Terza guerra mondiale senza confini

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3rd_World_WarDi Salvo Barbagallo

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Come si affronta una guerra che non è circoscritta nei confini conosciuti? Di guerre in questo momento storico ne sono in corso tante, troppe, che si disperdono nell’indifferenza generale anche per mancanza di una informazione capillare che ne mostri le atrocità. Papa Francesco mesi addietro ha lanciato un allarme: è già in atto la Terza guerra mondiale, solo che ancora non si è presa consapevolezza di quanto sta accadendo. Troppo coinvolti (giustamente) nei nefasti avvenimenti provocati dagli attentati jihadisti, con il terrore che bussa alla porta d’Italia e dell’Europa, si finisce con il perdere il quadro d’insieme, si focalizzano gli sviluppi dell’avanzata del Califfato, si analizzano le “simpatie” di migliaia di giovani europei (e non solo europei) verso la malefica “dottrina” della morte, ma, nel concreto, non viene posta in luce la reale mancanza di iniziative adeguate da parte dei governi per affrontare l’attuale situazione. Appare (e speriamo di essere in errore) una sorta di posizione attendista, di qualche “evento” che possa mettere in moto non solamente il meccanismo di difesa, ma soprattutto un meccanismo di “reazione”.

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La Terza guerra mondiale è in atto? A tirare le somme sui conflitti in corso (apparentemente) non sembra esserci un legame, un “qualcosa” che possa considerarsi “comune”, se non il fattore “violenza”, il fattore “atrocità” che può considerarsi unico denominatore.

Giordano Stabile scriveva qualche tempo addietro: “le crisi regionali si sono moltiplicate a catena, lungo quelle che gli analisti chiamano «faglie di civiltà», cioè i confini fra le grandi regioni politico-culturali del Pianeta”.  Ed ecco il Mediterraneo, dove l’Europa s’incontra con il mondo arabo-musulmano, l’Asia centrale, dove la Russia, alfiere del cristianesimo ortodosso, compete con le popolazioni islamiche turcofone e iraniche e dove il perno di tutte le crisi è l’Afganistan. Il Pakistan che fa da spartiacque fra il subcontinente indiano e le potenze musulmane. Più in là, attorno alla Cina una serie di focolai segnalano l’emergere a status di superpotenza l’antico Impero di Mezzo. E poi l’Africa, dove Stati cristianizzati subiscono l’espansione verso sud dei movimenti islamici che nascono dalla penisola arabica e dal Maghreb. E poi esplosioni improvvise di violenze interetniche antiche, come nel Sud Sudan.

Non c’è un filo conduttore? Forse s’incomincia a delineare: la lotta globale per il riequilibrio fra le potenze, la corsa per la conquista delle risorse energetiche e alimentari sempre più scarse e preziose, il rafforzarsi di leadership oltranziste che credono nella violenza come unico strumento, come sta accadendo con il Califfato.

Lo scenario, basta fermarsi un attimo e riflettere, è sotto gli occhi di tutti.

Come è possibile tutto questo, si chiedeva mesi addietro a Redipuglia Papa Francesco, e Lui stesso rispondeva all’interrogativo: “Come è possibile questo? E’ possibile perché anche oggi dietro le quinte ci sono interessi, piani geopolitici, avidità di denaro e di potere, e c’è l’industria delle armi, che sembra essere tanto importante!”.

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