Il prezzo di una vita

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cadaveriDi Guido Di Stefano

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    Tre gradini: bastano tre gradini per ergersi ad autorità. Basta scalare tre gradini e girarsi verso il pubblico (prima o poi pagante con lacrime e sangue) per essere ascoltati come somme autorità, come sommi profeti, come dei.

   Non importa dove si trovino i “tre gradini”;  una anonima piazza, una strada, un trivio, un quadrivio, un sagrato, una scalinata, un ambiente laico o religioso: tutto  va bene perché lì in cima ai classici tre gradini inizia o si perpetua una carriera e perché chi lì si trova diventa  “ipso facto” dispensatore di verità, giustizia e benessere per la vita o per decenni  o fino a quando “si fa leggere le carte”.

  Troppe carriere sono iniziate dall’alto dei tre gradini e troppo spesso in concomitanza di tristi eventi, luttuosi eventi.

   Su umanizzate facce di bronzo si apre quella fessura chiamata bocca e ne sgorgano impetuosamente fuori fiumi di   maledizioni, improperi , accuse, promesse, sconforto, speranze; ed intanto avide e credule orecchie ascoltano attentamente fino al momento cruciale  accompagnando magari con uno scroscio di applausi la tenebrosa minaccia finale “tutti i colpevoli (cioè gli onnipresenti altri) “ pagheranno” ed a nessun “altro” sarà permesso di “peccare” (rubare, delinquere, uccidere …).

    E poi finito il tempo dell’emozione spariscono per tornare alle loro usuali “occupazioni”  (pregne di ozio e ignavia) dove ben si addice il bronzeo volto.

   Prediletti dai nostri eroi sono i palchi dove si “celebrano” le vittime di tragedie prevedibili ed  anche annunciate (a volte); ma sarà per inettitudine o per malafede o per nequizia o per peggiori motivazioni fino al compimento della tragedia non si muove “foglia”.  O forse ci sbagliamo e non si muove niente perché la prevenzione non dà visibilità: i frutti della prevenzione si possono assaporare quotidianamente ma non si possono sfoggiare perché non c’è modo di “contarli”, mentre i morti si contano e come!

    E con i morti ancora “caldi” sentiamo urlare e piangere che la vita umana non ha prezzo, che ha un valore infinito, che vale la pena spendere per salvare una vita umana. Ma spendere cosa? Forse tante belle parole per imbastire una filippica contro i soliti “altri”?

   Si muore per buche stradali, tappetini usurati, guard-rail assurdi, strutture traballanti, mulattiere stradali, malgoverno, malcostume, malaffare, malavita, aggiotaggio di beni e cariche e prebende, mancanza di rispetto e dignità, favoritismo e consociativismo, disperazione, mancanza di prevenzione, ipocrisia  e manicheismo  ormai genetici in larghi strati della popolazione dai vertici alla base.

   Già qual è il prezzo della vita?

   Quello di uno specchio stradale? del materiale per tappare una buca? di una lampada per l’illuminazione? della dignità per premiare il meritevole e ridimensionare il fedele incapace? di non appropriarsi di ogni spazio a portata di certi rapaci che si giustificano trincerandosi dietro l’espressione “la legge me lo consente quindi lo faccio” dimenticando che tale tipologia di espressione è stata lo scudo di malvagi e despoti di storica memoria?

  Quanto vale una vita, un ideale, una fede? Un piatto di lenticchie? Trenta denari? Qualche decina di ducati? Qualche regalia? O come si dice spesso qualche “mangiatoia”?

   E le vite sono (valutate) tutte uguali? Le attuali cronache scritte dall’occidente non ci confortano (oltretutto poco collimano con tante altre angolature); purtroppo altrettanto di sconforto sono le antiche cronache pervenuteci. Ma è proprio così? Non crediamo proprio: forse l’errore risiede nell’animo degli estensori delle cronache del passato e del presente; forse il manicheismo è connaturato a troppi uomini, specialmente mediorientali ed occidentali.

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