Isis contro Italia, guerra annunciata, pericolo latente
Di Salvo Barbagallo
Le agenzie stampa hanno diramato una notizia che sta allarmando: l’Isis infiltrerà suoi militanti (leggasi terroristi) fra le migliaia di migranti che dalla Libia raggiungono le coste siciliane. L’informazione è riportata dai media libici che citano un rapporto dello stesso Stato islamico e anche se l’informazione (come tengono a sottolineare le stesse fonti) non è “verificabile”, è certamente “credibile”. Pur cercando di non essere cinici, ci sembra la scoperta dell’acqua calda: su questo stesso giornale abbiamo evidenziato in più circostanze il pericolo “infiltrati” fra i disperati che lasciano il loro Paese sperando di trovare un luogo sicuro dove tornare a insediarsi. Ma il ministro dell’Interno Angelino Alfano ha tenuto a rassicurare gli Italiani, affermando che “non c’è traccia di infiltrazioni” senza, “forse”, tenere conto delle migliaia e migliaia (e migliaia…) di migranti letteralmente scomparsi dai centri di accoglienza sparsi un po’ ovunque sul territorio nazionale. Adesso, dopo l’ultimo episodio verificatosi proprio a Tripoli, dove quattro jihadisti hanno assaltato l’hotel Corinthia con un bilancio di tredici morti (compresi degli attentatori che si sono fatti esplodere) c’è chi si incomincia ad accorgere che la capitale libica è a quattro passi dall’Italia. In realtà sono soltanto 459 i chilometri che separano Tripoli dalla Sicilia, e questa non è una novità: le cartine geografiche esistono da tempo immemorabile. Se ne era accorto anche Gheddafi, quando nel lontano 15 aprile del 1986 lanciò il suo “biglietto da visita” contro Lampedusa, due missili “SS-1 Scud”, con l’intento di colpire una postazione militare della NATO installata nell’isola, quale ritorsione per gli attacchi aerei sulla Libia da parte degli Stati Unititi d’America, con l’obbiettivo di eliminare il presidente Mu’ammar Gheddafi. Non ci furono danni, in quell’occasione, probabilmente perché lo stesso Gheddafi danni non voleva provocare, chissà…La questione adesso è diversa: il terrorismo si avvale di sistemi subdoli che difficilmente possono essere prevenuti, e la “minaccia” delle infiltrazioni tra migranti può non essere una “minaccia”, ma una pratica già evasa.
Il Mediterraneo non è più il “Mare nostrum”, il Mediterraneo non è un “Mare di pace”, mentre poteva esserlo: l’Europa ha “rinunciato” al Mediterraneo da anni, da quando non venne concretizzato il Trattato di Barcellona redatto il 27 e 28 novembre del 1995, che prevedeva il partenariato globale tra l’Unione Europea e dodici Paesi del Mediterraneo. Lo scopo del partenariato era di “rendere il Mediterraneo uno spazio comune di pace, stabilità e prosperità, attraverso il rafforzamento del dialogo politico e sulla sicurezza, la cooperazione economica e finanziaria, sociale e culturale”. L’area di libero scambio doveva essere “aperta” nel 2010, oggi è passata in archivio: il quadro socio-economico-politico-militare è fortemente cambiato, le “Primavere arabe” hanno lasciato l’amaro in bocca e tanti morti sul terreno. Ora c’è l’Isis, c’è il Califfato che ha portato il terrore a Parigi e che si scaglia contro l’intera Europa.
Quei (pochi) 459 chilometri che separano Tripoli dalla Sicilia dovrebbero fare riflettere i nostri governanti: la tecnologia per quanto avanzata sia non può controbattere il “fattore terrorismo”, che si avvale di esseri umani pronti a “immolarsi” in una guerra che di “santo” ha ben poco.