Il diritto secondo Roma

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Putin-ObamaDi Guido Di Stefano

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Il nostro non è un riferimento aulico all’antica Roma, quella che fu la “patria del diritto” ed ha i suoi veri eredi e discepoli presso altre genti. Fu più di un millennio addietro ma non è più e dubitiamo che possa tornare ad essere. Sono passati secoli e genti lasciando tante “incrostazioni” e ancor più retorica nella città che osiamo definire eterna, pur sapendo che ne esistono di più eterne.

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Non perdono occasione i governanti di Roma (che noi dobbiamo volenti o nolenti chiamare “nostri” in ossequio alla Costituzione ed al nostro Statuto che in definitiva li riconosce) per dare sfoggio di distrazioni e lacune accumulate e, nel tempo, sempre più difficilmente colmabili.

E non ci riferiamo soltanto ai diritti sociale, amministrativo, civile, penale, allo “aggiotaggio” di cariche e di prebende, a quant’altro  circoscrivibile e risolvibile all’interno dei nostri confini: tragedie su cui loro (tanto coloro che siedono sugli scranni di Roma quanto i loro emuli delle “periferie”) dissertano, sentenziano e che poi “tombano”. Sono temi che ci turbano quotidianamente e quotidianamente ci disturba la loro inattiva sicumera per la loro soluzione.

Restiamo esterrefatti quando si “compromettono” su temi ed eventi costituzionali, istituzionali, internazionali, geopolitici. Ci sembra di sentire tossire …

I fatti di “Crimea” offrivano loro la decorosa e splendida occasione di tacere. Ed invece hanno ritenuto necessario (o forse hanno sentito il dovere) di pronunciare parole come “invasione, golpe, referendum non valido, annessione in violazione della sovranità … sanzioni … filo-quà, filo-là …”.

I numeri raccontano che il referendum in Crimea per il ritorno alla Russia è stato plebiscitario, con tutti i maggiorenni aventi diritto al voto; le cronache non segnalano uno stato di coercizione per il voto.

Ben diverse le “obliate” ma tragiche traversie della nostra Sicilia: invasa con una guerra mascherata e non dichiarata e poi annessa dopo un referendum che contava su una ridotta schiera di aventi diritto, in un’epoca in cui non c’erano informazione di massa (neanche ridotta) o qualsivoglia tipo di osservatore (anche semplice turista) “super partes”, in un momento storico in cui chi dissentiva veniva etichettato come “brigante” e “rieducato” con i reali sabaudi fucili.

Sarebbe un atto di coraggio per tutti rileggere i “trattati” storici relativi a quel periodo: non tanto quelli ufficiali o “di corte” (ci hanno indottrinati con quelli) ma gli “altri”, quelli che raccontano di centinaia di migliaia (forse qualche milione) di morti ammazzati dall’esercito di occupazione, qualche volta per la sola colpa di “non rispondere” alle domande “in francese” di qualche tronfio ufficialetto che non parlava nemmeno l’italiano.

Tutti tacquero allora, specie chi favorì l’invasione, apparentemente senza dare importanza a un “proprio” piccolo possedimento i cui “aventi diritto” non hanno mai votato per l’annessione: praticamente detta “enclave” seguì un percorso “distaccato” da tutto il circondario fin dopo la “liberazione”, quando ormai c’erano “grossi” osservatori stranieri pronti ad obiettare su qualsiasi tentativo di rivalsa.

Tutto finito? No!

Finita la guerra con la “liberazione” si ridestò lo spirito dell’indipendenza. Stavolta non si poteva applicare l’etichettatura “brigantaggio”. Occorrevano “medicine” più raffinate.

“Percuoterò il pastore e le pecore saranno disperse” insegna la Bibbia. Detto e fatto.

Come bastoni  si usarono i fucili, raffinati distributori della medicina ordinata dai medici per la terapia d’urto, il piombo; gli infermieri furono i sicari: Antonio Canepa, il pastore, il condottiero, l’ideologo ed altri persero la vita in un vile agguato dai contorni vaghi o nitidi in ragione dei documenti e degli scritti che si leggono (si raccomandano gli scritti appassionati e documentati del dr. Salvo Barbagallo).

Il corpo indipendentista restò però vitale e ciò impensieriva molti. Occorreva instaurare una terapia intensiva e “stabilizzante”: ed ecco lo “Statuto”, da “enunciare” e sottoscrivere tutto ma da somministrare solo in qualche piccola dose iniziale.

Alcuni figli (meno delle dita di una mano) della Sicilia hanno provato veramente a ridare alla nostra terra la dignità che le compete: quella di nazione (lo scrisse anche uno dei D’Azeglio e precisamente Luigi Taparelli gesuita alias Cosimo D’Azeglio). Qualcuno dall’alto gliel’ha impedito.

Intanto lo Statuto nato prima della Costituzione e dalla stessa recepito “in toto” con la Legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2, nel tempo è stato limato con procedure non rispettosi del Diritto Internazionale e della Costituzione.

La Regione Siciliana è nata prima della Repubblica Italiana.

Lo Statuto speciale è, secondo alcuni “giuristi liberi”, un “trattato tra due entità paritetiche”, cioè la Sicilia (o meglio quella che noi chiamiamo la Nazione Siciliana) e lo Stato Italiano: un “accordo di origine pattizia” tra pari “rango”, come dire un trattato di rango internazionale.

Perché si è consentito alla Corte costituzionale di dichiarare nulli e/o illegittimi costituzionalmente gli articoli 24 (sent. 38/1957), 26 (sent. 6/1970), 27 (sent. 6/1970) parti fondamentali di un trattato bilaterale nonché della stessa Costituzione? Può un organo di uno Stato sostituirsi alla volontà di due entità paritetiche con potestà legislativa e contrattuale? Può un qualsiasi articolo essere “cassato” senza la necessaria pattuizione e la doppia approvazione delle due Camere, a maggioranza qualificata e nei tempi costituzionali?

Perché non si è data piena attuazione agli articoli 36 e seguenti dello Statuto?

Perché non è stata di fatto ed in tutto attivata la Commissione paritetica Stato Regione, specie per l’emanazione delle “Norme di attuazione dello Statuto?

Le variazioni costituzionali apportate in tempi relativamente recenti sono state pattuite tra Stato e Regione (contraenti di pari dignità) come impone il diritto internazionale per le revisioni dei trattati?

Perché la Sicilia, il cui Statuto è stato emanato il  15 maggio 1946 dal re Umberto II, non è stata mai resa “partecipe” del trattato di Parigi del 1947, che la riguarda nel rispetto di esso ed ancora di più nelle violazioni (varie ed eventuali) ad esso?

Perché si è consentito che venissimo “depauperati” del Banco di Sicilia, nello Statuto elevato a Cassa di compensazione per la Sicilia?

A nostro avviso noi Siciliani, cause anche l’inerzia atavica e la “distrazione sistemica” dei nostri rappresentanti di ogni ordine e grado, siamo sempre più privati della nostra sovranità e della dignità di “nazione”. Noi che fummo i signori del Mediterraneo siamo stati invasi, occupati, spogliati, colonizzati mentre si tenta di cancellare del tutto la nostra identità per renderci servi.

Quindi ci chiediamo: i “nostri” potenti, che tra i colli albergano, con quale “prestigio” possono interloquire sui temi del DIRITTO e della geopolitica con Vladimir Putin? Proprio loro che tengono ben ferme nei loro occhi tutte le travi sopra descritte  come possono pretendere di dare lezioni (sulle pagliuzze) agli altri?

Chissà se si sono accorti che i loro strali non hanno affatto intaccato il grande “aplomb” dell’interessato, che sembra ascoltarli (e guardarli) come farebbe un gigante maturo con dei piccoli vocianti oppure un commerciante accorto con clienti “rumorosi” ma apportatori di reddito.

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