Si può mettere fine alle tragedie dei migranti

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elenco_181690Di Salvo Barbagallo

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L’ultima tragedia dei migranti morti affogati nelle acque della Sicilia – da un calcolo approssimativo si parla di ben trecento morti! – ha suscitato sgomento ovunque. “Vergogna”, “Orrore” sono le parole che si rincorrono, pronunciate dal Pontefice, dal Capo dello Stato italiano e, soprattutto, da quanti hanno prestato soccorso ai sopravvissuti a Lampedusa. La giornata di lutto nazionale non cura la ferita mortale, non allevia il dolore che umanamente si prova verso coloro che hanno perduto la vita a pochi metri dall’Isola della “speranza”, estremo Sud dell’Europa. Una tragedia che ha scosso gli animi che, fra qualche giorno, probabilmente sarà dimenticata dai più, un ricordo che sarà sopraffatto da altri avvenimenti che costelleranno le cronache quotidiane. Dimenticare è facile, essere indifferenti al dolore altrui ancora più facile.

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Eppure non dovrebbe essere difficile porre fine ad una situazione che diventa, ogni giorno che passa, più terribile: gli strumenti ci sono, forse (?) manca una vera volontà politica nazionale e internazionale per prevenire eventi simili a quello verificatosi ieri, giovedì 3 ottobre 2013.

Con cadenze programmate periodicamente nell’area del Mediterraneo, nel mare che fu “nostrum”, si tengono esercitazioni militari aeronavali interforze alle quali prendono parte unità navali ed aerei di Paesi come l’Italia, Malta, Tunisia, Algeria. Libia. Marocco, Spagna, ed altre nazioni rivierasche. L’ultima di queste esercitazioni (la diciannovesima) si è tenuta nel giugno scorso, la “Canale 13”, con lo scopo di focalizzare e incrementare le capacità e la flessibilità nei più ampi interventi di cooperazione ed integrazione in operazioni di soccorso in mare, Maritime Law Enforcement e sicurezza nel Mar Mediterraneo. Esercitazioni finalizzate, dunque, che hanno, fra l’altro, alti costi di realizzazione, con impiego di energie umane non indifferente. Mezzi e uomini che possono e dovrebbero essere impiegai per prevenire il verificarsi di tragedie “annunciate”.

Periodicamente si tengono manovre “bilaterali” Italia-Malta, periodicamente si tengono altre esercitazioni e i comunicati stampa ufficiali sottolineano, come un leitmotiv no-stop, come un ritornello ossessivo, le finalità: “Le attività addestrative saranno focalizzate a incrementare le capacità e la flessibilità nei più ampi interventi di cooperazione e integrazione in operazioni di soccorso in mare, Maritime Law Enforcement e sicurezza nel Mar Mediterraneo”.

Che valore hanno queste esercitazioni se poi, nella realtà quotidiana, i Paesi partecipanti non applicano quanto hanno sperimentato?

L’Italia ha pochi alibi. A Catania è di stanza il 41° Stormo dell’Aeronautica Militare che, da tempo, ha posto in secondo piano la sigla “Antisom” per dare la “caccia” ai natanti clandestini che portano verso la Sicilia migliaia e migliaia di poveri disgraziati che fuggono dalla loro Terra in cerca di pace, in cerca di un futuro migliore. I “viaggi della speranza” si tramutano, come le cronache mostrano, in “viaggi della morte”. A Catania ci sono anche gli elicotteri di Maristaeli che perlustrano il Mediterraneo. Per non parlare dei velivoli della Guardia Costiera, per non parlare del naviglio militare che va in giro nelle acque territoriali. Per non parlare degli strumenti che ci sono a Sigonella, i famosi “droni”, i velivoli senza pilota, con capacità di osservazione inaudite, e lo squadrone di pattugliamento USA “P-3 Orion” forniti di radar d’individuazione.

Gli strumenti di “prevenzione” ci sono: le parole “Vergogna” e “Orrore” non bastano a prevenire, così come valgono poco gli appelli all’Unione Europea per intervenire. Quello che manca è semplice: una volontà politica in grado di dire “Basta!” alla carneficina.

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