Carceri. La Corte Costituzionale: "intervenite, o provvederemo noi"

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Corte-Costituzionale

 

Di Valter Vecellio

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Spacciatore, e non solo: spacciatore di droga “pesante”, eroina, e per di più eroina tagliata con chissà quale porcheria letale: che un disgraziato si era poi iniettato in vena e ne era morto. Per questo A.B. (iniziali fittizie, per ragioni di intuibile riservatezza) era finito in carcere con la pesante accusa di aver provocato la morte di un tossicodipendente. Tutto congiurava contro A.B.: egiziano, dunque già per questo sospetto. E poi perizie e controlli telefonici avevano dato inequivocabile prova: lo spacciatore era proprio lui. Solo che…

Solo che non era lui. L’uomo era sì egiziano, ma era innocente. Quel giorno quando l’arrestarono – “era il 3 ottobre del 2009, non lo dimenticherò mai”, dice oggi – A.B. stava semplicemente rientrando a casa dal lavoro. Lavoro peraltro regolare a Milano, perché A.B.risiede in Italia legalmente. E le perizie, i controlli telefonici che l’avevano incastrato? “Purtroppo per A.B. è accaduto che tornando a casa, il suo telefono ha agganciato una cella ‘compatibile’ con il luogo dello spaccio”, spiega l’avvocato che lo ha difeso. “Ma lui con questa vicenda non c’entra nulla”.

E infatti A.B. al termine del processo è stato assolto con formula piena e scarcerato. E quei cinque mesi trascorsi ingiustamente in carcere? Per la quinta sezione penale della Corte d’Appello valgono 35.250 euro per “ingiusta detenzione”, 235 euro per ogni giorno di cella.
Una delle tante storie che non fanno né storia né “notizia” in cui si imbatte ogni giorno un cronista giudiziario. Una storia “normale”, che di “normale” non ha proprio nulla, anche se accadono di frequente. Tanto frequenti da riempire le nostre carceri di circa il 40 per cento di detenuti di persone in attesa di giudizio. La metà di questo 40 per cento – ma dopo una lunga detenzione – viene poi dichiarata innocente: un errore, come nel caso di A.B.; scusi tanto, una manciata di euro quando va bene, avanti il prossimo… E non è solo la carcerazione ingiusta patita, ma anche il “come” si viene trattati in carcere: celle sporche, piccole, sovraffollamento…

Una situazione intollerabile, come riconoscono un po’ tutti, e come ha denunciato martedì scorso il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano con il suo messaggio alle Camere.

La questione dell’intollerabile e disumano sovraffollamento delle carceri fa sì che l’Italia sia una sorta di sorvegliata speciale in Europa; e la Corte Europea per i Diritti dell’Uomo (CEDU), con una sentenza storica, la cosiddetta “sentenza Torreggiani” ha imposto al nostro paese di adottare rimedi concreti entro un anno, e di quell’anno sono già trascorsi quasi sei mesi.
Un sovraffollamento che frutto e risultato “dell’intollerabile e disumana lentezza dei procedimenti e dei processi”, per i quali la CEDU ripetutamente ci ha condannati.

Ecco dunque che della questione è stata investita anche la Corte Costituzionale: chiamata a pronunciarsi sulla legittimità dell’articolo 147 del codice penale, laddove non prevede, tra le ragioni che consentono di differire l’esecuzione di una condanna in carcere, le condizioni disumane di detenzione: cioè che la pena debba essere scontata in penitenziari che scoppiano e che non garantiscono al singolo detenuto nemmeno quei tre metri quadrati a testa indicati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo.

A sollevare la questione i tribunali di sorveglianza di Venezia e Milano, che chiedono alla Consulta quella che viene definita “una sentenza additiva”: cioè di aggiungere il sovraffollamento carcerario tra le cause che permettono di far slittare l’esecuzione della pena.

Sono stati i giudici di Venezia a porre per primi il problema: a loro si era rivolto un detenuto del carcere di Padova, ristretto in una cella dove il suo spazio vitale era inferiore ai tre metri quadrati; con la richiesta esplicita di differire l’esecuzione della pena, visto che in queste condizioni era contraria al senso di umanità e al principio di rieducazione, oltre che lesiva della sua stessa dignità.

L’istanza presentata ai magistrati di Milano da un detenuto del carcere di Monza è analoga: equipara a tortura le modalità di detenzione subite: in tre erano stipati in una cella talmente piccola da non poter neppure scendere dal letto contemporaneamente; non solo: il bagno era senza porta, privo anche di acqua calda. Istanze ritenute meritevoli dai giudici che però si sono ritrovati con le mani legate: attualmente l’articolo 147 del codice penale consente di spostare l’esecuzione della pena solo in casi specifici: gravidanza, puerperio, Aids conclamata o altra malattia particolarmente grave.

Come ha sciolto il nodo la Corte Costituzionale? In modo interlocutorio: ha ritenuto inammissibili le questioni di legittimità costituzionale sollevate, perché ha ritenuto “di non potersi sostituire al legislatore essendo possibili una pluralità di soluzioni al grave problema sollevato dai rimettenti, cui lo stesso legislatore dovrà porre rimedio nel più breve tempo possibile”.

E però pone dei paletti: nel caso di inerzia legislativa, avverte, la Corte “si riserva, in un eventuale successivo procedimento, di adottare le necessarie decisioni dirette a far cessare l’esecuzione della pena in condizioni contrarie al senso di umanità”.

Parlamento e forze politiche sono dunque avvertite: o provvedono in tempi rapidi, oppure scenderà in campo la Consulta. E dopo non ci si lamenti denunciando invasioni di campo e interferenze.

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