto di morte – fra l’altro già deliberato – con l’intento di rivitalizzare la trattativa e costringere lo Stato a scendere a patti. Queste sono delle ipotesi rispetto alle quali una risposta certa oggi non è possibile darla. Soltanto Riina, Provenzano, Bagarella o forse i Graviano sanno qual è la verità ammesso che Riina abbia confidato agli altri da cosa sia dipesa la decisione di accelerare il progetto omicidiario e potrebbe anche darsi che in questa decisione di Riina siano intervenuti dei fattori esterni“.

   Infine, con la Procura di Palermo, “non c’è nessun contrasto perché vengono seguiti ambiti diversi. Se ci fosse la prova che la morte di Borsellino fosse stata provocata dalla trattativa Stato-mafia potremmo intervenire noi. Non c’è la prova che siano intervenuti soggetti esterni a Cosa Nostra“.

   Come si vede, una quantità di condizionali, di ipotesi e congetture; la sola certezza pare essere che, dopo vent’anni dalla strage di via D’Amelio, sono rimasti “buchi neri”. E allora di questi conviene parlare.

   Borsellino viene ucciso cinquantasette giorni dopo la strage di Capaci dove rimasero uccisi Giovanni Falcone, la moglie e la scorta. Sono le 16.58 di un’afosa domenica, quando una 126 Fiat color amaranto, esplode. Per Borsellino e la scorta non c’è scampo. Per quella strage, grazie soprattutto alle dichiarazioni di un “pentito”, Vincenzo Scarantino, nel 2002 sono condannati all’ergastolo Natale Gambino, Giuseppe La Mattina, Gaetano Murana, Salvatore Profeta, Gaetano Scotto, Giuseppe Urso, Cosimo Vernengo, oltre allo stesso Scarantino. Condanne che reggono il vaglio di ben 14 sedi processuali, Cassazione compresa. Poi, il colpo di scena: il 27 ottobre scorso sulla base delle dichiarazioni di un altro pentito, Gaspare Spatuzza il teorema crolla.

   A vent’anni dalla strage, sono ancora tanti gli interrogativi. Borsellino quel giorno è in vacanza al mare. Sono le 16,40 quando viene comunicata alla scorta la decisione di andare a via D’Amelio dove abita la madre del giudice. Chi era a conoscenza degli spostamenti di Borsellino?

   Quel pomeriggio a via D’Amelio dei ragazzini giocano per strada, non danno fastidio a nessuno, ma un condomino li manda via. Perché? Chi è quel condomino? Si chiama Salvatore Vitale, è un mafioso, abita in quella strada, è il proprietario del maneggio dove andava Giuseppe Di Matteo il figlio di un pentito, che viene rapito e strangolato, il corpo sciolto nell’acido.

   Che ruolo ha avuto Vitale? Perché nessuno indaga su di lui?

   Chi ha portato, a via D’Amelio, almeno il giorno prima, l’automobile rubata dieci giorni prima, e imbottita di tritolo?

   Giuseppe Ayala, amico e collega di Falcone e Borsellino, è tra i primi ad accorrere, si trova tra le mani la borsa del suo amico. Dentro c’è l’inseparabile agenda, documenti, un costume da bagno. Ayala affida la borsa a un carabiniere. Che fine ha poi fatto quella borsa?

   Perché Scarantino accusa falsamente sette persone e se stesso?

   Torna utile, a questo punto, rileggere una lunga intervista rilasciata dall’avvocato Rosalba Di Gregorio, e pubblicata su “Panorama”, titolo: “Quel pasticciaccio orribile di via D’Amelio”, curatore Andrea Marcenaro. Il sommario spiega che Di Gregorio “ha difeso quattro dei sette condannato all’ergastolo per la strage mafiosa, tutti scarcerati grazie a nuove indagini. Ma non è contenta. Perché ha vissuto ingiustizie terribili. Anche sulla sua pelle”.

   Dovevano essere scarcerati 17 anni fa”, dice lapidaria Di Gregorio. Si dirà: dichiarazione ovvia, dato che difende quattro degli imputati. Però il racconto fa sobbalzare: “Estate 1995: fase istruttoria del processo Borsellino-bis. Il pentito Scarantino telefona a un giornalista di Mediaset, che registra la conversazione, e gli dice di voler ritrattare le accuse: ho detto fesserie, sono tutte balle, voglio ritrattare tutto”. L’avvocato Di Gregorio sostiene che il testo di questa conversazione non le è mai stato dato, “perché i pubblici ministeri lo sequestrarono”. L’avvocato presenta istanza per fissare i termini di un incidente probatorio: “Non venni degnata di risposta, fecero finta di nulla. A tutt’oggi la difesa non è in possesso del nastro”, e accusa esplicitamente la pubblica accusa di aver nascosto e sequestrato gli elementi a favore degli imputati.

   Si converrà che non è cosa da poco. Piacerebbe sapere se le cose sono andate come Di Gregorio le racconta, o se si tratta di forzatura e “invenzione”… Dice altro, l’avvocato Di Gregorio: “Fra centinaia di migliaia di pagine, era mi pare il 1995, scopriamo quasi per caso una lettera del procuratore aggiunto di Caltanissetta al suo omologo di Palermo: ti trasmetto i confronti tra Scarantino e i tre pentiti Cancemi, Di Matteo e La Barbera…Se sono stati messi a confronto, ho dedotto io, vuol dire che ci sono tre pentiti che, in tutto o in parte, contestano le dichiarazioni di Scarantino. Non si procede a un confronto, se no. Per cui chiedo di avere il testo dei tre confronti”. La risposta è che i confronti non ci sono. Di Gregorio insiste: “E arriva una seconda risposta: gli atti non vi riguardano, perché non parlano degli imputati in questo processo”. Il fatto è che invece ne parlavano. Lo spiega la stessa Di Gregorio: “Quando nel 1997 verranno spiccati i mandati di cattura per il Borsellino ter, tra gli indagati c’è anche Cancemi. Abbiamo scoperto allora la bugia che il confronto non avesse riguardato gli imputati di cui sopra. Altrochè se li aveva riguardati. E qui viene il bello. Eravamo in udienza a Torino e i PM ribadirono in aula la loro affermazione. A quel punto chiedemmo l’invio degli atti a Torino per denunciare i PM stessi per false dichiarazioni in atto pubblico. I PM chiesero a loro volta la trasmissione degli atti a Torino per procedere contro di noi per calunnia. Conclusione: la procura di Torino ha archiviato tutto. Come ha fatto? O noi calunniavamo loro, o loro falsavano. In mezzo non c’era niente. Non poteva esserci niente. Eppure la Procura di Torino ha archiviato per tutti. Lì ho capito che Scarantino era sacro”. A questo punto occorre chiedersi che cosa sta scritto nel verbale del confronto tra Scarantino e Cancemi; e conviene lasciare sempre la parola a Di Gregorio: “Cancemi aveva detto a Scarantino: ma che dici? Che ne sai tu? Chi ti ha raccontato tutte queste balle su via D’Amelio?…”. Buchi neri, appunto.

Valter Vecellio

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