Di Guido Di Stefano
Siamo stanchi di invasioni, persecuzioni, massacri, ruberie, occupazioni, usurpazioni, cancellazioni, calunnie, denigrazioni, fango, troppo fango.
Vennero i Greci e “raccontarono” di averci portato quello che già era nostro: ulivo, vite, cereali, cultura (l’Odissea sembra il frutto di una nobildonna di Sicilia), arte (le ceramiche per esempio erano “note”), scienza e miti fantascientifici (forse gli americani ne sanno qualcosa), religione (hanno sovrapposto i loro crudeli dei alle nostre tre materne dee) ed altro. Si appropriarono di tutto e cancellarono le nostre identità e la nostra storia (specialmente in tutte gli aspetti incompresi) pagandoci con genocidi e deportazioni di massa (la loro democrazia così “sistemava” i popoli che, derubati anche dell’orgoglio, si ribellavano). Maestra nella crudeltà fu Atene e proprio ad essa tentò di opporsi Ermocrate di Siracusa, il primo “indipendentista” noto: ma i campanilismi e la voglia di “lenticchie” lo ostacolarono.
Si presentò Roma. Certo fu meno devastante dei predecessori ma sempre di occupazione e sfruttamento si trattò: ubertose campagne e tributi. Quantomeno ci riconobbe lo “status” di nazione: fummo “provincia” .
Dopo la caduta dell’Impero romano di occidente resta qualche spazio generazionale praticamente “scoperto”: magari abbiamo avuto qualche ciclo “mitico” che, come da inveterata prassi, ci fu “derubato” e riambientato in altri siti.
Passarono gli “arabi” che, per quanto da molti dichiarati “reprobi”, diedero e lasciarono più di quanto presero.
Ed ecco la nuova età dell’oro in Sicilia: il periodo normanno-svevo. Minacciavamo di tornare i primi in tutto: prima carta costituzionale, primo parlamento, primo stato europeo a dominare la scena diplomatica nel mediterraneo. Inaudito! Stavamo minacciando financo il potere temporale della “Roma papale”, spingendoci alla palese ribellione. I diritti costituzionali al popolo ed i trattati di pace con i musulmani erano roba da scomunica ed anche, se necessario e possibile, da guerra: Dio voleva la schiavitù e la guerra non la libertà e la pace.
Morto Federico II di Svevia la Roma papale ci fece dono della tracotanza e protervia degli Angioini.
Con orgoglio li cacciammo e, facendo di necessità virtù”, ci accollammo gli iberici sovrani ed i loro eserciti, che dovevano ripararci dalla Francia capetingia e da Roma papale. Ed anche loro seminarono lutti e distruzioni.
Sulla via del malaffare si incontrarono regnanti e papi e ci coinvolsero nella grande inquisizione. “Concepita” da sovrana mente ed “avallata” da papale condiscendenza fu una persecuzione razziale-religiosa finalizzata più alle ruberie che alla salvezza delle anime. Purtroppo la bramosia di denaro scatena anche quella di potere e con essa il delirio di onnipotenza che si appaga con le torture ed il sangue. In questo “habitat” crebbero e si perfezionarono delazioni, calunnie, vendette personali. Abbiamo sentito parlare di torture finora ignote nelle cronache delle nefandezze.
E poi dietro il cavallo di Garibaldi vennero i Piemontesi di Vittorio Emanuele II, detto dai servi il re galantuomo ma molto più spietato del re bomba. Ci rubarono l’oro della nostra banca, ci rubarono le industrie, ci rubarono la dignità (i dissenzienti erano “briganti”), ci rubarono la vita (forse un giorno la Roma papale ci farà conoscere l’esatto numero delle vittime).
Il secolo scorso conoscemmo anche gli orrori di due guerre mondiali e di due dittature: una forte indipendenza certamente avrebbe aiutato noi ed il mondo intero.
Ma certamente è più umiliante la situazione attuale.
Proclami dietro proclami ci sporcano quotidianamente.
Si sono autoproclamati puri, giusti, santi, giudici, divinità in terra, esseri perfetti senza macchia e senza paura.
Appiccicano etichette di mafiosità e malaffare (a milioni) per semplice annuncio anche senza prove ma per semplice manifestazione di dissenso; assegnano patentini di onestà ed antimafiosità anche in presenza di condanne, purché i destinatari manifestino il dovuto sentimento “di servo encomio e di codardo oltraggio”.
Stiamo vivendo una moderna grandissima non santa ma demoniaca inquisizione: in Sicilia ci siamo circa sei milioni di persone dedite alla “mangiugghia”, al malaffare, alla mafia (che ha spostato al volo anche il casello di Cassibile) e pochi prediletti dell’altissimo degni di costituirne la corte (a geometria variabile per avvicendamenti giustizieri) ed il coro “laudante”.
Costituzione, Statuto speciale, Leggi (anche di loro recente creazione), Regolamenti sono “opzioni” a volte inopportune nella loro lotta ai nemici (tutti quelli non allineati e sottomessi mentalmente).
Loro non sbagliamo mai. Chi vuole ostacolarli nel loro cammino di moralizzazione “pretende” di dimostrare che hanno sbagliato avvalendosi di mezzucci estemporanei come una ricevuta postale.
Intanto in tanti posti si respira aria di inquisizione (nominalmente lavorava per Dio) o se si vuole di Ge.sta.po. (nominalmente lavorava per la patria): questo novello dio ed i suoi credenti per chi lavorano, atteso che demoliscono e non ricostruiscono, castigano e premiano a prescindere?
E, prima delle domande finali, un’ulteriore considerazione. Se i siciliani siamo quasi tutti (o tutti) mafiosi, essendo loro i puri poche unità o poche migliaia (in continuo andirivieni), la loro investitura viene dai mafiosi: per coerenza con i proclami quotidiani dovrebbero ritirarsi.
Perché non si dimettono?
Dove sono i controllori?
Quali peccati stiamo scontando da secoli?
Se non se ne vanno, non potremmo ignorarli totalmente?
Siamo stanchi, veramente stanchi.