Nella notte dei tempi, quando la scuola italiana, pur presentando vistose crepe non era ancora nell’attuale sfacelo in cui è inabissata, c’era una materia, l’“Educazione civica”, con disegno e ginnastica, considerata un’ora di respiro: una pausa tra le più impegnative di matematica o latino. Così dovevano considerarla anche gli stessi professori, che consentivano momenti di svago; e su fino al ministero. Introdotta da Aldo Moro nel 1958, viene improvvisamente soppressa durante l’anno scolastico 1990-91, nel quadro di una delle tante contro-riforme scolastiche. Se ne ignorano le ragioni, o almeno le ignora chi scrive. Se sconosciuto è il motivo, i risultati sono però sotto gli occhi di tutti: per quanto blanda fosse l’educazione, era comunque qualcosa; il degrado del civismo di questi tempi, in piccola parte forse è imputabile anche all’abolizione di questa materia. Fatto è che la Costituzione da tanti citata e invocata da mille cortei e manifestanti, da pochissimi viene letta e conosciuta; e non si chiede se ne sappiano a memoria tutti gli articoli, ma almeno il loro numero, i titoli e gli articoli principali, questo un cittadino che voglia esser tale, lo dovrebbe sapere. E’ pur sempre la Carta su cui si regge tutto.
Per restare all’attualità, sbirciamo il titolo II della Costituzione, quei nove articoli, dall’83 al 91 che riguardano il presidente della Repubblica. Come e da chi viene eletto, lo sappiamo. Sappiamo anche quanti anni può restare in carica, chi lo sostituisce in caso di impossibilità del presidente in carica, e fino a quando non ne viene eletto un altro. Sappiamo (forse però non tutti), che può inviare messaggi alle Camere, che indice le nuove Camere, indice i referendum popolari nei casi previsti dalla Costituzione, promulga le leggi ed emana i decreti aventi valore di legge e i regolamenti, presiede il Consiglio Superiore della Magistratura, ha il comando delle Forze Armate e presiede il Consiglio Supremo di Difesa; dichiara lo stato di guerra deliberato dalle Camere, può concedere la grazia e commutare le pene. Può sciogliere le Camere, o anche una sola di esse, dopo aver sentito i loro presidenti, ma non lo può fare negli ultimi sei mesi del suo mandato. Non è responsabile degli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per attentato alla Costituzione (in questo caso è messo in stato di accusa dal Parlamento in seduta comune, a maggioranza assoluta dei suoi membri).
Questi sono i doveri e le prerogative del Capo dello Stato, almeno fino a quando la Costituzione resterà in vigore, almeno fino a quando non verrà mutata. Perché tutta questa filippica? Perché sono giorni e settimane che ci sentiamo dire quali devono essere le caratteristiche del nuovo presidente; a voler mettere insieme tutte “qualità” che dovrebbe avere, ne vien fuori una specie di Arlecchino come vestito e con ben più di due padroni. Ma su un punto sono tutti d’accordo, presidente del Consiglio e leader dell’opposizione, ministri, parlamentari, commentatori: e cioè che deve essere, dati i tempi foschi che attraversiamo, un “arbitro”.
I tempi certo sono foschi, e ancor più di quello che si crede, e tali sono soprattutto per l’ignoranza che trasuda. Ignoranza nel senso letterale. Perché l’elezione del capo dello Stato può essere il risultato di un’intesa, di un compromesso, ma certo non è una partita di calcio che necessita di un arbitro che distribuisca punizioni, rigori, individui falli e certifichi la regolarità di un gol. Non è di un “arbitro” di cui si ha bisogno, piuttosto di un “garante”: garante del rispetto della Costituzione, della legalità, del diritto. Piccola cosa? Sono queste “piccole” cose, che contano; che nessuno insorga contro questa aberrazione lessicale, rivelatrice di ben più gravi e inquietanti aberrazioni, è il segno dei pessimi tempi che ci tocca di vivere.