Sogno di un mattino di primavera

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Sogno di un mattino di primaveraTeatro Zo, viale Africa,  domenica 17 marzo alle h. 17.30 e alle 21: “Sogno di un mattino di primavera” di Gabriele D’Annunzio.

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In occasione del 150° anniversario della nascita di Gabriele D’Annunzio la compagnia teatrale “gli StraVaganti” ha deciso di mettere in scena Sogno di un mattino di Primavera.

Il Sogno di un mattino di primavera racconta la vicenda terribile e appassionante di Isabella che, dopo aver tenuto su di sé per tutta la notte l’amante agonizzante tra le braccia, perde la ragione.
Il suo desiderio di trasfigurazione, al culmine di un percorso di dolore e follia, viene compreso e condiviso da tutti quelli che sono più vicini alla sua sensibilità. Isabella, in un mattino di primavera ha un sogno che, lontano dal sangue e dall’orrore, promette felicità e una diversa vita tra le piante del suo giardino.

Sia per il regista, e per gli attori beninteso, il problema di mettere in scena il “sogno” non è esclusivamente la difficoltà del testo o dei personaggi del dramma, ma di differenziare nella rappresentazione i molti e disparati toni poetici del lavoro, le sue diverse atmosfere, la continuamente mutevole prosodia, le innumerevoli fonti che vanno da Dante Alighieri (Per una ghirlandetta) a William Shakespeare (per il titolo) che fanno così ricca e cangiante una messa in scena coscienziosa di questo testo.

Scartata la tendenza di confondere le acque del dramma nella grossa fiumana del realismo, o peggio, del naturalismo, da un punto di vista strettamente drammaturgico la difficoltà preminente su tutte, consiste nel portare in scena la poesia e l’estetismo di cui il “sogno” è impregnato.

Il personaggio de “la demente” (Isabella) non è approfondito psicologicamente, si sa che è demente ma, come in altri testi, D’Annunzio non concede precisazioni biografiche e psicologiche preferendo restare nel vago nell’interesse della poesia e della preziosità del suo scrivere per il teatro.

Il Vate scrisse l’opera per Eleonora Duse e lei la interpretò in Francia nel 1898, D’Annunzio non aspirava ad un dramma simbolista, ma al contrario, ad un testo sperimentale, eversivo sia sul piano del linguaggio scenico che su quello dei contenuti. Una serie di lettere testimoniano lo scambio di idee tra il “focoso” giovane abruzzese e la famosa attrice prossima ad una tournée parigina.

Cosa ci fosse tra i due non è rilevante ai fini del dramma è rilevante, invece, sentire tra le righe del “sogno” il profondo rispetto e l’ambiziosa volontà da parte del Vate di creare un personaggio unico, profondamente protagonista in tutte le battute degli altri personaggi e scenicamente capace di far vivere allo spettatore di allora, come al più attento di oggi, una catarsi degna delle più grandi eroine della tragedia greca. Se si dovesse razionalizzare l’opposizione del dramma dannunziano, diremmo naturalmente che “l’impurità” della protagonista si confronta con il periodo dell’anno in cui “Il sangue si risveglia” ma… qual è poi l’impurità di Isabella? Chi uccide l ’amante? Il testo non lo chiarisce, potrebbe essere il marito ma, potrebbe benissimo anche essere il padre, da alcune battute si evince il luogo, la casa materna ma nient’altro e per quale motivo un marito avrebbe dovuto risparmiare una moglie adultera? Forse per condannarla morbosamente ad una vita di pentimenti o, peggio, di rabbia, c’è però una coincidenza storica, nel nome della protagonista, che si riallaccia ad una vicenda citata nel testo. L’episodio noto come l’assassinio di Cafaggiolo risulta storicamente vero nella storia della famiglia De’ Medici e le protagoniste, Dianora e Isabella erano cugine ed entrambe uccise dai loro rispettivi mariti. Non credo sia una coincidenza, credo che D’Annunzio abbia trovato il fondamento storico per creare un testo di altissima poesia. Isabella, suppongo, sia parente lontana di alcuni personaggi femminili, fra i più belli e conturbanti della letteratura teatrale, personaggi che portano il peso di un eros irresistibile e soccombono in una sorta di maledizione originaria e misteriosa che, in questo caso, viene contrapposta alla purezza rituale di una stagione capace di sconvolgere la natura.

L’Autore (lettera maiuscola voluta) ci pone davanti una tragedia intrisa di poesia, ci fa sentire il profumo dei candidi fiori primaverili ma, nello stesso tempo, ci racconta l’evento scatenante di una follia condita poeticamente di alto senso lirico. Quello a cui lo spettatore assiste è un giorno de “la demente” ma, sono convinto, che è uno dei tanti giorni uguali a tanti altri che la protagonista vive a causa della sua mancanza di sanità mentale. E’ un dramma di redenzione in cui, già alla lettura, si prova pietà per Isabella e per tutti gli altri personaggi che le gravitano attorno la stessa pietà di Fedra, di Mirra e di tante altre colonne portanti della letteratura teatrale mondiale.

Per rappresentare il testo bisogna entrare in punta di piedi nelle scene pensate dall’Autore tanto intrise di poesia che risulterebbe difficile modernizzarle infatti, per questa messa in scena, a prescindere dai tagli, ho deciso di lasciare tutto così come è stato concepito dall’Autore.

Tutte le battute di tutti i personaggi grondano poesia, tutta la situazione, apparentemente statica, è fatta di poesia. La poesia del risveglio della natura e la poesia del racconto della protagonista.
La scelta di far percepire al pubblico la bellezza dei termini scritti da D’Annunzio è una scelta che dà vantaggio all’interpretazione degli attori. Anche i gesti cadenzati dovranno seguire il ritmo delle parole così come i versi degli uccelli e il ronzio delle api e degli insetti seguono il ritmo di un giorno primaverile.

Tutto per dare risalto al dualismo vita-morte che si crea portando in scena il “sogno”. Mi spiego si parla di una morte violenta ma si deve percepire nell’aria una prorompente natura viva e assolutamente lontana dai processi mentali dell’uomo. Non con l’indifferenza di una matrigna leopardiana ma più come una sintesi morbosa di ciò che tutti i personaggi e, in particolar modo la protagonista, dicono o fanno. La simbiosi catartica di Isabella con la natura è da intendersi solo in questo senso, sarebbe troppo banale pensare che la sua repulsione per il rosso, per il sangue possa farle desiderare di diventare pianta per avere un sangue verde tra le vene.

Tutto in questo testo è rituale dalla prima battuta fino all’ultima, tutto in questo spettacolo dovrà coinvolgere la platea fino alla catarsi nel senso più limpido e cristallino del termine.

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