Questa volta a finire in fondo al Mediterraneo sono stati in 700: un numero raccapricciante di vittime della disperazione mentre tutti stanno a palleggiarsela e “tutti” non sono in grado di trovare una soluzione comune. Non è solo una tragedia umanitaria, è principalmente il completo e assoluto fallimento del cosiddetto mondo civile, della cosiddetta politica internazionale, ormai fin troppo abituata a scaricare le responsabilità sugli altri. Ormai non è più un problema di accoglienza per l’Italia, soprattutto per la Sicilia: non più la “questione” di dove “sistemare” questo flusso continuo di fuggitivi, ma di prevenire episodi come quest’ultimo verificatosi a 73 miglia dalle coste libiche, dove i marinai di una nave mercantile in procinto di prestare soccorso, hanno visto senza poter fare nulla, capovolgersi un barcone stipatissimo di esseri umani, colati a picco come se l’imbarcazione fosse stata silurata. Soltanto 28 i superstiti raccolti: nell’area del naufragio sta operando la nave “Gregoretti” della Guardia costiera, che ha fino recuperato una trentina di corpi. Una decina di unità, tra navi, aerei ed elicotteri si stanno adoperando per i soccorsi e le ricerche di eventuali scampati al disastro.
Eppure, ecco che c’è qualcuno che presenta una soluzione: è il politologo (molto apprezzato da politici italiani) Edward Luttwak che – in un intervista al quotidiano “Il Giorno” – suggerisce di inviare droni armati sulle coste libiche e distruggere i barconi che servono ai trafficanti di essere umani. Per quanto discutibile è, comunque, una “ipotesi” di soluzione: là dove non viene presentata un’alternativa che sia concretamente valida, potrebbe essere presa in considerazione. Il problema resterebbe sul tappeto, purtroppo e in ogni modo: cosa fare per coloro che in Libia, o altrove, attendono la loro occasione per raggiungere l’Italia? Non si può dare torto a Luttwak quando sostiene “l’Italia deve reagire” perché “non può accettare più passivamente l’invasione dei disperati e fare affidamento sulle peraltro inefficaci organizzazioni internazionali”.