Dopo l’ubriacatura generale per l’elezione del Presidente della Repubblica, gli italiani si sono risvegliati chiedendosi “E ora cosa cambierà?”. Sommersi da una elezione-show condotta con maestria sul filo del thrilling grazie (forse) a una inconsapevole connivenza dei mass media che hanno esaltato l’evento, gli italiani si sono risvegliati e (forse) hanno preso consapevolezza che, su quanto accaduto, tutti loro (o quasi) non avevano avuto la possibilità di esprimere in merito il loro pensiero, positivo o negativo che fosse. E, sì! L’elezione del dodicesimo Capo dello Stato, così come avvenuto in precedenza da quando esiste la Repubblica Italiana, è stato il frutto delle convergenze (o divergenze) di uno sparuto gruppo di parlamentari che dovrebbe rappresentare tutto il popolo italiano, ma che nella realtà già rappresenta una percentuale ancora (molto) inferiore di quella scaturita dalle urne nell’ultima consultazione elettorale. Di uno sparuto e variegato gruppo di politici che (volente o nolente?) si è dovuto piegare alla volontà del leader di un fibrillante partito politico, scosso da interne divergenze “sanate” (almeno all’apparenza) per “imposizione” o “persuasione” quasi all’ultimo istante. Quanti Italiani rappresentano veramente i 665 parlamentari che hanno eletto il Presidente della Repubblica? E come si può affermare che, in queste condizioni, il Presidente della Repubblica Italiana possa rappresentare tutti?
Ma, soprattutto, come si può pensare che il neo Capo dello Stato possa risolvere i problemi di questa Italia frammentata e scettica? Ecco, a nostro avviso, uno dei punti focali della “questione Italia” è proprio questo: si vuol far credere che il Presidente Sergio Mattarella possa essere la panacea di tutti i mali del Paese? Se così fosse, è come avere predefinito un “capro espiatorio” per tutto ciò che di negativo non potrà risolversi.
Adesso sul palcoscenico dell’evento “elezione” si è chiuso il sipario, ma un altro scenario si apre: quello della “resa dei conti” fra le compagini parlamentari, squassate da “patti” disattesi e “tradimenti” di varia natura. Un clima non certo ideale per la ripresa dei lavori nel corso dei quali si dovrebbero registrare cambiamenti negli assetti del Governo.
Da più parti si è notato che, in questo particolare momento storico, le due cariche più importanti dello Stato – la Presidenza della Repubblica e la Presidenza del Senato – sono affidate a due Siciliani, Sergio Mattarella e Pietro Grasso: è la prima volta che accade, e in tanti si sono chiesti come sia stato possibile e perché. All’interrogativo, per ora, non c’è risposta.
Domenico Arcuri, in un articolo pubblicato su “Huffington Post” ricorda al presidente Sergio Mattarella che “in un Paese il cui tasso di disoccupazione è l’11,8%, quello di disoccupazione giovanile è il 39,3%, quello della inattività dei giovani nel Sud è addirittura del 75,3% (…)” e che “nel Mezzogiorno solo un giovane su quattro lavora!
Quei tre giovani meridionali che non lavorano, allora, si aspettano dalle parole del nuovo Presidente della Repubblica qualche segnale, che ridia loro la speranza e che renda sormontabili le difficoltà.. .“.
Ecco, vorremmo che qualcuno ci spiegasse come il Presidente della Repubblica può – dall’oggi all’indomani e magari dopodomani – risolvere questo tipo di situazioni. Si, è vero: Sergio Mattarella è Siciliano, e conosce bene la situazione socioeconomica della sua Isola. Non ha potuto fare nulla prima (da politico, da parlamentare, da ministro), come potrebbe cambiare “qualcosa”, anche ricoprendo la prestigiosa carica di Presidente degli Italiani? E sono state sincere le sue parole quando è stato nominato Presidente: “Il mio pensiero va anzitutto alle difficoltà e alle speranze dei nostri concittadini“. Agli Italiani tutti il “pensiero” non basta e a Sergio Mattarella, Presidente della Repubblica Italiana, non si può chiedere l’impossibile. D’altra parte, il compito di un “arbitro” è ben altro. Quello di “garante” è altro ancora…