Dunque sembra che il parterre dei candidati alla presidenza della Regione Sicilia sia quasi completamente definito. Scrivo quasi perché il vostro umile cronista, avendo visto fin troppe campagne elettorali in questi anni, sa che in Sicilia fino al momento della consegna ufficiale delle candidature non si sa mai. Ma se il quadro è quello che sembra delinearsi una cosa appare chiara, ovvero che chi vincerà non porterà a casa il lauto premio di maggioranza previsto dalla legge elettorale regionale.
E questo porta un’altra conseguenza immediata, il Vietnam all’ARS (o l’Afghanistan, a seconda di quale di queste guerre moderne sentite più vicina). Ovvero un’altra esperienza di presidente eletto senza una vera maggioranza e in balia degli umori e dei poteri dell’aula di Palazzo d’Orleans (e dei capetti d’aula), pronti ad imboscate o sostegni a seconda delle prebende promesse. Un posticino niente male, se pensate solo a quanti cambi di casacca si sono succeduti solo nell’ultima legislatura.
L’ultimo presidente ha fatto di questa peculiarità anche il suo punto di forza. Basti pensare a come Lombardo ha orchestrato i cambi di maggioranza (nonostante il premio lui l’avesse pure preso), con un stile alla Giulio Cesare da “divide et impera” che ha logorato, alla lunga, più i suoi temporanei alleati che lui stesso. Ma pensate davvero che Musumeci, Crocetta, Fava o Miccichè saranno in grado di fare altrettanto?
E quindi alla fine saranno i numeri delle liste a fare la forza o la debolezza dei candidati alla presidenza, visto che, probabilmente, da soli non ce la faranno a trascinare all’agognata soglia 40. E la vera campagna (questa acquisti, degna di un calciomercato d’altri tempi) si farà solo dopo la fine d’ottobre, a bocce ferme (ed alle spalle dei siciliani, as usual).
Marco Di Salvo