Le grandi potenze sono pronte a fronteggiarsi e a scatenare l’inferno in Siria (e di conseguenza nel Medio Oriente). Nessuno ha tenuto conto delle parole di Papa Francesco rivolte alla pace: infatti è tutto pronto per la guerra, ad una guerra che può coinvolgere e travolgere anche Paesi che direttamente (o indirettamente) poco o nulla con la Siria hanno a che fare.
Siamo già oltre la tensione che caratterizza le minacce: la Russia ha messo in guardia gli Stati Uniti nel caso di un eventuale intervento militare nel Paese. Intervento che, secondo la stampa britannica, sarebbe ormai prossimo, forse questione di giorni, forse di ore: la marina inglese è comunque pronta a unire le proprie forze a quelle americane, la Turchia da parte sua fa sapere che parteciperà a qualsiasi coalizione internazionale che decida di intervenire in Siria anche se non sarà possibile raggiungere un più vasto consenso nel Consiglio di sicurezza dell’Onu. Tutto ciò sta avvenendo dopo il presunto attacco chimico a Damasco dello scorso 21 agosto e mentre sono in corso le ispezioni dell’Onu sull’uso di armi chimiche.
Il segretario di Stato americano John Kerry ha telefonato al segretario generale dell’Onu e alle sue controparti inglese, francese, canadese e russa per dirgli di avere “molti pochi dubbi” sull’uso di armi chimiche da parte di Assad. A sua volta il ministro dell’Informazione siriano Omran Al-Zoubi ha dichiarato, senza peli sulla lingua, che “Attaccare la Siria non sarà un picnic per nessuno perché ci sarebbero gravi ripercussioni e infiammerebbe tutto il Medio Oriente. La pressione americana è una perdita di tempo, noi proseguiremo la nostra lotta al terrorismo fino alla fine“.
Anche l’Iran fa la voce grossa con le parole del vice capo di stato maggiore delle forze armate, Massoud Jazayeri: “Ci saranno dure conseguenze se gli Usa oltrepasseranno la linea rossa in Siria”.
La squadra dei consiglieri per la sicurezza nazionale di Barack Obama è al lavoro “non stop” per decidere in maniera definitiva se e come mettere in moto la macchina militare, ma è un’impresa molto difficile per un presidente americano se non c’è il supporto istituzionale delle Nazioni Unite. Tuttavia sembra che ormai la pressione internazionale sia tale da indicare la strada della forzatura. Il ministro della Difesa Chuck Hagel ha dichiarato che gli Usa “determineranno in breve cosa è accaduto in Siria” e quindi decideranno.
La Sesta Flotta USA schierata da sempre nel Mediterraneo – ricordiamo che è di stanza in Italia – viene rafforzata con altre navi, fra le quali la “USS Mahan”, lanciamissili. Non è dato sapere esattamente la consistenza della Sesta Flotta statunitense, che comunque ha portaerei, lanciamissili e sottomarini.
La Marina degli Stati Uniti ha sei flotte attive, numerate progressivamente. La Seconda, Terza, Quinta, Sesta e Settima sono comandate da un ammiraglio di squadra (tre stelle) mentre la Quarta Flotta è comandata da un ammiraglio di divisione. Tradizionalmente le flotte dislocate nel Pacifico hanno numerazione dispari; viceversa quelle dislocate nell’Atlantico (e nel Mediterraneo) hanno numerazione pari. Esse sono ulteriormente raggruppate sotto comandi di zona: la Fleet Forces Command (precedentemente chiamata Atlantic Fleet), la Pacific Fleet che raggruppa Terza (San Diego) e Settima Flotta (Yokosuka), la Naval Forces Europe e infine la Naval Forces Central Command, il cui comandante ha il cosiddetto “doppio cappello” (ossia riunisce il comando centrale e quello della Quinta Flotta). Ognuno di questi quattro comandi è ricoperto da un ammiraglio a quattro stelle. La Prima Flotta, esistente dal 1947, fu rinominata Terza Flotta nel 1973. Le flotte degli Stati Uniti coprono ognuna un settore dei mari del globo.
La missione ufficialmente dichiarata della Sesta Flotta nel 2011 è condurre operazioni marittime e missioni di cooperazione per la sicurezza dell’area assegnata in concerto con la NATO, per assicurare la sicurezza e la stabilità in Europa e in Africa.
La Sesta Flotta è stata fondata nel febbraio 1950 ed è stata continuamente impegnata in tutti gli avvenimenti che si sono verificati nel Mediterraneo, fra i quali quelli nel Libano nel 1958, nel confronto con i sovietici durante la guerra dello Yom Kippur (conosciuto come la Guerra d’ottobre) del 1973, a difesa del Canale di Suez nel 1973, con la sua task force durante le guerre nella ex Jugoslavia nel 1990, più di recente con gli attacchi aerei sulla Libia nel 2011. Dalla fondazione della NATO la Sesta Flotta ha costituito il più potente alleato marittimo nella regione meridionale della NATO, e ha conservato il titolo di Naval Striking and Support Forza del Sud Europa (STRIKFORSOUTH ) nella sua collocazione NATO.
La maggior parte delle unità navali statunitensi, appartenenti alla Sesta Flotta (che sono permanentemente o saltuariamente ormeggiate nei porti di Livorno, La Spezia, Gaeta, Napoli, Taranto, Augusta) sono a propulsione nucleare. in modo particolare l’intera flotta sottomarina. Ogni nave (incrociatori, portaerei e sommergibili), è equipaggiata con non meno di 10 o 20 o 30 missili del tipo Cruise Tomahawk.
La competenza dell’area del Mediterraneo ricade sotto il comando dell’Alfsouth che racchiude cinque Paesi membri della NATO: Italia, Turchia, Grecia, Ungheria, Spagna. Questa area parte dallo Stretto di Gibilterra e arriva fino al Mar d’Azov, comprendendo il Mediterraneo e il Mar Nero. La sede della Sesta Flotta è a Gaeta. A Nisida c’e il quartier generale della NATO.
Allo stato attuale la Sesta Flotta dovrebbe essere composta da 40 navi, 175 velivoli, e 25.000 militari. La base principale della Sesta Flotta – supporto logistico e quant’altro – è Sigonella, l’installazione più avanzata nell’area del Mediterraneo. A Sigonella già dallo scorso anno operano i Global Hawk, i droni o velivoli senza pilota.
A Sigonella apparentemente non c’è alcun segno di attività di “stato d’allerta”: Sigonella dall’esterno, anzi, dà la sensazione che il personale sia tutto in vacanza. Se qualcosa di terribile dovrà accadere per la “questione Siria”, la Sicilia, appunto con Sigonella e le altre installazioni USA sparse nel territorio, potrà considerarsi “avamposto” di guerra. Ciò non ha bisogno di alcun commento. Anche i governanti dell’Isola tacciono ed è come se la faccenda non riguardasse anche loro.