Goliarda Sapienza ci lascia l'arte della gioia. Ricordiamola così

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Parlare di Goliarda Sapienza è un po’ come parlare della Sicilia. Parli di lei, del suo crescere in maniera un po’ “sregolata” rispetto alla normalità (quale poi?), è un po’ parlare di ogni siciliano, della saggezza popolare come della fierezza.

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Goliarda Sapienza nacque a Catania, il 10 maggio 1924. La mamma Maria Giudice fu la prima donna chiamata a dirigere la Camera del Lavoro di Torino. Militante antifascista fu (lei vedova con 7 figli) per questo motivo inviata al confino a Catania. Qui a Catania, avvolta tra l’Etna e il mare conobbe Giuseppe Sapienza, avvocato socialista. Giuseppe era a sua volta vedovo con 3 figli. Dalla loro unione nacque Goliarda.

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Torniamo così alla Sicilia, al suo essere siciliana. Data l’educazione anarchica e anticlericale, in età scolastica e in luogo deputato all’insegnamento (scuola) soleva spesso entrare in disaccordo con insegnanti e compagni. Questo disagio fu ascoltato dai genitori, che la tolsero dalla scuola pubblica  fascista. A sedici anni s’iscrisse all’Accademia Nazionale di Arte Drammatica di Roma, dove frattanto si era trasferita con la madre. Si rivela ben presto ottima attrice di teatro e di cinema. Intreccia una relazione con il regista Citto Maselli, relazione durata ben 18 anni. Poi dopo sposerà però Angelo Pellegrino, la loro relazione durò ventidue anni, intensi, belli. Vissuti con l’intensità che un vero amore richiede. Ancora ben presenti nella mente di Angelo. Decide di dedicarsi alla scrittura. Scrive della sua infanzia a Catania in “Lettera aperta”, scrive della sua terapia psicanalitica in “Il filo di mezzogiorno”, scrive del carcere patito in due sue opere: “Le certezze del dubbio” e “L’università di Rebibbia”.

La sua produzione letteraria ebbe sempre ispirazione autobiografica che lei definiva “autobiografia delle contraddizioni”, cioè che sgorgava con la vita stessa, fra i testi troviamo anche “Io e Jean Gabin” che è pubblicato postumo, ma nasce con lo scopo di creare quel tassello che completa gli altri.

Poi per ben 10 anni si dedica a quello che si rivela il suo capolavoro: “L’arte della gioia”.

Che fosse un capolavoro lei forse non lo avrà mai saputo, tutti gli editori rifiutarono la pubblicazione e fu pubblicato –come molti suoi libri- postumo e addirittura scoperto prima in Germania e Francia, soltanto dopo in Italia. A Gaeta, il 30 agosto del 1996 si spegne. E chissà che non porti con sé quei suoi ricordi intimi. Il suo guadagnarsi la vita riparando le vesti dei pupi siciliani al Teatro di via del Tipografo; teatro poi raso al suolo come buona parte del suo quartiere. Ricordi. Ricordi e storie di vita che s’intrecciano. Storie di vita che diventano ricordi e tornano alle memorie leggendo ciò che ci ha lasciato. E chissà forse tra quei suoi vicoli di Catania tra la “Civita” e il vecchio “San Berillo” forse lei, sregolata e un po’ impertinente, ancora passeggia e osserva. Quei nuovi pupi siciliani, volti talora spenti in attesa di un sorriso come quello di Goliarda.

Luigi Asero

 

Note: per la stesura di questo articolo l’autore ringrazia:  Istituto per la Cultura Siciliana e l’attrice-regista faentina Cristiana Raggi 

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