Di Salvo Barbagallo
Ogni volta che esplode uno scandalo la reazione immediata è di stupore: ci meravigliamo che certe cose possano accadere, ci meravigliamo quando i protagonisti hanno nomi di tutto rispetto. Lo “scandalo”, prima o poi, coinvolge le categorie più disparate: dalla politica, all’industria, al professionismo, alla sanità, e chi più ne ha più ne metta. Ci meravigliamo, ma è stato sempre così, basta andare a ripescare quanto appreso a scuola e ricordare la celebre frase “O tempora, o mores” che Cicerone pronunciò (8 novembre del 63) contro Catilina, deplorando la perfidia e la corruzione dei suoi tempi. Se si parla di mafia e di cinematografia già nel 1968 il regista Damiano Damiani fece conoscere al grande pubblico delle sale “Il giorno della civetta” di Leonardo Sciascia, anticipando “Il padrino” di Francis Ford Coppola (1972) tratto dal romanzo di Mario Puzo. Ma cos’era e come era la mafia in tutte le sue articolazioni (almeno quella di quei tempi), provvide sempre Damiano Damiani inaugurando la serie televisiva “La piovra” che si protrasse dal 1984 al 2001 con l’apporto di altri registi impegnati, quali Florestano Vancini, Luigi Perelli, Giacomo Battiato. Le serie televisive oggi vengono definite “fiction” (termine inglese, letteralmente in italiano “finzione”, dal latino fingere) intendendo la narrazione di eventi immaginari, diversamente dalla narrazione di eventi reali. Oggi come oggi se si vuol conoscere una “realtà” – soprattutto se estranea all’ambiente in cui si vive – bisogna seguire con attenzione le “fiction” televisive, quelle “serie” che, a volte, si allungano per anni. Le “fiction”, a conti fatti, ci mostrano meglio di quanto facciano i mass media cosa accade veramente dietro le quinte, “fatti inventati” che, quasi sempre, precedono gli accadimenti.
E’ un modo nuovo di far conoscere al grande pubblico mondiale aspetti mai divulgati di una quotidianità che non è sotto gli occhi di tutti. Più che un “fenomeno” forse una necessità, viste le pesanti mistificazioni che prevalgono sugli argomenti considerati “delicati” che spesso si vorrebbero nascondere.
Vogliamo “capire” gli Stati Uniti d’America al di là delle stesse notizie che poi, alla fine, vengono egualmente diffuse? Prendiamo ad esempio il clamore che hanno suscitato le informazioni sulle “intercettazioni” o sulle “torture” applicate sistematicamente dai servizi segreti di quel Paese? Come si sono potute definire “sconosciute”? Basta fare riferimento a due “fiction”, una andata in onda nel 2010, “Rubicon” ideata da Jason Horwitch, che non ha avuto un seguito per il suo contenuto “scabroso” (spiegava esattamente le “tecniche” di analisi e quant’altro sei servizi segreti USA), l’altra “Homeland”
giunta alla quarta serie ancora sul piccolo schermo, ideatori Howard Gordon e Alex Gansa, dove c’è di tutto e di più sui metodi della CIA americana. Ma la “fiction” serve anche per entrare all’interno della Casa Bianca per mettere panni sporchi e puliti all’aria aperta: vedi “Scandal” e “24 Ore”. “Scandal”, che viene definito thriller politico ideato da Shonda Rhimes in collaborazione con Betsy Beers, scava senza pietà nei meandri della vita del presidente statunitense, della sua famiglia, scava negli intrighi di corte, nella (a)moralità di alti funzionari, negli adulteri di rango, insomma mette a nudo
senza problemi tutto ciò che fuori non appare. Lo stesso discorso per “24 Ore”, una serie più antica come origine – risale al 2001 – ideata da Joel Surnow e Robert Cochran, che ha riscosso ampio successo grazie al protagonista interpretato da Kiefer Sutherland. L’America, terra delle grandi libertà, non esita nell’autocritica più feroce. Ma non è il solo Paese che adotta questa metodologia, ce ne sono altri. No, non ci riferiamo all’Italia…
In Gran Bretagna la BBC trasmette dal 2002 “Spooks”, nella quale (in 11 serie, fino ad oggi) si descrivono i sistemi usati dall’MI5 per prevenire possibili attentati terroristici. L’ideatore della “fiction”, David Wolstencroft, non si limita a raccontare le peripezie degli agenti segreti, ma quanto avviene nella Whitehall, cioè nell’amministrazione di governo. Anche in questo caso, panni sporchi lavati pubblicamente.
In Belgio è stata prodotta la serie tv “Salamander” nella quale, senza mezzi termini, si mettono in luce gli intrecci delle grandi banche e il governo.
In Danimarca, ideata da Adam Price, è stata realizzata la serie “Borgen”, nella quale si descrivono fatti e misfatti che avvengono all’interno del Palazzo Christiansborg, dove hanno sede i tre rami del governo, il parlamento, l’ufficio del primo ministro e la Corte Suprema. Anche in questa fiction non si usano mezzi termini nel racconto.
E in Italia? Ma quando mai… Immaginate la RAI che volesse produrre una serie tv sulla vita del Capo dello Stato, o del premier, o di questo o quel ministro, o di qualche presidente di Regione come quella Siciliana? Neanche a ipotizzare una simile circostanza: gli italiani sanno bene che i panni sporchi si lavano in casa e che nessuno deve sapere che ci sono “panni sporchi”. Certo, ed è inevitabile qualche “scandalo” di tanto in tanto finisce sui giornali, qualche nome di “intoccabile” appare ma all’indomani i lettori pensano alla nuova notizia e la precedente passa nel dimenticatoio senza “scandalizzare” oltre. In passato registi come Francesco Rosi e Elio Petri hanno avuto il coraggio di portare sul grande schermo argomenti scottanti: come dimenticare “Le mani sulla città” (1963) , o “Indagine su un cittadino al sopra di ogni sospetto” (1970)? Non si vuole tralasciare “Gomorra” (2008) di Matteo Garrone, tratto dall’omonimo libro di Roberto Saviano, ma siamo ad altri livelli, ad altri argomenti che ancora si possono “toccare”. Ciò che riguarda i Palazzi del potere e chi li abita, per ora, è tabù destinato a rimanere tale chissà per quanto tempo… Una soluzione c’è: fatevi una “fiction” nella vostra mente, metteteci dentro tutto quello che pensate. Tranquilli: la vostra “fantasia” anticiperà la realtà, statene certi.
Così è, se vi pare…