Siamo alla fase finale del conflitto mondiale, l’Italia è ormai libera dagli “invasori” tedeschi, la Repubblica di Salò ha chiuso la sua fase vitale. Nel Paese si respira già l’aria del “dopo”, anche se le ferite della lotta fratricida fra gli italiani contrapposti non possono considerarsi sanate o rimarginate. L’odio sarà duro a scomparire da una parte e dall’altra e avrà strascichi fino ai giorni nostri. L’Italia non può considerarsi un Paese che ha ritrovato la sua unità, anche se il fascismo è caduto e Mussolini finirà cadavere appeso a testa in giù. Ancora prima di quei giorni conclusivi c’è altra lotta “fratricida” in Sicilia, ignorata al di là dello Stretto di Messina: quella che vede le forze dell’ordine, su disposizione del governo nazionale, usare il pugno di ferro contro il Movimento Indipendentista e, soprattutto, contro il neonato EVIS, l’Esercito Volontario per l’Indipendenza a capo del quale è il professore Antonio Canepa.
E’ nella primavera del 1945 che si costituiscono i primi campi militari dell’EVIS nei boschi di Cesarò: istruttori di giovani (studenti, contadini), presumibilmente gli uomini che avevano fatto parte del “Gruppo Etna” di Canepa che operò sabotaggi contro le installazioni tedesche nell’isola. Quel territorio montano dell’Etna è conosciuto da Canepa: a distanza ravvicinata c’è la Ducea di Nelson, a Maniace, proseguendo dopo Randazzo ci sono le proprietà degli zii Pecoraro Lombardo, a Francavilla. Cesarò costituisce una zona sicura perché molti dei suoi abitanti professano idee indipendentiste, e ci sono esponenti del paese sui quali i militanti possono contare. La posizione di Cesarò, con i suoi fitti boschi, era ritenuta idonea per i campi di addestramento, ed era al confine di tre provincie, Catania, Messina ed Enna, con un’unica strada di collegamento, la Statale 120, che consentiva facilità negli spostamenti nell’entroterra e verso il mare. E’ all’inizio di aprile che Canepa sceglie il luogo del primo campo militare a Sollazzo d’Ambolà, che viene trasferito dopo alcune settimane nei boschi di Sambuchello, nei pressi di un’ex casermetta della Forestale, per poi spostarlo nelle aree limitrofe. Il centro di smistamento dell’EVIS restava Cesarò, con le case rurali di Bolo, sulla Statale 120. Da Cesarò nel campo di addestramento giungevano le vettovaglie trasportate da abitanti del luogo. Per raggiungere i campi dell’Evis nei boschi di Cesarò, all’interno dei quali non operarono più di quaranta volontari, era stata predisposta una visibile segnaletica, e la loro ubicazione era nota anche ai carabinieri. L’EVIS non riteneva di doversi nascondere: le stesse collettività dei paesi vicini a Cesarò erano a conoscenza dei campi, così come noti erano gli Evisti che si recavano nei centri abitati. Tutto sommato di clandestino c’era poco. I volontari dell’EVIS indossavano divisa militare di color kaki, usavano scarponi militari e portavano un fazzoletto giallo e rosso: perfettamente riconoscibili, così come le loro armi ben in vista. Una ragione sicuramente c’era, ritenendo che Antonio Canepa, con la sua esperienza-appartenenza ai Servizi segreti inglesi, non fosse uno sprovveduto e tenendo nel debito conto che, nell’ipotesi di un’indipendenza della Sicilia, era stato già costituito un Governo e lui era stato designato responsabile del Dicastero delle Forze Armate. La ragione si deve ricercare nel contenuto del documento espresso nel 1907 dalla Conferenza Internazionale della Pace dell’Aia, dove letteralmente si legge quanto segue nel “Regolamento concernente le leggi e gli usi della guerra per terra – Sezione I: Dei belligeranti”- Capitolo I: Della qualità di belligerante –
Articolo 1: “Le leggi, i diritti e i doveri della guerra non si applicano soltanto all’esercito, ma anche alle milizie e ai corpi di volontari che riuniscano le seguenti condizioni:
1° di avere alla loro testa una persona responsabile dei propri subordinati; 2° di avere un segno distintivo fisso e riconoscibile a distanza;
3° di portare le armi apertamente e
4° di conformarsi nelle loro operazioni alle leggi e agli usi della guerra.
Canepa rispettava (e faceva rispettare) pienamente questa normativa in una nazione ancora non liberata dal gioco nazifascista, ma evidentemente i governi italiani succedutisi dall’8 settembre sino a quella data, la pensavano in maniera assolutamente opposta, e avevano dimostrato di sapere usare il maglio d’acciaio, annegando spesso nel sangue le aspirazioni che, almeno in quei frangenti, avrebbero potuto considerarsi legittime.
Che cosa aveva intenzione di fare Antonio Canepa? Confidava sulla ribellione dei Siciliani a una situazione divenuta insostenibile, sulla quale innescare l’apporto di un “esercito” armato per ribaltare la situazione? Quale esercito? Quello basato su giovani volontari, senza esperienza e pratica di armi?
A Palermo sono i militanti dei partiti unitari a scagliarsi contro i separatisti, pochi giorni dopo che è reso di pubblico dominio il contenuto dell’appello di Finocchiaro Aprile alla Conferenza di San Francisco: la sede regionale è distrutta. Per tutto il mese di aprile si susseguono episodi del genere. La polizia sta a guardare e non opera alcun arresto. Più forte è la repressione, più intensa è l’attività del MIS, ma la linea a Roma e altrove è stata tracciata da qualche tempo. Preoccupa maggiormente l’eventualità che qualche potenza belligerante possa, all’insaputa degli alleati, alimentare la forza del MIS
Il 5 maggio del 1945, infatti, la relazione del Comando Generale dei Carabinieri al ministero dell’Interno così si apre: “II Movimento Indipendentista ha intensificato la propria attività e quasi settimanalmente ha tenuto conferenze propagandistiche. Secondo voci, diffuse da tale movimento, durante la conferenza di Yalta si sarebbe molto discusso sulla Sicilia e sulla sua situazione, ma che ogni decisione in merito sarebbe stata rimandata alla prossima Conferenza di San Francisco, non essendo stata approvata alcuna formula decisiva che soddisfacesse appieno le tre grandi potenze alleate (…) ”.
Il 17 maggio un telegramma di Aldisio – indirizzato al ministero dell’Interno, evidenzia la psicosi negli ambienti politici palermitani in merito all’ipotetica ingerenza straniera negli affari siciliani: “Radio Roma ore 21 sera ha trasmesso come notizia proveniente da ambienti Londra cha et Sicilia sarebbe concessa larga autonomia con politica estera sotto controllo di una potenza mediterranea. Tale trasmissione Radio Roma ha prodotto profondissima impressione ambiente politico siciliano et separatismo già scosso et in liquidazione tenta ripigliare respiro. Vivamente prego evitare avvenire simili omissioni fatte da radio nazionale cui conseguenze psicologiche sono evidentissime et urgentemente trovare modo smentire categoricamente notizie date ieri sera”.
L’Ufficio della Presidenza del Consiglio dei ministri, l’indomani della ricezione del telegramma di Aldisio, effettua la segnalazione a S.E. Mattarella e a S.E. Berrutti. Mattarella sollecita, immediatamente un colloquio con S.E. Prumas, del ministero degli Affari Esteri, e si apprende che la notizia trasmessa dalla radio nazionale è stata diramata dall’Agenzia INS (International News Service). Vengono impartiti immediati ordini affinché l’Agenzia italiana ORBIS emetta un comunicato che smentisca l’agenzia inglese, e contemporaneamente si prendono gli accordi diplomatici al fine di chiarire definitivamente la situazione. Ad avvalorare la tesi di contatti segreti è una segnalazione dello stesso Aldisio (sebbene in data posteriore di qualche mese) con la quale si informa che “in casa dell’avvocato Varvaro sono stati portati documenti riguardanti lo sviluppo della Conferenza di San Francisco nei riguardi della Sicilia. Questi documenti sarebbero pervenuti a Roma a mezzo di un diplomatico canadese presente alla Conferenza, e sarebbero stati portati a Palermo dal figlio dell’on. Finocchiaro Aprile”.
In un rapporto della Legione Territoriale dei Carabinieri, ai primi di giugno del 1945, si legge: “Era giunta notizia alle Autorità militari della Sicilia che in territorio di Cesarò si erano riuniti – in numero imprecisato – individui armati. La fonte informativa segnalava tale concentramento esatta mettente nella località Sambuchello, presso la casermetta della polizia forestale di Cesarò. In seguito a ciò il sig. generale Fiumara Rosario, comandante la prima Brigata di Fanteria Sabauda di stanza a Catania, impartì gli ordini per la sorpresa e la cattura di tali armati. Le truppe destinate a tale operazione furono il battaglione Fanteria misto “Aosta” e una Compagnia del 45° Reggimento Fanteria (…). L’operazione era diretta personalmente dal sig. generale Fiumara, coadiuvato dal colonnello De Carli Paolo, comandante del 45° Reggimento Fanteria (…)”.
Oltre un migliaio di uomini a caccia di alcune decine di giovani dell’EVIS ancora inesperti d’armi? Italiani contro Siciliani?
I rastrellamenti non danno i risultati sperati, vengono recuperate soltanto armi abbandonate nei boschi. L’operazione probabilmente mirava alla cattura (o alla eliminazione?) del capo dell’Evis, Antonio Canepa, nome di battaglia Mario Turri. Il setacciamento minuzioso dei boschi di Cesarò si esaurì (guarda la casualità) alle porte di Randazzo il 17 giugno del 1945 con l’uccisione di Antonio Canepa e di due giovani, Carmelo Rosano e Giuseppe Lo Giudice in circostanze (volutamente) mai chiarite.
Quel che è avvenuto negli anni dopo, sino al 1950 con la morte di Salvatore Giuliano, è un’altra storia che continua e nella quale la questione dell’indipendenza della Sicilia è solo un pretesto, pur traendone origine.
(4 – Fine, ma continua…)
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