Il termine più significativo per ricordare il genocidio perpetrato dai nazisti contro gli Ebrei nel corso della seconda guerra mondiale è “Olocausto”, oppure più correttamente, in ebraico “Shoah”, “catastrofe”, “distruzione”. Queste due parole indicano l’eliminazione di oltre sei milioni di ebrei con gli strumenti più terrificanti, violenti e aberranti che essere “umano” abbia mai potuto concepire. Sono trascorsi oltre settanta anni (maggio 1941) da quando Hitler avviò il sistematico e allucinante piano di sterminio definito “soluzione finale”, e settanta anni da quando il famigerato campo di concentramento di Auschwitz venne raggiunto dalle truppe sovietiche e i superstiti liberati: 27 gennaio 1945, una data che è diventata “Il giorno della memoria” per tutti i Paesi che hanno riconosciuto il genocidio compiuto.
Lunga la lista dei campi di sterminio, senza dimenticare gli altri, si vogliono ricordare Auschwitz e Treblinka in Polonia, Bergen-Belsen, Buchenwald, Dachau e Mauthausen-Gusen in Germania, dove vennero compiute atrocità incredibili.
27 gennaio – Giorno della Memoria: solo con molti decenni di ritardo, il 1º novembre 2005, questa giornata è stata definita dalla risoluzione 60/7 dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite durante la 42ª riunione plenaria, “ricorrenza internazionale” per commemorare le vittime di quell’immane tragedia. E ricordare.
Le nuove generazioni (purtroppo o per fortuna) hanno ben poco da ricordare, ma quelli che sono più avanti nell’età hanno il dovere non solo di far conoscere ai giovani, ma soprattutto di far “capire” cosa sia stato quell’oscuro capitolo della storia dell’uomo, affinché eventi simili non abbiano più a verificarsi. I tempi che si vivono ci allontanano sempre più da quel periodo travagliato e le guerre oggi si seguono in presa televisiva diretta come se fossero spettacoli e spesso lasciano indifferenti (se non insensibili) gli orrori che vengono consumati sotto i nostri occhi.
Difficile far comprendere ai giovani la realtà vissuta da milioni e milioni di perseguitati, eppure ciò che accade ora a Israele è ben noto: Israele è continuamente sotto attacco. È un Paese che vive la quotidianità del terrore, che vive giorno per giorno una guerra per la sopravvivenza. L’Occidente, l’Europa dopo gli attentati di Parigi adesso teme l’Isis, teme la Jihad islamica: Israele il timore di essere cancellato non solo dalla cartina geografica lo ha da quando i sopravvissuti sono riusciti a scampare alla Shoah. Come far comprendere ai giovani ciò che è stato e ciò che è quando molti di loro si infatuano delle false “Primavere” arabe?
È difficile: di certo il riportare alla memoria quanto accaduto oltre settant’anni addietro è necessario, ma non può essere esclusivamente un’operazione d’informazione, comunque utile. Il passato deve servire per il presente, senza il quale non può esserci futuro. Occorre penetrare il passato e osservare quanto accade oggi in Israele per comprendere che c’è un legame fra i momenti storici: disattenzione, indifferenza, infatuazioni pseudo ideologiche riportano i fantasmi a rigenerarsi, a riproporre ciò che non si vuole che si ripeta. E il pericolo che ciò che è accaduto possa ancora ripetersi, anche sotto forme diverse, è dietro l’angolo. In agguato.