Riccia, finta spettinata, aggressiva, avviluppata in pantaloni neri e giubbotto di pelle stile motociclista in viaggio per le highways americane. Non è lei. È Olivia Newton John nel finale di “Grease”. Lei ricorda più una Katniss di “Hunger Games”: lunga treccia di capelli scuri, vestito nero e spigoloso, con un che da armatura futuristica, non il solito tubino da cocktail. Anche se nello stile da graffiante super donna in carriera, rimasta in fondo la ragazza semplice di sempre, Eva Longoria ricorda un po’ la parabola della dolce Sandy, e sembra aver trovato un compromesso tra femminilità e attitudini da maschiaccio.
Protagonista della quarta Tao Class del Taormina Film Festival, Eva, pelle ambrata frutto di ascendenze messicane e scioglilingua americano, è spigliata e alla mano, perfetta per intrattenere il pubblico. Con occhietti vispi e visetto da bambola confessa: “Sono anni che mi spaccio per italiana! Il mio cognome fa pensare a uno italiano, e molti a Hollywood mi chiedevano se lo fossi. Io dicevo di sì perché volevo la parte! Sbagliavano tutti pronuncia, era un classico: sarebbe Longòria, non Longorìa”. Questa scena è solo vagamente familiare ai fans della saga di Harry Potter.
CONTINUA DOPO LA PHOTOGALLERYRispetto ai soliti fastidiosi problemi tecnici comunque Eva non dissimula nulla: se non si sente attraverso l’auricolare lo dice, il guaio è quando si sente ma non parlano inglese bensì italiano. “Non ci capisco niente” ride “non una parola, but it sounds lovely”. E giù applausi. Il pubblico si innamora e fa le fusa. L’opposto che con Pamela Anderson. Per metterla in difficoltà si sarebbe almeno potuto chiederle che squadra tiferà ai mondiali tra Stati Uniti e Messico, ma si preferisce evitare. Anche perché la Longoria, nonostante la sfolgorante carriera d’attrice, produttrice e modella, non si è mai sentita chissà quale mostro di femminilità e avvenenza, fin dai tempi dell’infanzia: “Sono cresciuta sentendomi il brutto anatroccolo di famiglia” racconta “Le signore che scambiavano quattro chiacchiere con mia madre non prendevano neanche in considerazione l’ipotesi che potessi essere sua figlia. Ricordandosi delle mie sorelle, bionde, occhi azzurri, esclamavano: “Le sue figlie sono così belle!”, poi guardandomi: “Questa chi è?” ”.
Le gaffe capitano a tutti, e capitano anche a lei, come quando le cadono le cuffie di mano o non capisce ripetutamente una domanda, ma prese subito con tale nonchalance dalla diretta interessata che contribuiscono ad accrescerne il fascino anziché stroncarlo. Quando facciamo di ogni difetto un marchio di fabbrica guadagniamo in stile!
Di lei colpisce soprattutto il carattere determinato e lo sforzo in campo umanitario e politico a sostegno del governo del presidente Barack Obama, parallelamente alla carriera artistica. “Non devi essere un politico per interessarti di politica” afferma. L’argomento che più le preme è quello relativo alla comunità latina, per ovvi motivi, e a come risenta delle politiche d’immigrazione. La sua sensibilità è mossa anche da un interesse particolare per i giovani e le donne. La scuola e il rapporto con le famiglie soprattutto pensa vadano attenzionati e valorizzati. E sul femminicidio?
“C’è molta pressione del mondo sulla donna, spesso contro la donna. Le donne che grazie all’istruzione e al lavoro si liberano dalle coercizioni mentali, incontrano la resistenza di uomini e culture che mal interpretano il loro nuovo desiderio di espansione e reagiscono con violenza”.
Sicuramente in tutto ciò che dice è informata e competente, risponde con correttezza e novizia di particolari ai giornalisti curiosi di saperne di più, ad esempio sulla sua fondazione, l’ “Eva Longoria Foundation”. Non si tira indietro ed è desiderosa di far conoscere il progetto, per il quale ha dovuto parecchio lottare per vedersi riconosciuta una qualche credibilità, anche e soprattutto in patria: “Sei un’attrice, pensa a recitare: è quello che mi hanno detto tutti, ma io mi sento cittadina americana innanzitutto. L’attrice è il mio mestiere, non chi sono”.
La Longoria, cofondatrice di “Eva’s Heroes”, organizzazione a favore dei portatori di handicap, ha fra l’altro recentemente supportato la United Farm Workers, fondata da Cesar Chavez, che cita, e molte altre, una per tutte l’Unicef.
Conclude con un appello: “Parlate con la gente, è fondamentale. Se leggi il giornale o guardi le news non sentirai né capirai mai l’enormità del problema”. Nessuna presunta nobiltà d’animo da comperare a suon di quattrini dunque, né un hobby da diva superficiale in cerca di immagine e popolarità. Eva Longoria non ne ha bisogno, ha ben coscienza del ruolo mediatico di cui è investita e per cui non vuole deludere nessuno: “Siamo modelli d’ispirazione, role models, noi che lavoriamo nel mondo dello spettacolo ed entriamo in casa d’altri attraverso la televisione: è importante fare qualcosa che abbia un valore umano e possa essere d’esempio”.
E’ diventata famosa in tutto il mondo col ruolo di Gabriella Solis nella serie di successo “Desperate housewives”, con protagoniste donne, casalinghe e disperate, le cui interpreti, al contrario delle protagoniste, non si disperano affatto e vanno d’amore e d’accordo. “Possibile che quando una serie sia di sole donne tutti se ne escano con pezzi allarmisti su litigate furiose, e su quanto le colleghe si odino a morte e cerchino in realtà, quanto meno, di farsi fuori!” si lamenta “Quando è una serie di soli uomini non succede mai!”
Eh Eva, che vuoi farci? Per fortuna che sei forte, e rilanci la moda dello “sfigato”, come tu stessa ti definisci, che, evitato da tutti, può sviluppare tanto altro della propria personalità rispetto a quanto concesso dall’industria che intrappola nel difficile, ingrato, compito di risultare belli e perfetti agli occhi degli altri. “Sapendo chi ero, quando ho avuto successo -fra l’altro non giovanissima, avevo quasi 30 anni- non ho lasciato che fosse la stampa a definirlo per me. La stima che avevo di me stessa poggiava su qualcosa di molto più profondo e solido dell’essere cool”.