Dall’Italia agli Stati Uniti, dalla Germania alla Russia, è un coro di ringraziamenti a Papa Benedetto XVI per il lavoro svolto nel corso del suo pontificato, breve ma intenso. Gli interrogativi sulle dimissioni di Ratzinger non hanno avuto risposte che chiariscano in maniera completa una decisione storica che ha scioccato non solo il mondo cattolico ma anche il mondo politico. Una “decisione difficile”, è il principale commento espresso da autorevoli personaggi. Una decisione sicuramente giustificata dalla incompatibilità anagrafica con la mole dei problemi da affrontare. Una “svolta” nella radicata tradizione della Chiesa di Pietro che trova riscontri in tempi lontanissimi e non certo paragonabili a quelli attuali.
Oggi in molti dicono che le dimissioni di Benedetto XVI erano prevedibili e previste: è possibile come è possibile il contrario. L’interrogativo che non viene posto apertamente è la scelta del momento di questa determinazione irrevocabile, il “perché” è avvenuta ora e non mesi prima o mesi dopo. In un momento in cui la “vacatio” può provocare una pericolosa destabilizzazione (o quant’altro, ignoto) in Vaticano, in quanti si riconoscono nella fede cattolica e in quanti ad essa si oppongono. E’ più che risaputo che oggi la comunità umana è attanagliata da una crisi che sembra avvilupparla in una morsa dai mille tentacoli, economici, politici, culturali, religiosi. La ricerca dell’equilibrio è opera faticosa, le “primavere” del cambiamento si spengono nel sangue. Papa Benedetto XVI, grande studioso, sicuramente dei fatti di questa Terra (religiosi, politici, economici) aveva ed ha una visione più reale dell’uomo comune ed appunto per questo motivo ci si chiede il “perché” di un atto definito “responsabile e coraggioso” e cosa lo abbia determinato nell’attuale fase scabrosa che tutto il genere umano attraversa.
Molti gli eventi accaduti negli ultimi decenni che avrebbero potuto portare all’auspicato “cambiamento”: la caduta del muro di Berlino, il disfarsi del blocco sovietico avevano creato l’aspettativa di una convivenza tra i popoli finalmente priva dell’incubo della guerra atomica. Ciò che invece si è verificato è stato un processo di natura profondamente diversa, caratterizzato dalla mondializzazione, dalla connessa finanziarizzazione della vita economica, dall’affermarsi di un policentrismo a geometria variabile come contraltare del tramonto di egemonie totalizzanti, in particolare dopo l’11 settembre 2001, in un panorama di instabilità assoluta che ha visto sempre nuove nubi addensarsi sul futuro sia prossimo che remoto. Integralismi ad arte alimentati, l’odio per tutto ciò che l’Occidente rappresenta, percepito come il male assoluto, diffuso presso un miliardo di aderenti alla religione islamica, il prorompere sulla scena di nuovi protagonismi di Paesi con tassi di crescita del PIL di tipo esponenziale, l’esposizione inesorabile alla povertà ed alla fame di intere aree africane, lasciate alla protervia di bande organizzate che sostituiscono gli Stati nazionali, sono fattori che costituiscono lo sfondo per nuove minacce, per crisi sempre più radicali, in uno scenario di apparente ingovernabilità.
All’interno di questo scenario, in questo torbido momento storico, le dimissioni di un Papa che si è adoperato costantemente per un “dialogo” costruttivo fra le genti di diversa religione. Cosa accadrà prima del prossimo giorno 28, quando, alle ore 20, Benedetto XVI cesserà dalle sue funzioni, e verrà subito il “dopo”?
Non è questione di “toto-Papa”, espressione che immiserisce lo stato delle cose, ma quale “animus” predominerà in chi dovrà eleggere il nuovo rappresentante della Chiesa. Un’altra scelta che non si preannuncia facile, ma quanto avverrà, forse, potrà spiegare l’evento già registrato delle dimissioni di Benedetto XVI e fare capire, forse, la strada che intenderà imboccare il secondo Pietro del Terzo Millennio.
Salvo Barbagallo