“Quale autore potrà mai dire come e perché un personaggio gli sia nato nella fantasia? Il mistero della creazione artistica è il mistero stesso della nascita naturale”. Sono parole di Luigi Pirandello, queste. Tratte dalla sua prefazione a Sei personaggi in cerca d’autore: una delle opere teatrali più celebri del Premio Nobel della Letteratura nato ad Agrigento, ma anche uno dei massimi capolavori della letteratura mondiale in grado di esprimere lo strettissimo rapporto che lega personaggi e autori.
Come nascono i personaggi? Lo stesso Pirandello, nella citata prefazione, sostiene che “un artista, vivendo, accoglie in sé tanti germi della vita, e non può mai dire come e perché, a un certo momento, uno di questi germi vitali gli si inserisca nella fantasia per divenire anch’esso una creatura viva in un piano di vita superiore alla volubile esistenza quotidiana”.
Credo che non ci sia definizione migliore di questa, per spiegare cosa è un personaggio letterario: una creatura viva in un piano di vita superiore alla volubile esistenza quotidiana.
Chissà se Pedro Escobar, sub-protagonista de Il processo di Salvo Zappulla, ha mai letto questa definizione. Non è un caso se utilizzo il termine sub-protagonista; perché il protagonista vero di quest’opera di Zappulla è in realtà proprio l’autore (che dunque riveste anche i panni di personaggio principale). Anzi, l’Autore. Con la “a” maiuscola.
La storia narrata da Zappulla si innesta nell’ampio filone di opere narrative che contemplano palesi legami tra personaggi e loro creatori. È probabile che Pedro Escobar si senta davvero una creatura viva in un piano di vita superiore alla volubile esistenza quotidiana. E forse è proprio alla volubile esistenza quotidiana che decide di ribellarsi, sfuggendo di mano all’Autore e conquistando una propria autonomia con l’obiettivo di infilarsi nei meandri della letteratura che conta: quella destinata a durare nel tempo. Ed ecco che Escobar – da piccolo personaggio di un autore di provincia – si conquista il ruolo di comprimario all’interno di opere considerate pietre miliari della letteratura, corrompendole: da Madame Bovary a La piccola fiammiferaia, fino al Deserto dei Tartari… giusto per citarne qualcuna.
Questa sua ribellione costa molto cara all’Autore. Ma a Escobar non importa. Come si dice: mors tua vita mea.
Che il personaggio rivendichi la sua indipendenza, del resto, non è una novità. Lo sottolinea anche IL PADRE, uno dei già citati Sei personaggi in cerca d’autore di Pirandello, che – a un certo punto – dice: “Quando i personaggi son vivi, vivi veramente davanti al loro autore, questo non fa altro che seguirli nelle parole, nei gesti ch’essi appunto gli propongono; e bisogna ch’egli li voglia com’essi si vogliono; e guai se non fa così! Quando un personaggio è nato acquista subito una tale indipendenza anche dal suo stesso autore, che può esser da tutti immaginato in tant’altre situazioni in cui l’autore non pensò di metterlo, e acquistare anche, a volte, un significato che l’autore non si sognò mai di dargli!”
Ed è proprio quello che accade a Pedro e al suo Autore. A differenza dei sei personaggi, che – come spiega IL PADRE – nascono dalla fantasia di un autore che non seppe o non volle farli vivere in un’opera d’arte, Pedro è più fortunato. Non soltanto nasce, ma il suo Autore gli conferisce una nuova dignità rispetto alle sue condizioni originarie. Solo che l’Autore non ha adeguatamente riflettuto sul fatto che un personaggio è una creatura viva in un piano di vita superiore alla volubile esistenza quotidiana. Del resto, come avrebbe mai potuto immaginare – l’Autore – che per via della ribellione di un suo personaggio sarebbe finito dietro le sbarre? In altre parole: come avrebbe potuto prevedere, l’Autore, che la conquista dell’indipendenza da parte di un suo personaggio lo avrebbe fatto precipitare in una sorta di inferno? Una domanda che – a suo modo – contiene un paradosso. Perché se è vero – come è vero – che l’autore per il suo personaggio è il suo Creatore … potremmo paragonare l’autore a Dio e il personaggio ribelle a Lucifero. Solo che, in questa storia di Zappulla, la relazione viene ribaltata giacché non è il personaggio-lucifero a precipitare negli inferi.
Certo, non sempre è così. Non sempre i personaggi, per tentare di sopravvivere alla volubile esistenza quotidiana, diventano pericolosi – quasi letali – per i loro autori. Ci sono personaggi docili, rispettosi; che entrano nella storia in punta di piedi e – quasi sussurrando – si rivolgono all’autore riconoscendone la supremazia. L’onniscienza.
È quello che avviene, per esempio, nel romanzo Colomba di Dacia Maraini: “Quando le chiedono come nasce un suo romanzo, la donna dai capelli corti risponde che tutto comincia con un personaggio che bussa alla sua porta. Lei apre. Il personaggio entra, si siede”.
A volte il personaggio rimane e “continuerà a narrarle i particolari di una storia che diventerà man mano più complicata e dettagliata. A questo punto sarà chiaro che è venuto il momento di scrivere un nuovo romanzo”. E più avanti leggiamo: “Un personaggio ha bussato alla porta della donna dai capelli corti. Ha battuto le nocche timidamente, è entrato senza far rumore.”
Un personaggio che entra in punta di piedi, dunque. Bussa alla porta… timidamente. Ed entra… senza far rumore.
Tutto il contrario di Pedro, il quale non solo è tutt’altro che timido e fa un gran fracasso, ma crea veri e propri sfaceli. A causa sua l’Autore viene deriso, odiato, insultato, minacciato, vilipeso. Viene dipinto come un mostro e, come già accennato, finisce persino in prigione.
Ma la storia della letteratura pullula di casi in cui autore e personaggio si trovano di fronte in contesti tutt’altro che rispettosi. Perché non tutti i personaggi, sia chiaro, sono colombe. Non lo è Pedro, certo… ma per consolare l’Autore è bene sottolineare che può capitare di peggio. Basti pensare (passando alla letteratura d’oltreoceano) al caso di Thad Beaumont, scrittore-personaggio del romanzo La metà oscura di Stephen King. Beaumont si è costruito un alter ego letterario – George Stark – con il quale firma romanzi su di un killer violento chiamato Alexis Machine. A un certo punto si viene a sapere che Thad Beaumont, autore di opere più impegnative, è in realtà Stark. Per questo motivo Beaumont decide di disfarsi del suo alter ego e simula una sorta di funerale con il quale ne dichiara la fine. Ma Stark, nelle settimane successive, resuscita dalla sua falsa tomba per vendicarsi.
Insomma, da questo punto di vista il Pedro Escobar di Zappulla è in buona compagnia.
Peraltro non è infrequente che un autore decida di sopprimere un proprio personaggio. È accaduto – come è noto – anche nella realtà a Sir Arthur Conan Doyle, allorquando tentò di liberarsi del suo Sherlock Holmes (personaggio divenuto troppo ingombrante)… facendolo morire; non tenendo conto, tuttavia, della reazione furibonda dei lettori che lo indussero a far rinascere Mr. Holmes. A tal proposito, tornando a Stephen King, potremmo citare un altro suo noto romanzo: Misery. In Misery lo scrittore Paul Sheldon subisce un incidente automobilistico che lo riduce in uno stato comatoso. Viene salvato da Annie Wilkes, un’ex infermiera professionale che lo porta nella propria abitazione per curarlo. Caso vuole che Annie è una sua lettrice e una fan sfegatata di Misery Chastain, personaggio seriale ideato da Sheldon; ma Annie è anche una pericolosa psicopatica e non perdona a Sheldon di aver fatto morire la sua eroina nell’ultimo romanzo della serie. Così, come succede a Doyle per Holmes, anche Sheldon – a causa delle violenze di Annie – è costretto a far rivivere la sua Misery tramite uno stratagemma narrativo.
Chiudo la parentesi aperta sulla letteratura angloamericana citando un ulteriore caso di relazione tra autore e personaggio: è quello di Paul Auster nella sua Città di vetro, racconto lungo contenuto nella famosissima trilogia di New York. Il protagonista della storia è uno strano detective, chiamato Quinn. Una sera Quinn riceve una paradossale telefonata. Il tizio dall’altra parte del cavo non desidera parlare con lui, ma… con il signor Auster. Sì, proprio Paul Auster. In questo caso dunque l’autore – l’autore vero e proprio, con tanto di nome, cognome e identità – appare in un proprio libro. E senza esserne il narratore (il quale è un amico di Auster a cui costui ha raccontato gli avvenimenti).
Tornando a questo romanzo di Salvo Zappulla, è opportuno sottolineare la citazione contenuta nello stesso titolo. Si tratta di una forma di tributo; di un omaggio a uno dei più grandi autori del Novecento, che con il suo processo ha messo in risalto l’assurdità di certi meccanismi sociali e la conseguente angoscia da essi generata. In effetti, le atmosfere che Zappulla crea in questo libro denotano ascendenze kafkiane, sebbene rivisitate da una rilevante verve umoristica e rese – peraltro – con stile fluido, personaggi grotteschi e trama avvincente condotta con levità fiabesca.
Ne viene fuori un’opera tragicomica di stampo fantozziano (mi si consenta l’uso del termine). Del resto ho sempre visto Fantozzi come una derivazione del tipico personaggio kafkiano, una sorta di uomo-insetto che (in chiave tragicomica, appunto) cerca di barcamenarsi tra le ingiustizie – spesso arcane – della vita e del sistema sociale. Fallendo. Miseramente fallendo. Ma è un fallimento che contiene, paradossalmente, il germe di un’indomita denuncia.
In effetti anche la trasfigurazione della realtà che ci offre Zappulla in questo libro nasconde intenti di denuncia. Denuncia di certi meccanismi insiti nel sistema editoriale, delle aspettative – a volte fini a se stesse – di chi scrive, della facilità con cui chi scrive – spesso – viene massacrato con giudizi più sommari dei peggiori processi della storia. Una denuncia che fa sorridere. A volte con amarezza. Altre volte di gusto. Una denuncia, però, che lascia aperti spiragli di speranza che filtrano tra le pieghe del commovente – anche se un po’ rassegnato – abbraccio finale tra l’Autore e il suo Lettore.